
TRAMA
Schnautz ha un rapporto d’amore-odio con i suoi genitori, molto menefreghisti. Si sposa e va a vivere a Monaco per dimostrare loro che sa cavarsela da solo. Ma la vita è dura, i debiti tanti.
RECENSIONI
Una delle opere migliori del Fassbinder minimalista, povero (complice la matrice televisiva), di contro alle sue produzioni formalmente raffinate, kitsch e debordanti. L’attore protagonista, Vitus Zeplichal, è formidabile nelle sue espressioni con gli occhi stralunati, la costruzione narrativa è praticamente perfetta nel restare aperta a suggestioni diverse, la scrittura è ricca e piazza in modo compiuto il significante, compresso dai mezzi limitati e (per forza) giocato-incentrato sulle sfumature comportamentali, sul “realismo”. Ritroviamo Douglas Sirk (i rapporti conflittuali in seno alla famiglia), i giochi di specchi, le simboliche composizioni visive (la madre “ricoperta di fiori” dal figlio: ma è un gioco di sovrimpressione della prospettiva), Godard (l’intervista, le didascalie), la struttura straniata (i flashback non annunciati), ma è l’aderenza psicologica a colpire nel segno con un generoso, complesso, stimolante quadro sulla mancanza d’amore che comporta reazioni estreme nel bisognoso (notare che Schnautz tende a riprodurre, con la moglie, l’unico modo in cui il padre gli ha trasmesso affetto, tramite il denaro) e contro una società ingiusta fondata su consumismo e sfruttamento capitalistico: la coppia di neo-sposi, sobbarcata di debiti e soffocata dal giornaliero argomento-denaro, è una triste, inevitabile realtà dell’Occidente. I modi sono quelli di un cinema di denuncia che, in parte, anticipano il Close-Up di Kiarostami (l’intervista in carcere e l’indagine filmica su di un crimine non compiuto) e certe tematiche di Ken Loach (il lavoro operaio, il rapporto d’amore fra proletari…). Pessimista, si chiude con la domanda: “Lei è felice di vivere?”. Silenzio doloroso.
