Il Dizionario dei Film di Hong Kong

A rischio di risultare apodittici, partiamo da un dato inconfutabile. Poche cinematografie a livello planetario come quella hongkonghese hanno potuto offrire in questi ultimi venticinque anni una mole così imponente di prodotti che a livello qualitativo ha saputo generare renovatio linguistica e creare modelli di riferimento forti tanto da divenire uno dei referenti estetici di più immediata riconoscibilità e riconducibilità. Certamente molte cose sono mutate sia dal periodo post-aurorale del cinema di Hong Kong, da quegli anni ’60/’70 in cui si assisteva al sorgere di una cinematografia che grazie ad autori del calibro di Chang Che, King Hu e Chor Yuen era in grado di coniugare il sublime della forma alla popolarità dei contenuti dando luogo ad un cinema di larga diffusione e istituendo stereotipie stilistiche mediante la solcatura di precise linee formali, periodo sottolineato da un certo accentuato mercantilismo che non consentiva ancora sdoganamenti di sorta, sia dalla cosiddetta new wave del cinema dell’ex colonia britannica situata agli inizi degli anni ’80 e propagatasi per più di un decennio al ritmo di più di 200 pellicole annue, laddove ad un certo punto il mercato non è stato più in grado di resistere a cotanta produzione, così come il mondo occidentale non ha più potuto ignorare quel vero e proprio dilagare di fermenti estetici così freschi e vitali. Ora, al di là di un poco auspicabile ritorno sotto il dominio cinese, per tanti fattori che non stiamo qui a snocciolare con dovizia d’analisi ma che vanno indubbiamente rintracciati nella trasformazione del mercato in base ai nuovi modelli di fruizione cinematografica da parte di un’utenza che dispone di apparati tecnologici sempre più all’avanguardia (e che in conseguenza di ciò non trova stimoli adeguati per affollare le sale cinematografiche come accadeva un tempo), non è più possibile raggiungere la frenesia di quei ritmi produttivi, e non è forse più plausibile esercitare quel tipo di influenze estetiche che avevano fino a tutti gli anni ’90 contagiato in maniera virulenta le cinematografie di tutto il mondo. Eppure basta guardare un film come SPL (Sha Po Lang) di Wilson Yip o una qualsiasi opera di Johnnie To, da PTU a Breaking News all’ultimo, Election (tanto per fare qualche nome e qualche titolo), così dense di quella voglia e esigenza di sperimentazione che ha contraddistinto quel tipo di cinematografia, per rendersi conto che il cinema di Hong Kong, pur nell’inevitabile ridimensionamento cui è dovuto incorrere, è ancora lì a dire qualcosa di nuovo e di interessante sul piano squisitamente espressivo.
Per questi e per tanti altri motivi due appassionati, prima che esperti, di cinema hongkonghese del calibro di Giona A. Nazzaro e Andrea Tagliacozzo, i quali si erano già prodigati in volumi quali Il cinema di Hong Kong – Spade, kung fu, pistole e fantasmiJohn Woo – La nuova leggenda del cinema d’azione (oltre ovviamente a un magma di articoli e saggi critici intorno all’argomento) hanno deciso dopo 7 lunghi e affannosi anni di ricerca matta e disperatissima (anche di un editore così audace e spregiudicato che si lanciasse in questa titanica impresa) di dare una sistemazione al loro minuzioso lavoro di schedatura e approfondimento analitico effettuato su un materiale largo e smisuratamente eterogeneo come quello offerto dal cinema di Hong Kong, dando così vita al primo Dizionario dei film di Hong Kong. Ed è proprio in questi termini che il dinamico duo critico, coadiuvato dalla collaborazione dei soliti noti (Alberto Pezzotta, altro illustre conoscitore e estimatore del cinema di quelle latitudini, Pier Maria Bocchi, Mauro Gervasini, etc.), fornisce una massiccia selezione di pellicole (circa 850) che hanno contribuito a formare l’ampio territorio della cinematografia hongkonghese garantendo una lauta messe di informazioni a riguardo (persino il doppio titolo dei film cantonese/mandarino e addirittura la ideografia corretta di tali titoli, prelibata delizia ad appannaggio dei più esperti) partendo per esigenze logistiche (altrimenti la già impegnativa ponderosità del volume avrebbe potuto tranquillamente raddoppiare la portata, e così la fatica degli autori) dal 1979, unterminus a quo significativo che annovera la nascita dell’accennata new wave e la celebrazione di cineasti non ancora famosi come John Woo, Tsui Hark, Johnnie To, Patrick Tam etc., offrendo altresì, oltre ad un utilissimo e intrigantissimo strumento di consultazione, una mappa per orientarsi nell’avventuroso attraversamento di queste lande perlopiù sconosciute e di non facilissima accessibilità, un percorso critico e informativo attraverso la perlustrazione di generi e modelli di una filmografia estremamente diversificata e ricca di elementi linguistici che consente al lettore di andare ben al di là della pura e semplice dizionarizzazione dei saperi.