TRAMA
Angus MacMorrow è un ragazzino solitario e un po’ triste che vive in Scozia e attende fremente il ritorno del padre dalla guerra. Un giorno sulla spiaggia trova un oggetto misterioso. Ben presto scopre che si tratta di un uovo magico e si ritrova ad allevare una strana creatura: il mitico “water horse” del folklore scozzese, più noto come il mostro di Loch Ness.
RECENSIONI
Volendo ricondurre il film di Jay Russell ad una categoria si potrebbe rispolverare la classica definizione “film per famiglie”, creata ad hoc per rassicurare i genitori e vendere più biglietti possibili estendendo l’offerta all’intero nucleo famigliare. I punti cardine del “pacchetto” comprendono: buoni sentimenti a profusione, assenza di ombre, con buoni e cattivi facilmente riconoscibili, valori solidi da tramandare (eroismo, spirito di sacrificio, solidarietà) e qualche lezioncina da impartire (tipo “l’amore vince su tutto” o “non c’è niente di più forte dell’amicizia”). Alla base, l’omonimo romanzo di Dick King-Smith (lo stesso di Babe – Maialino coraggioso) in cui si racconta l’incontro tra un bambino e una creatura anfibia. Molteplici i riferimenti cinematografici, da E.T. al recente Gamera the Brave (dalla trama molto simile), e dei più classici il conflitto messo in scena: sarà possibile l’amicizia tra il bambino e il mostro lacustre una volta che l’animale, superata la fase inoffensiva dell’infanzia, sarà cresciuto a dismisura sfoderando la sua naturale aggressività? I tecnici della Weta, dopo Gollum e King Kong, danno vita a un’altra creatura digitale credibile, ma se il punto di forza delle precedenti sfide in computer grafica era l’epressività, il novello mostro di Loch Ness funziona soprattutto nelle interazioni con gli umani, mentre a livello di mimica facciale risulta meno convincente dei predecessori. Il punto debole del progetto sono comunque la sceneggiatura di Robert Nelson Jacobs (suo anche l’insincero The Shipping News) e la direzione di Jay Russell (Squadra 49, Tuck Everlasting – Vivere per sempre, Il mio cane Skip), che non riescono a raggiungere un’efficace complementarietà. La linearità della narrazione e la totale assenza di sorprese, sia nei caratteri che negli sviluppi, non trovano infatti guizzi registici in grado di creare la magia o anche solo un’atmosfera sufficientemente coinvolgente. Tutto è subito evidente e si srotola agli occhi dello spettatore con indubbia professionalità senza però evitare lo sbadiglio. Anonimo anche il commento musicale di James Newton Howard (sei colonne sonore in un solo anno sono forse troppe). I bambini, comunque, almeno i più ingenui, apprezzeranno.
Secondo la leggenda celtica, il cavallo acquatico del titolo era una creatura marina che si trasformava in stallone sulla terraferma e trascinava negli abissi i malcapitati cavalieri. Il suo ‘figlioccio’, il mostro di Loch Ness, ha un pedigree mitologico meno strutturato e codificato e permette opere colme di misteri su cui (re)inventare: funzionava, più o meno, Loch Ness di John Henderson, funziona (meglio) quest’opera tratta dal racconto di Dick King-Smith (quello di Babe-Maialino Coraggioso), inglese che sa iniettare, nelle sue favole animaliste colme (anche) di carineria, sottotemi cupi e risvolti inediti. Jay Russell (Il Mio Cane Skip) è un regista per famiglie, “disneyano”, ma la sceneggiatura del bravo “favolista” Robert Nelson Jacobs (Chocolat, Dinosauri, The Shipping News) sa destreggiarsi fra tappe obbligate e temi importanti (l’elaborazione del lutto, l’orrore della guerra sempre e comunque), con passaggi in cui l’ingiustizia e la stupidità umana caricano gli animi di rabbia disperata, emozionando nel momento della rivalsa della Natura. Una scena come quella in cui “Crusoe” (così il bimbo chiama il drago marino), traumatizzato dal bombardamento inglese, diventa talmente feroce da rischiare di uccidere il proprio padroncino, fa la differenza sull’appiattimento del politicamente corretto e trasforma il cucciolo casinista, poi “mostro” imponente, in un vero personaggio. La pellicola è forte, anche, dei meravigliosi effetti digitali della neozelandese Weta di Peter Jackson (la Workshop ha preparato i pupazzi, la Digital le animazioni, ed è arduo distinguerli: buon segno).