Azione, Fantascienza, Horror, Netflix, Thriller

ARMY OF THE DEAD

TRAMA

In seguito ad un’epidemia di zombi a Las Vegas, una squadra di mercenari corre un grosso rischio intrufolandosi nella zona sotto quarantena per eseguire la più grande rapina mai tentata.

RECENSIONI

Che bizzarro questo 2021 controcorrente di Zack Snyder: mentre il mondo cerca disperatamente di mettere in campo tutte le forze disponibili per lasciarsi alle spalle l'anno più buio della storia recente e di guardare avanti, lui firma due film che invece sembrano imporre un dialogo piuttosto deciso con il suo passato. Se da un lato, come si è già detto, Zack Snyder's Justice League rappresenta la possibilità di recuperare e resuscitare un progetto che gli stava sfuggendo dalle mani già prima dell'abbandono definitivo, dall'altro, con questo Army of the Dead (il suo primo film distribuito su Netflix, con cui il regista ha firmato un contratto di due anni) Snyder parrebbe voler ritornare, almeno sulla carta, alle atmosfere del suo esordio, quel L'alba dei morti viventi che osava rifare Romero all'alba del nuovo millennio e il cui risultato finì per sorprendere un po' tutti. Nonostante Zack Snyder sia un autore sempre molto riconoscibile, i due film - usciti ad appena tre mesi di distanza l'uno dall’altro - sono infatti due operazioni quasi agli antipodi: se il primo rappresenta un meraviglioso delirio d'onnipotenza autoriale,  probabilmente irripetibile per il cinema mainstream, Army of the Dead è invece un progetto pensato per un'immediata serializzazione su piattaforma (il prequel/spin-off diretto da Matthias Schweighöfer, Army of Thieves, dovrebbe arrivare in questo stesso anno, e già si parla di un sequel e di una serie animata), il grande lancio di un franchise tanto elementare quanto redditizio.

Le controindicazioni sono evidenti: la necessità di uniformare fin da subito i capitoli di un progetto seriale con registi diversi (e perlopiù di un progetto seriale mordi e fuggi come questo, in cui non si ha neanche il tempo di arrivare ai titoli di coda che è già iniziata la promozione del prossimo film), finisce per appiattire e non di poco le vorticose immagini di Snyder. Benché decisamente essenziale e priva di grandi intuizioni, la narrazione qui ha sempre la meglio sulla costruzione visiva, che in effetti appare piuttosto convenzionale e distante anni luce dagli stupefacenti fuochi d'artificio che Zack Snyder ci aveva fatto vedere solo qualche mese prima. Certo non mancano sequenze di grande pregio (i titoli di testa, davvero straordinari, la divertente sparatoria sotto una pioggia di dollari al centro del Casinò), però su tutta l'operazione aleggia la ricerca di una vaga leggerezza (non solo in termini narrativi, ma anche fisici, di peso dei corpi vivi e morti messi in scena) che non è mai stata nelle corde del regista di Green Bay. Riaffiorano dunque i fantasmi del digitale, nelle vesti di una CGI spesso grossolana che ruba costantemente l'attenzione dell'occhio e presta agilmente il fianco ai più banali e superficiali accostamenti tra Snyder e l'estetica videoludica (chiamata in causa, manco a dirlo, quasi sempre a sproposito o in senso dispregiativo).
Dove semmai Army of the Dead pare ricercare una consapevole vicinanza con il linguaggio dei videogiochi è nella costruzione narrativa e nella gestione degli spazi; la Las Vegas popolata da zombie e in regime di quarantena diventa infatti un campo di battaglia delimitato da confini ben precisi, all'interno dei quali lo spostamento è libero, come vuole la logica degli scontri in multiplayer online o degli open world (così come Sucker Punch, nella struttura a missioni, nei boss e nell'obiettivo di recuperare oggetti, sembrava invece debitore dell'arcade a livelli).

Si guarda al passato dunque, ancora una volta, a quel bellissimo divertissement che era Sucker Punch, agli zombie di Romero. Occhio però a non cadere nella trappola: il cinema non è mai mero enunciato narrativo o mera costruzione metaforica. La Las Vegas di Army of the Dead non è il centro commerciale di Zombi, perché il gesto cinematografico di Snyder (budget stimato tra i 70 e i 90 milioni, distribuzione Netflix, serializzazione de-autorializzata già in calendario) non è il gesto cinematografico di Romero (budget di 1 milione e mezzo, poetica e politica del fare cinema come atto di necessità, serializzazione autoriale). Se Army of the Dead sembra avere un respiro politico e una vocazione vagamente anti-capitalista, se sembra voler utilizzare gli zombie per parlare ancora una volta dell'ossessione statunitense per la ricchezza, lo è solo in superficie, nella narrazione e nel costrutto evidentemente metaforico. La forza dirompente e politica di Zombi invece, prima che nella metafora, stava nel gesto, nel contesto, in immagini e luoghi che hanno saputo ridefinire un'epoca restituendole, con ironia nerissima, tutta la sua apocalittica disperazione.

Insomma, a conti fatti, questo action-zombie-heist-comedy-horror di Snyder è purtroppo un giochino che stanca presto, un pastiche mai irriverente come vorrebbe, un lampo anonimo e addomesticato nella messa in scena della violenza, delirante più nelle intenzioni che nei fatti. Un prodotto che guarda al passato, senza probabilmente nessuna ambizione di spiccare nel presente né tantomeno di resistere al futuro.