TRAMA
Tyler è un atleta liceale che fa wrestling, messo sotto pressione dal dispotico padre per ottenere un’importante borsa di studio. Tyler però è a un passo dal crollo, e le sue azioni rischiano di infrangere l’armonia familiare.
RECENSIONI
Una narrazione, nettamente bipartita, che si apre a racconti paralleli e contigui: alla parabola di Tyler, giovane atleta soffocato dalle aspettative paterne (per tenere testa alle quali si inguaia la vita), fa riscontro (e riflesso) la vicenda della sorella Emily che arriva a dichiarare ed elaborare il senso di colpa per la sorte del fratello (e a condurre lo stesso padre a un percorso simile); lo fa attraverso un’esperienza di crescita: convincere ed accompagnare il fidanzato a salutare il padre morente, affrontando e risolvendo sul filo di lana un’altra genitorialità problematica. Questa linea narrativa, fatta di segmenti accostati e conseguenti, di racconti che si spalancano su altri, è impastata di dettagli minimi, discorsi a cuore aperto e pochissimi eventi. Il racconto - che parla di disciplina e doveri familiari, rapporti genitori-figli, mascolinità tossica, ma anche delle pressioni a cui una famiglia nera è sottoposta in America per mantenere un privilegio faticosamente ottenuto (e che nessuno minaccerebbe se fosse bianca) - è minimalista almeno quanto la forma che lo riveste è massimalista e ipercarica: con la danza malickiana della macchina a mano (il regista fa il suo stage sul set di The Tree of Life, ci avverte Giulio Sangiorgio su Film TV), amplificata dal ruolo determinante assolto dalle canzoni di repertorio (tutte fortemente emblematiche: da I Am a God di Kanye West a Godspeed di Frank Ocean, passando per brani di Tame Impala, A$ap Rocky, Radiohead, Kendrick Lamar etc) e dalle musiche originali di Reznor & Ross.
Impressiona la forza delle immagini a restituire una prospettiva percettiva, il modo in cui il regista riesce a far passare, attraverso il visivo, un mare di sensazioni e a immergerci lo spettatore. Quella che viene praticata è un’autentica aggressione sensoriale che guarda, anche per la libertà della struttura, al music video dell’ultimo lustro, da Tyrone Lebon a Dexter Navy (e al suo modello Gaspar Noé, di conseguenza), con evidente presa d’atto della lezione di un decano come Hype Williams, il cui immaginario sensoriale, fatto di fotogrammi impregnati di cromatismi saturi, è stato di esempio per tutti, anche se nessuno sembra riconoscerlo: si guardi Belly (1998, mica oggi), diventato tacitamente un modello estetico a cui lo stesso Barry Jenkins (inevitabile pietra di paragone per Waves che esce, come Moonlight, per la A24), consapevole o meno, deve più di qualcosa.
Shults - come Xavier Dolan, altro regista che sa far vibrare lo schermo e gira con lo stomaco - usa tutti i mezzi che il cinema gli mette a disposizione per rendere le emozioni dei suoi personaggi: movimenti di macchina, colori, montaggio, suoni, canzoni & musica. E il cambio di aspect ratio dello schermo (già sperimentato in Krisha e It Comes At Night), che qui punteggia tutta la durata del film, ad assecondare umori e mood differenti (quando Dolan cominciò a farlo - Tom à la ferme e Mommy - fu preso per il culo da tanti critici: oggi l’uso espressionista del formato è pratica sempre più frequente - anche nel videoclip -).
Il risultato è ipnotico e affascinante: dall’incubo di Tyler, che si consuma in un’atmosfera notturna - che procede su un registro vaneggiante e acidissimo -, si esce attraverso un lungo tunnel, fuori dal quale, alla fine di un segmento che si percepisce lunghissimo, il film rivede finalmente la luce del sole: è il cambio di prospettiva, la cesura, il passaggio del testimone a Emily, che diventa la protagonista. A quel punto il film prende un’altra direzione in cui della vicenda si valutano le conseguenze, in cui letteralmente si esce dal buio della tragedia, al progressivo chiarore della sua elaborazione. A questo punto il carattere marcato della messa in scena sembra attenuarsi in favore delle interpretazioni, quasi a sublimare su un concreto piano drammaturgico, quello emotivo dell’immagine.
Forma e sostanza: ha le idee chiare Shults.