Recensione, Western

WYATT EARP

TRAMA

La moglie di Wyatt Earp muore di tifo. Con il cuore a pezzi, diventa ladro ed alcolizzato. Il padre lo fa fuggire dallo Stato: diventa lo sceriffo.

RECENSIONI

Ennesima versione cinematografica (ma nata come miniserie TV) su questa figura leggendaria, simbolo statunitense dell’Ovest che si stava costruendo sulla legalità. Se Silverado era un rimpasto creativo di motivi classici, Wyatt Earp, clamoroso flop al botteghino, la “tradizione” la ripropone in modo lineare, senza inquinamenti moderni, poggiando sull’interprete-produttore Kevin Costner (come imbalsamato, ma con convincenti sguardi espressivi), a suo agio nel passo con respiro e nella profusione di sentimenti. Un western con decoro formale (cura nella ricostruzione storica, bellezza di musica, fotografia e paesaggi) e scioltezza drammaturgica, ma nelle sue tre ore e oltre (che non evitano transiti precipitosi: il passaggio di Earp da imprenditore ad aiuto sceriffo del fratello, ad esempio) ci si aspettava molto di più da un Kasdan sottotono, al cui script (a quattro mani con Dan Gordon) manca la scintilla vitale nel contenuto, la sorpresa nelle invenzioni, l’impatto emotivo potente/originale cui ci aveva abituati in altre opere (ci voleva uno scambio di coppie: Kasdan a dirigere il complesso copione di Kevin Jarre per Tombstone, e il rozzo George Pan Cosmatos a iniettare di sangue questo film). I registri vanno dalla tragedia classica al romanticismo sentimentale, dall’epica alla mitopoiesi (le pallottole lo sfiorano soltanto…), ma non c’è elegia: è apparente l’identificazione manichea tra Earp ed il Bene, Kasdan semina forti dosi di ambiguità su di una figura spesso iniqua, indurita dal dolore della perdita, insensibile alle esigenze altrui, tanto autoritaria da essere soffocante, con mire economiche che annichiliscono la Giustizia, per altro più volte tradita in veste di Legge. Vuole restituirci l’uomo pur non spogliandolo della Leggenda, dell’impossibile invincibilità che nasce dal male di vivere e dalla mancanza di paura nella morte (che lo lega a Doc Holliday, ben interpretato da Dennis Quaid, dimagrito di parecchi chili per sembrare un malato di tubercolosi); una figura improntata ai valori dei legami di sangue e dell’amicizia, a scapito di tutto, donne comprese.