Il mese più ricco dell’anno.
Pleix
E’ un grandissimo ritorno quello dei Pleix (il collettivo parigino era qualche anno che non realizzava clip musicali) con Aydin dei Discodeine (con la voce di Kevin Parker dei Tame Impala): animazione psichedelica ambientata in una villa piena di ragazze in bikini in stato di incoscienza. In flashback viene riproposto tutto quello che era accaduto al famigerato piscina-party.
Poco importa, comunque, della trama, il video è una avvolgente allucinazione che testimonia di uno stile oramai altissimo: perfetto dominio dello spazio, smagliante acidità dei colori pastello, superba mobilità delle figure, Aydin è girato integralmente in CGI (con una complessa postproduzione che ha visto l’utilizzo anche del 3D per differenziare i piani e rendere l’effetto finale più dinamico) e rappresenta un trionfo plastico che cattura e incanta.
La Francia dà una pista a tutti, lo ribadisco per coloro ai quali questo concetto non sia ancora sufficientemente chiaro.
Voto: 8.5
David Wilson
E a proposito di animazione, impossibile non segnalare quella bellissima firmata David Wilson per Arctic Monkeys. Do I Wanna Know? parte minimale, con pochi tratti a seguire le evoluzioni ritmiche della canzone, per poi esplodere in un turbine di invenzioni allucinate, già sperimentate nel connubio con la real action di Mind Mischief dei Tame Impala. Esaltante.
Voto: 8
Danila
Ma che delizia questo video che narra dell’amore di una coppia attraverso una serie di momenti dai quali traspaiono gioia, divertimento, ossessione, contrasto. Le schermaglie hanno un sapore vagamente godardiano che si mescola al sempre in voga registro surreale, ma il tutto con una freschezza e un’inventiva fuori dall’ordinario. Round Round Song di Adrian Sieber è diretto da Danila (Kostil) che ritrae l’idillio attraverso miniloop continui che sottendono l’utilizzo di una tecnica semiartigianale (l’effetto è ottenuto attraverso animazioni gif) associata a una complessa postproduzione in VFX.
Voto: 7
David Barnes
Ci si prende a pallate in un match di dodgeball all’ultimo sangue, uomini contro donne: è una lotta sessuale ad ogni livello, le ragazze profittando della loro avvenenza per vincere la partita. Citando un certo modo sessista di ritrarre la donna (pose plastiche da commercial, i gesti, le mise) e facendo ricorso a una postproduzione che accentua il carattere da videogame dell’azione, Asphyxiation degli Autoerotique è un’operazione tanto ironica quanto forzatamente provocatoria. La volontà di accaparrarsi un marchio NSFW è abbastanza chiara (il fuck you è programmatico del resto).
Dirige il canadese Amos Le Blanc e, casomai non foste paghi, qui c’è il dietro le quinte.
Voto: 6
Amos Le Blanc
In Hit Me dei Suede è intelligente l’assunto della profanazione dell’opera d’arte operato da due giovani vandali all’interno di un museo: statue rotte, quadri deturpati, objects di arte contemporanea devastati, furia iconoclasta come blasfemo inno alla vita che si contrappone al dato funerario dell’arte seppellita nelle collezioni museali. Anche da un punto di vista visivo la questione rende molto bene. Il dato, però, è completamente ribaltato dal finale a sorpresa, che rivela i due protagonisti come performer di un’installazione artistica e che stravolge tutte le conclusioni più o meno ardite e filosofiche fino a quel momento tratte. Signori, il corto circuito di David Barnes è servito.
Voto 7
Young Replicant
Young Replicant si sono affermati come una delle novità più stimolanti del campo videomusicale dell’ultimo bienno: clip personali, visivamente riconoscibili, con congegni narrativi a chiave estremamente originali. Oggi il team (nato come un trio, poi come un duo con collaboratori occasionali) non esiste più e Young Replicant è ufficialmente un solo regista: Alex Takacs. Dopo la prova di pura griffe (Chained degli XX, primo titolo da regista in solitaria), il videomaker propone un viaggio onirico tipico del marchio, First Fires di Bonobo: la storia d’amore tra i protagonisti è resa attraverso dislocamenti temporali e spaziali e un forte simbolismo (le forze in conflitto: l’acqua e il fuoco) che si traduce in termini visivi virati su tonalità contrastanti, con momenti di altissima suggestione. La clip conferma l’agio con il quale YR si muove quando ha a che fare con brani dilatati e atmosferici che gli sollecitano una vena felicissima di visionarietà mai gratuita, ma sempre ancorata a una struttura narrativa solida e ragionata.
Voto: 7.5
Il secondo video con gli XX, Fiction, conferma l’altro trend, già constatato con il precedente Chained: per un brano di struttura tradizionale (e performance) il regista tende a prestare un apparato visivo raffinato (qui un bianco e nero denso e corposo), ma risulta molto meno complesso sul piano dell’ideazione (il ruolo del duo musicale pare essere decisivo a riguardo): lo spunto di un viaggio mentale (il regista parla esplicitamente di un sogno borgesiano) al di fuori della villa losangelina in cui si è consumata una festa e il cammino verso l’alba (l’ammicco al noir lynchiano è palese) è poco più di un escamotage per dare forza alla notevole ambientazione e alla chiaroscureggiante fotografia.
Voto: 6.5
Harrys
E finalmente si trova l’occasione per parlare di HARRYS, duo registico in quota Partizan: il famigerato genere del video-performance viene ripensato attraverso una considerazione del tutto prioritaria data all’ambientazione. Il performer è sempre in un contesto ben definito, come accadeva nei videoclip d’antan, con pochi elementi a supporto, ma molto evidenti. Si guardi in questa chiave il profluvio di immagini desaturatissime (in formato 4X3), in perfetta linea con le cadenze cantautoriali e Seventy del brano, di Never Run Away (voto: 7.5) con un Kurt Vile nella periferia di Phiiladelphia o la crescente importanza data alla figura umana immersa nella natura di Say That di Toro Y Moi (voto: 8).
La tendenza ad esaltare il contesto come elemento imprescindibile della performance, la si riscontra nel loro ultimo lavoro, Letter of Intent dei Ducktails [foto], delicata quanto incisiva cartolina newyorkese (voto: 8) e nella narrazione stratificata di So Many Details (voto: 8) – ancora per Toro Y Moi e ancora con performance – i cui strategici momenti iconici e derive stilosissime, al limite della parodia, confermano nei registi (che provengono, radice in rilievo, dal fashion video) un’ironica consapevolezza post nell’approccio alla clip musicale.
La fotografia di Evan Prosofsky è, in tutti i titoli citati, elemento decisivo.
Joe Vanhoutteghen
Il malessere descritto dai video di Joe Vanhoutteghen è certezza visionaria. Sinking Ship per i Balthazar è un video malarico dei suoi, tutto giocato sull’atmosfera e su idee visive molto potenti. Muovendosi ai confini della realtà, su un livello distopico che si impone attraverso sottigliezze parakafkiane e spirali psicanalitiche, la clip, bellissima, conferma, da un lato, la persistenza di un mondo poetico venato di pessismismo e quotidianità orrorifica e, dall’altro, l’imporsi oramai definitivo di uno stile personalissimo in cui il senso di minaccia incombente è reso attraverso un uso molto espressivo della macchina da presa, dello spazio, del lavoro sull’acida fotografia e su un acting sempre debitamente allucinato.
Poche uscite, tutte di assoluto rilievo: il regista belga si avvia, con calma ma inesorabilmente, a divenire di culto.
Voto: 8.5
Ryan Patrick
In Fucked Up di Joel Compass, operando con un morbidissimo ralenti nell’ambito dell’unico ambiente e dell’unica circostanza, il regista gioca con rimorsi e desideri del protagonista, sdoppiandolo, stratificando i tempi e rivelando all’occhio dello spettatore la sua doppia immagine (presente e passata), la cronologia procedendo e retrocedendo. Un lavoro raffinato, di composizione visiva levigata, quasi pittorica, con un congegno narrativo – nel quale si incastra molto bene la performance – che rende ambigua e variamente interpretabile la storia di un (possibile) tradimento.
Pregevole il lavoro fotografico di Tom Banks e le sovrapposizione in VFX di Hunter Schmidt.
Voto 6.5
Nabil
Sappiamo quanto Nabil ami alternare a narrazioni e produzioni più complesse, lavori giocati su grandi scenari naturali (è stato lui, lo abbiamo già detto, a definire la Natura the best low budget art director on the planet): il video dei Foals Bad Habit è allora ambientato in un deserto dove il cantante del gruppo insegue l’immagine di una donna nuda che lo precede. Il miraggio è evidenziato da una serie di dettagli immaginifici che danno la misura del deliquio in cui l’uomo è caduto fino allo sbriciolarsi letterale della sua visione.
Nabil, come d‘abitudine in questi video, lascia parlare molto il contesto, operandovi con pochi ma decisi inserti in VFX. Anche stavolta il risultato è all’altezza del suo standard. (voto: 7.5).
Infaticabile, il regista australiano ha anche co-diretto con Mike Piscitelli i Poliça in Tiff feat. Justin Vernon: è un torture-porn in cui la protagonista (la frontwoman del gruppo) sevizia se stessa. Nient’altro a distrarre l’attenzione, solo la sistematica violenza volta a punirsi senza pietà. L’approccio tematico è da un lato interessante, dall’altro può suonare facilmente provocatorio (e infatti la discussione si è puntualmente innescata); rimane, come dato certo, la realizzazione di prim’ordine.
Fleur & Manu
Con Pursuit dei Gesaffelstein il duo francese firma lal sua migliore clip ad oggi e ci regala una delle visioni più significative dell’annata. Le continue carrellate all’indietro accompagnano la storia di un ragazzo e una ragazza, discendenti di una dinastia di regnanti, e del cammino per il perseguimento (pursuit) del potere.
Patrick Daughters
Gli Yeah Yeah Yeahs tornano a Patrick Daughters (che aveva debuttato nella videomusica proprio con loro). Una clip che pare costruirsi momento per momento e che si conclude con un crescendo miracoloso in cima all’Empire State Building: non dico di più, godetevelo, perché Despair è, realmente, un video performance da antologia, quello che asseconda la canzone senza mettere in mostra la sua millimetrica costruzione, che sembra sprizzare spontaneità a ogni fotogramma laddove invece è, al cento per cento, una creazione pensata-per-emozionare.
Classe immensa.
Voto: 8
Canada
(Quel che resta dei) Canada, oramai, lavora col contagocce e solo per commissioni importanti. Dopo il video kolossal per i Justice eccoli all’opera per i Phoenix, gruppo ben deciso a supportare il suo album con clip di prima scelta (il precedente era di Daughters). E non c’è dubbio che questo Trying To be Cool sia un lavoro coi fiocchi, girato ultrabene, pieno di verve e perfettamente coerente con gli umori del brano musicale. Però è anche un video che, sancendo il definitivo abbandono del mondo visivo che il transfuga Nicolás Méndez era riuscito a creare e che tanti imitatori ha avuto in questi anni, testimonia anche di un sostanziale smarrimento di identità. Ecco allora che gli spagnoli da imitati diventano imitatori, calcando in maniera evidente il solco di quello che ho definito video-exploit e che ha negli OkGo (ne parlo anche più avanti) i suoi primari e definitivi cantori. Lo svelamento del set come campo di un gioco in cui a ogni svolta si alza la posta (il video si fa in tempo reale sotto i nostri occhi, il conteggio alla rovescia palesa la durata delle sequenze e lancia il relativo cambio di inquadratura – le camere sono due e si alternano -) regge un impianto che è senz’altro riuscito rispetto all’intento di partenza, ma che risulta anche già visto e spudoratamente derivativo: un filo di noia e molta perplessità.
This is not Canada.
Voto: 5
LAMAR+NIK
Salto di qualità per il duo americano alle prese, nientemeno,
che con il ritorno di una delle band di maggior culto degli ultimi anni, i Pixies. Per Bagboy, primo video in dieci anni per il gruppo, L+N si muovono su una spumeggiante narrazione: le allegre scorribande per il supermercato di un ragazzino (è il fratello minore di Nik Harper) culminano nell’uso poco ortodosso della spesa una volta a casa. E’ un video che conferma il trend felicemente alternativo del duo, integerrimo nel suo intento di sfuggire gli schemi e di inseguire idee e ricerca, prescindendo da budget e condizioni oggettive (si gira nella casa materna di Jesse Lamar High…). La clip, che all’inizio cita Magnolia, illustre precedente del duo, è perfettamente sintonizzata sul brano e ha consacrato definitivamente due registi su cui abbiamo scommesso da subito. Fotografia dell’immancabile Spenser Sakurai.
Ho fatto due chiacchiere con Nik.
Com’è avvenuto il contatto con i Pixies?
Attraverso alcune conoscenze i loro manager ci hanno cercato per proporci il video. Ovviamente eravamo stupiti e abbiamo subito detto di sì.
Quanta libertà avete avuto in questo progetto e nella sua elaborazione?
Non abbiamo avuto molti limiti. Abbiamo potuto svilupparlo con qualunque idea sentivamo potesse funzionare. Dopo che hanno accettato il nostro trattamento, abbiamo aggiunto una serie di cose che ritenevamo coerenti con l’abbozzo che gli avevamo inviato.
Trovo che questo video faccia incrociare con molta efficacia la narrazione con il discorso concettuale che vi caratterizza. E non abbandonate la vostra ricerca sul fronte dello stile: penso al modo in cui giocate con i colori e con la composizione dell’immagine.
Sì assolutamente. Eravamo eccitati all’idea di poter dare a questo video un taglio più cinematografico: nei precedenti sarebbe stata dura. Per esempio, Magnolia avrebbe dovuto essere tagliato molto per permetterci degli shot cinematografici. E’ stato molto divertente avere la possibilità di aggiungerli in questa occasione.
Cosa si prova a passare da video di nicchia a un lavoro che, in un paio di giorni, ha raggiunto il mezzo milione di visite?
Beh, adesso viaggia intorno agli 850 mila ed è pazzesco. E’ davvero strano che tanta gente abbia visto il nostro video. Ovviamente molte di queste sono visioni ripetute, ma per noi è; veramente esaltante!
Altre amenità
– Inquietante l’ultimo video diretto dal beniamino Ninian Doff: un’unica idea visiva, ma potente, e una narrazione distopica che cresce inesorabile: The Initiation [foto] permette una nuova controversa incarnazione al rapper, poeta, artista Mikky Blanco (figura eccentrica, stranamente queer in un ambito ultramaschilista come quello del hip hop, nel quale bazzica quasi per caso; si definisce cross dressing poet extraordinaire).
– Torna Dan Black e lo fa ancora con gli Chic & Artistic: peccato che questo Hearts sia uno di quei video-exploit (un time lapse della durata di 24 ore, un fotogramma ogni 16 secondi) che solo all’idea parte sbadiglione. Se anche il duo parigino comincia a calcare le orme degli intollerabili OKGo veramente addio. Ma sono sicuro che è una sbandata temporanea.
– Tableau vivant dissacrato e bizzarrie a condimento? L’ultima cena che è in realtà l’ultimo festino? E ci dovrebbe colpire? Divertire? Il fatto che a quel tavolo siedano Chromeo, Dirty Projectors, Sky Ferreira e Santigold dovrebbe impressionarci? Diane Young dei Vampire Weekend diretto da Primo Kahn è innocua robetta (crasi di roba fighetta).
– Non è un’idea nuovissima (anche Spike Jonze l’aveva usata) ma è un video molto ben confezionato questo Mon Pote di Flynt feat. Orelsan. Partendo dal testo della canzone (mon pote = il mio amico) il video inanella una serie di frammenti in cui i due performer sono inseriti, con accortissimo uso di VFX, in immagini di film ultra riconoscibili (buddy movie e non, si va da L’odio a Il grande Lebowki, da Kubrick a Landis). Il regista è un giovanissimo videoanimatore parigino qui al primo grande approccio con l’industria. Qui il making of
– Un Disneyworld scorrettissimo vive in Shit Happens dei Naive New Beaters: molto fresco, nonostante l’idea non sia nuovissima. Dirige Esteban.
– Yes. It’s a love song dei The Cheek of Her è stop motion soporifero: se qualcuno supera il primo minuto me lo comunichi. Grazie.
– Si sogna ciò che si è perso: Moves dei Bright Light è diretto da Paul Frankl e coreografato da Tim Casson.
– Isaac Rentz come al solito non la manda a dire [foto]… E aggiunge alla sua esternazione un video performance con narrazione incorporata (molto, molto ambigua): Wear We Out di Skylar Grey.
– Video Marsch inconfondibile e senza tentennamento alcuno: Zenaida dei Pick a Piper
– Il videoartista Daniel Askill in pieno Rybczyński mood con un falso piano sequenza notturno su paesaggio e interni, con i membri della band (sovrapposti) in apparizioni strategiche: Fragment 2 dei These New Puritans, tanto pregevole quanto glaciale.
– Orgia effettistica in Gun dei Chvrches, fantasia in datamoshing firmata Pensacola.
– I francesi AB/CD/CD si fanno passare l’ennesimo sfizio, ma non vanno mai oltre: A Tattered Line of String per The Postal Service.
– Due video di Emil Nava: dentro e fuori dal set in Wild di Jessie J (professionale, ben fatto, inutile come quasi tutto quello che realizza il Nostro) e un decisamente più interessante What Love is Made of di Katy B.
– Stranamente fascinoso questo Atomic Man dei Portugal.The Man, diretto da David Vincent Wolf.
– Ben fatto, notevole effettistica, ma narrazione debole: Radioactivity dei Kyasma, per la regia del belga Jean Paul Frenay.
Chicche
– David Lynch per i Nine Inch Nails: un video di disagio primario che mescola il taglio digitale delle ultime cose ai mostri dell’inconscio delle sue opere d’arte. Came Back Haunted [foto] sfiora l’esercizio, ma ci informa che il fuoco continua ad ardere sotto la cenere.
– NOWNESS sciala e appende alla parete un Sigismondi, piazza sul piedistallo un De Thurah e in una teca di cristallo un bel Soderlund.
E questo Psycho Nacirema di Douglas Gordon, ispirato a Hitchcock e interpretato da James Franco.
– Di volata, ma meriterebbe molte parole (rimandiamo al consuntivo 2013 il perché Justin Timberlake quest’anno non ha sbagliato niente): un incanto questo Tunnel Vision, che si candida a miglior video performance dell’anno. Diretto da Jonathan Craven, Simon McLoughlin e Jeff Nicholas, della scuderia losangelina Uprising Creative: il brano più bello dell’album meritava una cosa così.
– E’ infine uscito il video (molto bello) di Agence France Presse di cui Alden Volney ci parlava nella sua intervista.