Focus Creep (Matt Irwin e Aaron Brown, prolificissimi quest’anno) ha una marca visiva inconfondibile: immagini sgranate, spesso in acido, con difetti in evidenza, fotogramma saltellante e storie in evidente subordinazione a un’estetica immaginifica. Questo Blood for Poppies, che segna il ritorno dei Garbage, è un video in salsa vintage (ci sta, anche da un altro punto di vista: i Garbage sono ancorati strettamente ai Novanta e non li mollano) in bianco e nero, che mescola le sue suggestioni surrealiste (c’è persino una citazione esplicita a Un chien andalou) a materiale d’epoca, assecondando le improvvisazioni on the road tipiche del duo di registi.
Voto: 7
L’attore Brady Corbet debutta alla regia del videoclip e fa subito centro: Man on fire di Edward Sharpe and the Magnetic Zeros è un documento filmato in due giorni, un profondo e nello stesso tempo lievissimo sguardo sulle diverse realtà coreografiche nell’ambito newyorkese: dalle palestre alla strada, fino ad arrivare al maestoso finale con il New York City Ballet. Galleria di volti, umanità vera dentro e attorno al fenomeno, spaccato di una realtà in cui il lustrino è sempre un accessorio, il sudore cola, la passione respira. Tutto questo nel video non è solo testimoniato, ma appare vivo, tangibile.
Voto: 8
In Tessellate di Alt J, Alex Southam mescola due suggestioni: quella del tableau vivant rivisitato, in odor di LaChappelle (lo sfondo è La Scuola di Atene di Raffaello abitato da una fauna gangsta), e il cropping di Garth Jennings per Imitation of life dei R.E.M., titolo decisivo degli anni Zero. Come nel nobile predecessore (ma con minor rigore, stanti gli stacchi e gli evidenti interventi postproduttivi sul girato) abbiamo un’ (apparente) unica sequenza sulla quale si opera con wind e rewind, in modo da far coincidere la progressione del brano con quanto avviene sul set. Il discorso, ribadiamo, non ha la stessa coesione, vista la minore continuità (il montaggio è visibile), ma non la cerca neanche, ponendosi come obiettivo principale la sintonia tra la staticità dell’impianto visivo e la sinuosa orizzontalità del brano.
Voto: 7
Young Replicant ci affascina sempre: non demorde da una poetica che fa dell’onirismo la sua marca di riconoscimento, ambientando le sue storie in una dimensione neutra, in cui realtà e fantasia si sovrappongono e in cui l’ambiguità del significato si afferma come una presa di posizione. Fineshrine dei Purity Ring ci propone il duo in grande forma, con un racconto a vari livelli il cui tenue filo si annoda a un’altissima resa del dettaglio. Vediamo come si struttura la narrazione:
#1
realtà: la protagonista è a letto, riporta le ferite di un incidente: sta sognando; si sveglia e il suo uomo la guarda. Questo livello si palesa nel finale del video e rivela quanto visto fino a quel momento come frutto di una visione.
#2
sogno: il video comincia in una fase che è già delirante, con la protagonista che si sveglia nella sua stanza (poco prima stava sognando – livello # 3 -), ha dei lividi sul corpo, fuori un aereo precipita (elemento che richiama l’incidente fatale, nei fatti o solo simbolicamente) ed è il suo uomo ad essere a letto, ferito e ricoperto di bende. La donna comincia a togliergliele, il corpo di lui è in parte di bronzo; quando l’uomo scompare la ragazza si accovaccia sul letto e si addormenta. Ritorna al sogno interrotto.
#3
sogno nel sogno: la protagonista si cala in una dimensione onirica di secondo livello e riemerge nelle acque di un laghetto nel quale ritrova il suo uomo nelle fattezze mitiche di una statua; da una spaccatura del torace guarda nel livello # 2 in cui il suo uomo è a letto bendato.
E’ sempre esemplare il modo in cui, pur portando avanti una suggestione narrativa forte, il duo riesca poi a fare dell’immagine il punto di forza dei suoi lavori, con una visionarietà tanto potente quanto condivisibile.
Voto: 8
Scisma in casa Canada: il collettivo barcellonese perde il suo capitano Nicolás Méndez e diventa un duo (come successo agli appena citati Young Replicant). Non ci sorprende: le comunità di registi di video sono entità di per sé mobili e destinate fatalmente a disgregarsi. Nel caso dei Canada, poi, autori che hanno segnato indelebilmente gli ultimi due anni di videomusica, indiscussa firma coolest del periodo (li celebravamo per l’ennesima volta proprio nello scorso numero), sorprende ancora meno, stante le numerose sortite solistiche (per quanto griffate col noto marchio) e il moltiplicarsi delle richieste. L’ultimo lavoro, New Lands, che sancisce il divorzio (rimangono in campo Cerveró e Serrano), si presenta come una tappa importante: è il nuovo video dei Justice, gruppo che ha sempre attribuito grande rilevanza al mezzo e ai realizzatori cui affidarlo (quasi sempre francesi, da Gavras a Salier, da So Me a Jonas & François, i due non hanno praticamente mai sbagliato un colpo e hanno fatto delle clip uno dei punti di forza del loro successo) ed è il più alto budget che il collettivo spagnolo si sia mai trovato tra le mani (forse il più alto del’intera annata, sponsorizza Red Bull, del resto).
Facile riscontrare un brusco cambio di marcia: bando al noto armamentario surrealista, al softcore anni 70, bando alle libere associazioni, al collage folle e destrutturato che erano prerogative precipue di Méndez, e invece porte aperte a una narrazione più tradizionale, in un’unità di luogo e con una scansione del tempo contenuta e riconoscibile. A ben guardare in questa partita di uno sport che ne racchiude tanti, violento e sovraordinato, lo strato citazionista c’è ancora ed è bello evidente, anche se è meno caratterizzato del solito e più dispersivo: da Rollerball (riferimento principe) a The last boy scout, dall’animazione giapponese a Any given sunday di Stone.
Difficile dire quanto queste scelte appartengano in toto ai Canada, quanto peso (parecchio presumiamo) abbia avuto la committenza, quanto la questione sia alla base del presunto dissidio tra i registi, però è il caso di sottolineare che se il cambio mette in luce, ancora una volta, l’indiscussa capacità di messa in scena degli spagnoli che propongono un directing francamente impeccabile, dall’altra parte il video delega tutto alla sua grandiosità e all’art direction, senza sviluppi, senza colpi d’ala, vivendo dall’inizio alla fine sul suo citazionismo e sul suo apparato formale.
Per il futuro è il caso di dire: vedremo.
Voto: 7
– The Shins, dopo i Daniels, affidano a Hiro Murai il loro nuovo video, It’s only life [foto]: sulla Terra appaiono strane creature, l’umanità è sparita, il mondo abbandonato è un gioco in mano a un bambino. Troppo Shyamalan, ma contestualizza a dovere la performance.
– Her Fantasy, diretto da Tommy O’Haver, presenta un performante Matthew Dear, sempre più emulo di Bowie, al centro di una girandola onirica sacrosantamente Eighty.
– Fuga dalla piccola provincia dell’Est in Little Girl degli Spiritualized che riporta ancora su queste pagine un Vincent Haycock in versione efficacemente narrativa.
– Un’esuberante Meredith Danluck per Sébastien Tellier e il suo Russian Attractions: coreografia di nuoto sincronizzato in un trionfo caleidoscopico sorretto dall’esaltante montaggio. Tellier non sbaglia niente quest’anno e rende ragionevole il nostro amore insensato.
– La bocca è l’orifizio privilegiato in I’ll cut you dei Vuvuvultures. E’ tutto un divaricarsi di labbra e di stimmate in questa loffia celebrazione firmata James Copeman.
– Splendido lavoro fotografico di Dylan Wiehahn per Johnny Belinda, degli Active Child (bellissimo album, tra l’altro), video girato in Australia durante una tempesta estiva. A tutto schermo, please.
– Un riepilogo dell’operazione video avviata dai Sigur Ros, Mystery Film Experiment, che affida a diversi registi i dodici brani dell’ultimo album: si tratta di opere di valore diseguale, che vanno dall’inutile al suggestivo, dall’arty fuffoso (con Shia LaBeouf) al contemplativo (il migliore).
Spacejunk, invitato dal Promax BDA, assieme ad altri otto studi prestigiosi, a fare un video di una canzone dell’era pre-MTV, scegle questa.
Una chicca.
E non dite che non vi penso.
Hype Williams loga inizio e fine del suo Freedom at 21 per Jack White: come suo solito ci tiene a non essere dimenticato (e fa bene). Soliti ritmi indiavolati con il musicista, figura quasi spettrale (burtoniana?), che passa un po’ di guai e la donna, entità fatta di carne e colore, che lo insegue e lo stuzzica. La performance è a a scandire. Williams ci ha oramai abituati alle sue ricette piene di cliché consapevoli: un video che sarebbe anche un po’ routinario se non ci fosse lui, Jack Manidiforbice, ad animarlo da par suo.
Perché Jack, se non lo si è ancora capito, è il migliore di tutti.
Voto: 6.5
L’estate. Ah, l’estate.