TRAMA
Ame e Yuki sono due bambini apparentemente normali, che conducono una vita semplice con la madre Hana, ma in realtà celano un segreto cruciale: loro padre è un licantropo sparito misteriosamente, ed i bambini condividono la sua terribile eredità metamorfica. Come educarli?
RECENSIONI
Dopo avere collaborato con i più prestigiosi studi di animazione giapponesi, Mamoru Hosoda fonda una propria società, lo Studio Chizu, e realizza il suo primo lungometraggio in totale autonomia. Il soggetto attinge al mito e narra le difficoltà di una famiglia atipica. È infatti dall’unione di una donna con un licantropo che nascono un bimbo e una bambina metà umani e metà lupi. È la voce della figlia, ormai cresciuta, a narrare gli eventi a posteriori e il film suddivide il racconto in due parti. La prima è sostanzialmente preparatoria, nel senso che costruisce le premesse, con l’incontro tra la donna e la semi-bestia, i successivi sviluppi affettivi con la nascita di un grande amore e dei figli e poi la fine a causa della morte improvvisa dell’uomo. Nella seconda, invece, ambientata nella casa in montagna in cui la vedova decide di isolarsi, la vicenda entra nel vivo e si sofferma sulla necessità, per i figli, di trovare la propria strada senza condizionamenti esterni. In questo senso il film sembra un po’ un manifesto della generazione X, quando i giovani, carini e disoccupati di fine millennio ripetevano il mantra “diventa quello che sei”. Ed è quello che faranno i due piccoli, inizialmente vittime dell’irrazionalità e quindi incapaci di scegliere, per poi giungere a un punto in cui non di scelta si tratta, ma di urgenza, della necessità di seguire i propri istinti con naturalezza. Su di loro veglia, distante ma sempre presente, prodiga di buoni consigli, mai invadente, pronta al sacrificio, dolcemente ostinata nel portare avanti le sue decisioni difficili, una madre coraggio che è forse l’anello debole della sceneggiatura. Troppo dedita alla causa, senza mai un moto di rabbia che la faccia vacillare, quasi disumana nel suo essere rispettosa e umanissima, una sorta di cyborg ragionevole e di buon cuore.
Personaggio a cui si finisce per non credere e che inficia la semplicità di un racconto che fa dei buoni sentimenti il suo punto di forza. Sorretto da un’animazione tradizionale, con personaggi dal character design che ripercorre le strade rodate a cui il cinema giapponese ci ha abituati (tratti occidentali e occhioni, per intenderci), il film si prende il suo tempo inciampando in qualche lungaggine, ma riesce a porre solide basi per il coinvolgente processo di consapevolezza a cui vanno incontro i protagonisti. Tutto molto pacato, senza sentenze, urla, giudizi, ma anche piuttosto prevedibile e dall’approccio un tantino didattico. Pare abbia una folta schiera di fan che lo adorano.
