TRAMA
Fausto è italiano ma vive a Parigi, nella speranza che un giorno la vita gli offra qualcosa di meglio del lavoro come cameriere. Nadine è francese e cerca un lavoro come modella. Dopo essersi conosciuti si perderanno, si ritroveranno, si ameranno e soffriranno.
RECENSIONI
L’inizio, come farà ancora il finale, mostra i personaggi per quello che sono: due individui soli in un mondo in salita, due fragili anime all’ostinata ricerca di un riscatto, ma incapaci di seguire un percorso lineare per ottenerlo. Nadine vuol fare la modella, ma non si adegua all’idea di un corpo da esporre, sentendosi umiliata al provino che sostiene per ottenere la sua occasione; Fausto fa il cameriere in un grande hotel, ma non esita, solo per seguire un istinto romantico folle (la follia di un amore che punteggia l'intero svolgimento della storia), a infrangere le regole, pagandone lo scotto. L’incontro è fatale (sono e rimangono estranei, anche dopo il fattaccio, ma la circostanza esiziale li ha reciprocamente rivelati e legati) e farà incrociare, amplificandole, le reciproche mancanze: l’irruenza, la mancanza di controllo di lui di fronte alle situazioni avverse; la remissività di lei, più forte di quell’ossessione di farcela che è il cemento del suo legame con il ragazzo.
L'Alaska, il locale di cui Fausto diventa socio, come il mondo della moda per Nadine, è il simbolo della rivincita sociale perseguita, del sogno coltivato di una soddisfacente realizzazione, ma anche un miraggio di quei traguardi che l’inadeguatezza di questi personaggi fa sparire dal loro orizzonte: così in un modo o in un altro, per errori commessi o per un caso (ironico, e che, per paradosso, non sembra affatto agire a caso) - la loro storia torna sempre a un punto di partenza, in maniera alterna: ora è lui nella polvere e lei a fare passi in avanti (riesce a lavorare come modella), ora è lui a recuperare (diventa direttore di un albergo, dopo che, da cameriere, aveva fallito) ed è lei, per accidenti e passi falsi, a retrocedere e a recriminare.
Finale che resetta e capovolge gli assunti e l’impressione netta che possibilità di migliorare per questi personaggi non ci sia mai davvero stata, che i loro fossero destini segnati in un tempo spietato, il nostro, che non fa sconti agli irregolari
Alaska è un film che, confermandone la solida tenuta, è risultato più maturo del suo predecessore (il già notabile Una vita tranquilla) e stilisticamente aderente alla materia, in cui si mettono in gioco passioni, coinvolgimenti emotivi, ma in cui lo sguardo del regista, tenendoli a distanza, li rappresenta con distacco clinico. Si apprezza il taglio realistico, l’evitare ponderato del paradigma (la scelta degli ambienti e del linguaggio: ancora una volta il paese estero come prospettiva e come delusione), l’andatura poco convenzionale. È proprio nell’ostinato ripartire del film, in questa evoluzione continua della narrazione, in questo intreccio per tappe concatenate l’una all’altra che, messe insieme, costituiscono un percorso imprevedibile, lontano da certe quadrature studiate del nostro cinema, in questa libertà e avventatezza, il pregio maggiore di una pellicola molto concentrata sulla resa dei caratteri e del loro rapporto , e in cui tutte le implicazioni (le considerazioni sulla crisi, il ritratto di una società instabile) rimangono a fare sfondo, mentre lo sguardo si focalizza alternativamente tra i due protagonisti e il loro modo di interpretare le mutevoli circostanze.
Attori molto calibrati, con un plauso anche al non protagonista Valerio Binasco, meritevole di premi di categoria.
