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VIDEO DELL’ANNO 2024 – TOP 20


#20

Heat (Tove Lo & SG Lewis)
diretto da David Wilson

David Wison, il miglior regista brit degli anni 10, mette in scena la performance di Tove Lo e SG Lewis, sul palco di una discoteca, come spudorata esibizione camp. L’atmosfera gioiosamente orgiastica, le sparse nudità, i microfoni fallici e gli accenni inequivoci a rimming e fellatio (c’è un backstage bello animato) portano il Tubo ad applicare al clip l’obbligo alla login. Ma è un piacere constatare come nella videomusica ci siano ancora registi che, pur rischiando l’imposizione di certi paletti, riescono a proporre una sfrenata visione d’autore con l’appoggio di artisti e discografici illuminati.
C’è un trittico in ballo: aggiungere questo e questo.
Che Wilson sia in forma più che mai ce lo dice anche il notevolissimo performativo per Mabel feat. Shygirl che inanella quadri sfioziosissimi e li ibrida all’adorata animazione. La sua annata varrebbe oro anche solo per questa “cosetta” qui.

#19
Two Night (Tierra Whack)
diretto da Alex Da Corte

Ispirandosi alla pop art e al surrealismo, è una quindicina d’anni che l’artista americano Alex Da Corte spazia tra installazioni, sculture, dipinti, performance e video, rimodellando ed esasperando frammenti della cultura popolare e consumistica americana: opere da un lato sgargianti e leggere, dall’altro angoscianti nella loro asprezza satirica. Nel 2019 alla Biennale di Venezia presenta Rubber Pencil Devil, tre ore di proiezione in un ambiente che funge da estensione poetica di quanto proposto sullo schermo: 57 cortometraggi che si riferiscono ad altrettanti classici televisivi americani per bambini in cui l’artista interpreta molti dei personaggi (dalla Pantera Rosa a Popeye) secondo un registro che si fa spettrale, l’umorismo smentito dal ritmo rallentato delle immagini. Nella videomusica, un linguaggio che frequenta regolarmente, di Da Corte va ricordata la collaborazione con St. Vincent per New York (2017) che, nel suo offrire una versione «sfocata e fratturata, sognante e piatta» della Grande Mela, tra set iperstilizzati e coloratissimi, costituisce un valido compendio della sua arte. E il sodalizio con Tierra Whack (Two Night è parte di un ciclo): è un clip straordinario, girato integralmente in CGI, che vede una gigantesca riproduzione gonfiabile dell’artista sorvolare Philadelphia. I cittadini, infastiditi, cercano di abbatterla e di darle fuoco, ma una volta distrutta, rendendosi conto di aver perduto qualcosa di bello, ne commemorano il ricordo. Grande metafora.
Da Alex da Corte anche questo elegantissimo performativo per Kim Deal.

# 18
Taste (Sabrina Carpenter)
diretto da Dave Meyers

Da tempo nell’ambito del mainstream non si vedeva una videocommedia così divertente e spregiudicata (dobbiamo risalire a questa Rihanna coi Megaforce, quindi a un sacco di anni fa). A Dave Meyers tutto si può rimproverare, tranne che gli manchino coraggio e soluzioni: qui Carpenter alle prese con una rivalità amorosa (lei è Jenna Ortega) e con una sfilata di confronti di violenza spinta e coreografatissima. Si cita La morte ti fa bella e, nelle atmosfere, tanto cinema hollywoodiano pop, ma soprattutto si gode di questa storiella di sorellanza (che vi aspettavate?) dall’inizio alla fine.
Da Meyers anche questo, al meglio della sua cifra massimalista e ipereccitata qui al servizio di due star disposte ad assecondarla in un set di situazioni in bizzarro accumulo. Fantasioso, citazionista, montato divinamente: polverizza un’idea al secondo.

#17
Fortnight (Taylor Swift feat. Post Malone)
diretto da Taylor Swift

È da tempo che Swift si autodirige i video, lo fa con esiti alterni, mai disprezzabili, e sempre con autorevolezza, sulla scorta di idee molto precise di messa in scena. Fortnight è il suo risultato migliore: partendo da un immaginario da film muto e da horror claustrofobico, il film ritrae l’inseguirsi tra Taylor e Post Malone attraverso diversi livelli narrativi, tutti consegnati a un visionario asettico, vagamente debitore delle prospettive deformate di Povere creature!, ma senza pedanterie e in una successione di quadri seduttiva per freschezza e aderenza alla traccia. In un’epoca di video al risparmio, questo è anche un prodotto che va apprezzato perché, ponendosi fuori dalla congiuntura, sfoggia una dispendiosità dei mezzi funzionale e lucida, mai vuotamente ostentativa. Decisiva la fotografia in b/w di Rodrigo Prieto (oramai collaboratore abituale), con Ethan Hawke e Josh Charles.

#16
Nothing To Declare (MGMT)
diretto da Joey Frank

Delicato, intenso racconto documentario che osserva da vicino il soggiorno a Parigi della giovane Inga Petry, nata senza le braccia. Nessun pietismo, nessuna pornografia del dolore: un video umanissimo che dice bellezza e amore per la vita. Brivido finale.

#15
The Hardest Part (Washed Out)
diretto da Paul Trillo

Attraverso il reiterarsi di un gesto tecnico, lo zoom in avanti, si narra in una sorta di tunnel spazio-temporale che confina con l’allucinazione, della vita (o delle ipotesi di vita) di una coppia. Mettendo in primo piano la fluidità del racconto per immagini, il regista crea con Open AI – che concepisce tutto, figure e ambienti – una narrazione (onirica?) altrimenti impossibile. Il risultato è rimarchevole e dimostra, se ancora fosse necessario sottolinearlo, che non esistono tecnologie buone o cattive in assoluto, ma solo un buono o cattivo uso di queste.
Il dibattito che è sorto, relativo al futuro dei video (e non solo), trova un’accorata risposta di Washed Out nel primo commento al video.

#14
Grace (Idles)
diretto da Jonathan Irwin

Operazione teorica epocale (nel senso di segno dei tempi) che, partendo dal video di Yellow dei Coldplay, via deepfake lo piega al cantato del brano del gruppo di Joe Talbot (l’idea è nata da un suo sogno). Siamo ben oltre la citazione, dunque: qui si prende di peso un clip preesistente e lo si adatta a un’altra canzone. Nessuna ambiguità, ovviamente: la fonte è notoria e ancor più lo è il sembiante di Chris Martin (che ha collaborato per rendere l’intervento in AI ancora più realistico). Vi sento videofili puristi che mormorate “Dove andremo a finire, signora mia”.
Dagli Idles imperdibile anche Gift Horse: in un megastore, una fauna variegata di avventori eccentrici nell’ennesimo spaccato delirante sul contemporaneo. Dirige David Helman.

#13
A Love International (Khruangbin)
diretto da Scott Dungate


La bambina protagonista legge in aereo un romanzo romantico e il suo sogno lo mette in scena in Thailandia, laddove si sta dirigendo.
Migliore narrazione dell’anno, complice una traccia strumentale che, come nelle precedenti collaborazioni (12) tra band e regista, asseconda benissimo lo svolgimento del racconto, permettendo al regista di inserirlo in un mondo (immaginario) perfettamente definito, pieno di dettagli e personaggi di contorno, splendidamente coreografato.

#12
Hiss (Megan Thee Stallion)
diretto da Douglas Bernardt

Epitome del perfetto video performance dell’ultimo lustro: sequenza di quadri curatissimi, pieni di idee visive, di ritmo incalzante e in cui il tema del doppio (Megan e il suo alter ego Tina Snow) e della conseguente simmetria si converte in un’acrobazia tecnica, certo, ma al servizio di un’artista che sa renderla viva e vibrante.

#11
Mere Mortal (Deadletter)
diretto da Laurence Hills

Al di là del pregio del registro visivo (uno splendido bianco e nero, polveroso, carico di glow, chiaroscuri in odor di espressionismo), colpisce il modo in cui viene costruito il protocollo della performance, esplorando situazioni e contesti con un movimento di macchina costante, sempre elegante. Attraverso quel movimento di camera ciascun quadro si compone in modo ritmico, rendendo vario l’alternarsi delle soluzioni adottate, pur essendo queste ultime, paradossalmente, ricorrenti e ripetitive. E assecondando, al di là del lip sync, la narrazione sottesa, relativa a un lutto e alle sue conseguenze.

#10
Ora che non ho più te (Cesare Cremonini)
diretto da Enea Colombi


Tra i musicisti italiani più attenti nel declinare il discorso clip, con una ricerca e un coinvolgimento personale inconsueti per il nostro panorama, Cesare Cremonini ha costruito negli anni una videografia tanto corposa quanto rilevante. Spremendo i migliori frutti di Gaetano Morbioli (una quindicina di titoli: il vertice nel quasi allucinatorio amarcord familiare di PadreMadre, 2003), più recentemente forte di un dittico d’effetto firmato Paolo Gep Cucco – l’avveniristico, in odor di Gravity, Ciao (2020), il quasi glazeriano Chimica (2022) – e di un altro del 2021 con le creazioni in 3D di Valentino Bedini (la visionaria riflessione sul tempo di La ragazza del futuro, la fantasia animata che illustra il librare onirico di Colibrì), il consapevole percorso del bolognese non poteva che incrociare quello di Enea Colombi, il migliore videomaker della sua generazione, un discorso autoriale riconoscibile (e riconosciuto: la retrospettiva al festival di Pesaro) e quell’Ovunque sarai per Irama (2022), vertice dell’ultimo lustro di videoclip italiano. E Colombi si sintonizza su questo pezzo bellissimo, concependo un sacrosanto pianosequenza (non si interrompe un’emozione) in cui (di nuovo, come Irama) l’artista rinuncia coraggiosamente al lip-sync. È un viaggio simbolico, un piccolo film che si fonda su un prologo sottinteso (i lividi sul volto: un passato alle spalle, un amore finito che ha lasciato segni?) e che fa attraversare al protagonista la propria intima notte fino a un barlume di luce, a un ballo che suona come un ricominciare. Una possibile rinascita.
Per un pianosequenza in moto guarda anche questo diretto da John Angus Stewart

#9
Von Dutch (Charli XCX)
diretto da Torso 

Il rapporto tra media e star in metafora: all’aeroporto di Parigi – un dedalo quasi videoludico – Charli XCX è una diva che accetta, istiga e respinge l’occhio della camera. Una corsa sfrenata tra lounge, gate, un velivolo, il nastro trasportatore, all’inseguimento di una combattiva, mai arrendevole Charli. C’è movimento, c’è gestione superba della scena, c’è curiosità per ogni nuovo sviluppo del plot, c’è dinamismo, divertimento, tensione. Il duo Torso si conferma griffe super cool, supportata dalla macchina Division (è loro anche il funambolico I’m His, He’s Mine di Katy Perry feat. Doechii). Che Charli quest’anno non abbia sbagliato nulla non sono certo io a dirlo, si veda dunque anche 360 diretto dal sempre in palla Aidan Zamiri in cui la Nostra e una squadra di star amiche si riuniscono per realizzare la profezia di trovare una nuova ragazza “hot” di Internet perché, se non ci riescono, la loro specie cesserà di esistere… A quel punto parte una sequela di quadri – citazioni da video corali-amicali che attraversa Bad Blood di Taylor Swift per sbarcare a Make Some Noise dei Beasty Boys con Chloë Sevigny a fare da citazione vivente. Da Zamiri anche la divertente sagra della mutanda di Guess, in cui Charli si diverte con la complice Billie Eilish (per la quale il Nostro ha firmato Birds of Feather).

#8
Rockstar (Lisa)
diretto da Henry Scholfield

Scholfield nel coreografico ha pochi rivali, nessuno come lui fa aderire movimento, ambientazione e décor al mondo dell’artista musicale al centro della scena: è raro imbattersi in un lavoro così puntualmente efficace nel mettersi al servizio del progetto e del performer, così intelligente nell’uso di ritrovati tecnologici tanto evidenti all’occhio quanto funzionali al concetto. Lisa, da parte sua, decide di allontanarsi dalla realtà sudcoreana, un videouniverso parallelo che nel linguaggio è disposto ancora a investire (guardare per credere – e strabiliare -): a Scholfield ha chiesto di celebrare le sue origini thailandesi e così il video è girato prevalentemente a Bangkok, con corpo di ballo indigeno (le coreografie sono di Sean Bankhead). Rockstar (brano che deve a M.I.A. più di qualcosa) associa set esterni riconoscibili – in cui una danza fisica e acrobatica è esaltata dal bullet time – a quadri elegantissimi girati in studio, in un’alternanza ipnotica alla quale è impossibile sottrarsi. Successo prevedibilmente clamoroso (si guardi il numero di view).

#7
Thrown Around (James Blake)
diretto da The Reids

Non è la prima volta che Blake indulge al comico e lo fa con una partecipazione e una presenza di spirito coerente con il livello abituale della sua proposta (che è altissimo). Una sorta di finta autonarrazione che vede l’artista alle prese col tentativo fallimentare di migliorare i suoi contenuti social e con una conseguente spirale di eventi assurdi (e allucinati) innescati dal furto del suo cellulare. Al di là dell’esito felice e delle soluzioni tecniche (un particolare tipo di snorricam che segue Blake nelle sue sfortunate peripezie), c’è un concetto fortissimo (e una critica sottesa) che riguarda il personale modo dell’inglese di vivere l’esperienza artistica, le aspettative e le profferte del sistema, la rivendicazione dell’intangibilità della sfera privata, la libertà di interpretare il suo essere creativo nel modo più libero possibile. Tutto questo con un sorriso, certo, ma anche con tutta la serietà (non seriosità) che questa posizione sottende. Un video che è un segno dei tempi e che un domani ce li racconterà con precisione. James Blake non è solo un artista maiuscolo, è un intellettuale raffinatissimo che sa in che epoca vive e come raccontarne paradossi e assurdità. Love.
Da The Reids quest’anno anche Fly per Mura Masa, performativo che ne conferma la perizia tecnica.

#6
Tailor Swif (A$ap Rocky)
diretto da Vania Heymann e Gal Muggia


Che A$ap Rocky sia attratto dal peculiare immaginario di Heymann-Muggia non sorprende: ideatore (e spesso regista) della sua videografia, la costruisce con una continuità tematica, formale e poetica (la psichedelia sottile che impregna concetto e immagini) qui ribadita e “aumentata” dalle invenzioni del duo. Tailor Swif (brano noto ai fan, ma mai pubblicato, e video girato ben quattro anni fa in Ucraina) è allora una sarabanda di situazioni assurde a corollario della performance dell’artista, l’originale lettura di un’attualità divenuta surreale (terminale?), caratterizzata da una follia cui si assiste impassibili (rassegnati?), da un non-sense divenuto pane quotidiano. Il riferimento del titolo all’artista americana fa incazzare la fandom degli swifties, ma poco male: anche questo è un altro incontestabile segno dei tempi.
Di A$ap Rocky anche questo Highjack diretto da Thibaut Grevet, raffinatissima ibridazione tra il suo consueto immaginario (compresi i quadri compositi che predilige da regista) e una confezione di stampo espressionista con begli inserti scenografici, un bianco e nero cinematografico, e tutto un gioco sofisticatissimo di chiaroscuri composto in studio, tra i clip più raffinati dell’annata.

#5
Starmaniak (Crystal Murray)
diretto da Charlotte Wales

Video post-anni 90 che si muove tra la falcata indifferente a tutto del deambulante Richard Ashcroft di Bittersweet Symphony diretto da Walter Stern e (soprattutto) il giro nel quartiere di Shara Nelson nel video dei Massive Attack Unfinished Sympathy diretto da Baille Walsh, con tutta un’umanità in subbuglio a farle da contorno. Come accade in questa rilettura consapevole del canone che riduce, nel finale, le presenze incrociate durante il percorso (e sconvolte dalla mise dell’artista) a catalogo riunito in unica (giudicante) formazione. Una serie di quadretti originalissimi che appaiono fulminei: dilatazione del tempo (dal giorno alla notte), realizzazione maiuscola, grande video.
Sullo stesso alveo, la camminata di Beabadoobee in Take A Bite diretto da Jake Erland che però gioca sul loop alla Ricomincio da capo con un occhio a questo Gondry.
Sempre sull’onda del titolo dei Massive Attack questo video diretto da Libby Burke Wilde che vi si conforma anche per l’uso del pianosequenza (anche nel successivo per Cut Burns ne fa un bellissimo uso).
E a proposito di pianosequenza: si guardi questo video diretto da Jake River Parker e quest’altro diretto da Jim Logden con Charlie Rowe.

#4
Genesis (RAYE)
diretto da Otis Dominique, RAYE

È sempre bello quando una delle tue tracce dell’anno corrisponde anche a uno dei video che lasciano il segno nella stagione. E qui Raye, di nuovo in pista col sodale Otis Dominique, sbaraglia davvero il campo con una infilata frenetica di idee e scenari, con ricorrenze di sequenze coreografiche a supportare la struttura ritmica del brano. Il prologo già vale la visione con la sequenza a scatole cinesi in cui ciascun frammento è racchiuso nel quadrante di uno smartphone, una vertigine di disconnessione dalla realtà che conduce alla riflessione sul suicidio («Perché sono impegnata con il mio telefono a osservare tutti gli altri/ Come faccio paragoni e mi ossessiono/ Solo io, il mio telefono e questi muri»). Ma è solo l’inizio, ché tutto il vissuto (perché, nel quadro generale, è anche di sé e delle sue vicissitudini artistiche ed esistenziali che Raye parla – depressione, alcol, delusioni sentimentali -) viene messo in gioco in una sequela di quadri metateatrali, in cui il punto di vista oscilla tra osservante e osservato. E poi la termocamera a dare il senso del controllo ossessivo e della pressione sociale. Ed è miracoloso come il mix di generi musicali che il brano presenta (coraggiosamente è la versione completa di 7 minuti quella convertita in immagini) vada a corrispondere a diversi toni e atmosfere del clip, con l’epilogo – concreto, reale – in un formato da videocamera portatile che pulsa di vita, a smentire l’angoscia e il solipsistico tormento delle prime due frazioni e un ricongiungimento all’altro, l’abbracciare il senso salvifico della comunità, fuori da ogni sega virtuale. Girato in una settimana. Applausi.

#3
EusexuaPerfect Stranger (FKA twigs)
diretti da Jordan Hemingway

Che Jordan Hemingway fosse un talentaccio lo dicevano già i suoi fashion movie (per tutti: Silent Madness per Mowalowa e Gucci Bloom con Jodie Smith, Angelica Huston e Florence Welch). Fotografo, regista, designer, l’americano, complici fan come Travis Scott, evade spesso dal mondo della moda – che ha segnato con il suo sguardo brutale, i suoi colori caldi e sanguigni, l’inquieta camera a mano – per concedersi al video. Ne sono nate gemme come Lout per The Horrors (zombie clip che cita Chris Cunningham), l’artwork videofotografico per l’album di Yves Tumor Heaven to a Tortured Mind (una collana di capolavori) e il ciclo per Wolf Alice, Blue Weekend, che documenta, nel visionario, alcune scorribande notturne della band – segnate da altrettante sconvolgenti performance – in una Londra misteriosa, onirica, un po’ sudicia. La nuova collaborazione con FKA Twigs, oggi sua compagna di vita, sembra premettere a un duraturo sodalizio e ha condotto a due delle cose migliori viste nel 2024. In Eusexua – che si ambienta nella routine alienante di un ufficio in cui la protagonista, redarguita dal superiore, arriva in ritardo – l’accenno narrativo svapora in una stupefacente coreografia di Zoi Tatopoulos che celebra una mutazione (o semplicemente un modo d’essere più autentico, al di là delle convenzioni). Perfect Stranger ribadisce il concetto moltiplicando i set e proponendo di nuovo uno sdoppiamento tra realtà e fantasia (sessuale), con una varietà di sipari e un’originalità di messa in scena che sbaragliano il campo del videoclip attuale.
Per la coppia c’è già un terzo clip in zona 2025. Serie A.


#2
Like The End (James Blake)
diretto da Jon Rafman


La videoarte di Jon Rafman nasce dalla contemplazione della rete, da sessioni di ore passate davanti al computer assorbendone bizzarrie, inquietudini, contraddizioni. Una delle sue prime opere, Remember Carthage (2013), consta di screenshot tratti da Google Street View e si propone come una rappresentazione dello stato del mondo, il riflesso di un nuovo concetto di oggettività prodotto dalla tecnologia. I lavori di Rafman suscitano «una perplessità attraente», come scrive Joachim Lepastier sui Cahiers du Cinema, poiché non sono di comprensione immediata, ma creano comunque l’impressione di «un inferno medievale, un mondo sì punitivo, ma brulicante e vitale». Nel videoclip il suo nome si lega a quello di un altro sperimentatore, Daniel Lopatin (ovvero Oneohtrix Point Never): Sticky Drama in particolare – che i due codirigono nel 2015 – vede un violento gioco di ruolo tra ragazzi prendere vita nella realtà, un giardino domestico trasformandosi in uno scenario di morte e distruzione. Non sorprende che James Blake – l’artista musicale più sensibile alle nuove istanze del video (lo abbiamo ripetuto fino alla nausea) – collabori con Rafman per Like The End che, nelle forme di un lyric video drogato dall’intelligenza artificiale, colleziona immagini aumentate del contemporaneo, diventandone, nel suo lugubre adombrare la fine di tutto, un implicito, inquietante commento («qualcosa sta arrivando per noi/ e forse non siamo preparati» canta Blake). Una compenetrazione tra immagini e brano che lascia tramortiti per forza espressiva ed efficacia. Capolavoro.

#1
Starburster (Fontaines DC)
diretto da Aube Perrie

Di tutte le nuove firme emerse nell’ultimo lustro, Aube Perrie più di ogni altra ha imposto agli artisti con i quali ha collaborato una sua marca non solo stilistica, ma anche tematico-narrativa. Una logica autoriale old school che, prevedendo anche l’ideazione dello script, inquina la riconoscibile frequentazione del genere con paradosso, demenzialità e sottile inquietudine: il cinecomic che diventa empowerment story nel visionario Libre per Angèle, la love story adolescenziale abitata da un fantasma masturbatorio in Burnin per Petit Biscuit, la commedia farsesca che adombra la satira politica di Thot Shit per Megan Thee Stallion, il grottesco mostruoso di Music for a Sushi Restaurant per Harry Styles, il fantasy alla Corto Circuito (ma c’è dentro anche Wall-E e uno Spielberg a caso) di Satellite ancora per Styles, l’horror quasi-Raimi di Bogus Operandi per gli Hives e via ibridando.
Per Starburster il francese alza il tiro inventandosi una storia in loop, una narrazione-catalogo di cui il frontman della band Grian Chatten diventa il polimorfo protagonista. Come in Holy Motors di Carax, l’artista di volta in volta incarna un diverso personaggio e va ad animare una nuova storia, un genere differente, una dimensione narrativa alternativa all’interno del medesimo paesaggio irlandese. Lo fa dopo aver scoperto un misterioso garage dal cui interno esce sempre trasformato, una sorta di dietro le quinte esistenziale in cui Chatten sceglie di volta in volta un ruolo, un’identità, un travestimento con i quali cambiare il film della sua vita.

REGISTA
Aube Perrie

Di Perrie colpisce la capacità di creare mondi personali sorretti da una bizzarria mai fine a se stessa, ma consustanziale alla loro complessità. Oltre il primo classificato dell’anno, si guardi il secondo capolavoro girato nel 2025, LOST di RM, un metavideo che crea dimensioni di rappresentazioni parallele che si riconnettono a un’unica performance in uno studio tv. In cui la fine, ricongiungendosi all’inizio, sancisce che la finzione creata non è completamente sganciata dalla realtà, ma solo su un altro piano (letteralmente). Che è poi quello del cervello dell’artista, che andiamo ad esplorare (lo dice, in coreano, la scritta sulle tazze bianche poggiate sul tavolo dei presentatori). Un mind-video che ricorda vagamente le invenzioni di sci-fi esistenziale dei soliti guru dei Novanta, ma senza pedanteria, e soprattutto nella contaminazione cosciente (e semicitazionistica) con l’estetica dei video K-pop. A conferma anche Angel of My Dreams di Jade che riprende – in tutt’altro contesto e con implicazioni completamente diverse – il concetto di personaggio proteiforme del video dei Fountaine DC, in una vertigine di situazioni che si inseguono e che sottendono, con ironia sempre in modalità on, visionarietà, scomposizione identitaria, pericoli della fama immediata (X Factor), parodia del divismo e della relativa idolatria, critica al cannibalismo dell’industria e, alla maniera di The Weeknd, il patto diabolico che implica qualsiasi contratto discografico. Qui ci si muove in ambiti temporali molteplici (i flashback con rielaborazione ad hoc di filmini d’epoca dell’artista), si rimbalza da una situazione all’altra, peraltro nel rispetto rigorissimo delle caratteristiche sonore della traccia.
Perrie è, dopo moltissimo tempo, una figura di videomaker vecchia maniera: un regista ricercato per una poetica definita, per il
marchio che impone ai lavori. 

A pari merito Jordan Hemingway che, oltre FKA Twigs, dirige anche questo Hard Dreams per Gesaffelstein, dando lezione di tecnica a grandi e piccini.

Rivelazione

Rivelazione dell’anno, il duo registico Shadrinsky (Yulya Shadrinsky e Marita Gurcciani) che piazza il colpaccio (Hello Miss Johnson) immaginando Jack Harlow innamorato pronto a tutto per farsi aprire la porta dall’amata, in un video che disegna la vita di un sobborgo attraverso le immagini delle sole telecamere di sorveglianza. Ma era già poetica, basti lo sguardo a B**** YOU COULD NEVER (Yseult) e ai fashion video che interpretano al meglio il linguaggio proprio della contemporaneità (social, immagini low profile, estetica scabra).

Commissioning Artist

Charli XCX
FKA Twigs
James Blake

TITOLI DI CODA

Bullet Of Dignity (Fat White Family)
diretto da Niall Trask
La trasgressione è grossolana come il registro visivo e, come in quel caso, calcolatamente. In un panorama tutto codificato un po’ di volgarità eccentrica e sbracata ci ricorda che col video è possibile sfuggire alla prevedibilità. Persino se si usa la AI.

Running (Fat Dog)
diretto da Stephen Agnew
Anche qui si fa una gran cagnara, con una interessante svolta nel colore e nella psichedelia. Ma arrivarci…

CPR (Lynks)
diretto da Kassandra Powell
E a questo proposito i quadri di Kassandra Powell sono sicuramente più raffinati e citazionisti, con un’art direction che lascia sempre il segno, con risultato finale che riesce a suonare più felicemente eccessivo.
Di Powell si guardi anche questo e questo.

Turn The Lights Back On (Billy Joel)
diretto da Warren Fu, Freddy Wexler
Billy Joel nel tempo, attraverso l’AI.
Di Warren Fu anche Neva Play (Megan Thee Stallion feat. RM), animazione ibrida che è quasi un marchio di stile.

Nightmare Paint (Oneohtrix Point Never)
diretto da Andrew Norman Wilson
I video di Lopatin sono sempre un passo avanti, in questo senso la scelta dei videomaker è in perfetta coerenza con l’approccio avanguardistico della sua musica. Qui un horror in forma di allucinazione visiva che nasconde una rivelazione finale sconvolgente.

Never Need Me (Rachel Chinouriri)
diretto da Jacob Erland
Narrazione carina, con Florence Pugh.

Here Come Butterflies (North Downs)
diretto da Jake Mavity
Meta-video (ci si entra dentro), richiami cronenberghiani, ma sviluppo originale.

Maktub (Gary Clark Jr.)
diretto da Martine Syms
Un road-video, sintomatico della tendenza di questi ultimi anni di mischiare materiali di repertorio alla narrazione finzionale, con grande disinvoltura e in maniera sempre coerente con le ragioni del racconto.

Treat Each Other Right (Jamie xx)
diretto da Rosie Marks
La fotografa alle prese col suo primo video mette in scena una festa di matrimonio che sintetizza eccessi ed eccentricità del nightclubbin’ di questi anni. Un’enciclopedia aumentata del settore, una galleria di personaggi assurdi, una collezione di momenti impagabili per una delle migliori tracce che il 2024 ci abbia regalato.

Not Like Us (Kendrick Lamar)
diretto da Dave Free & Kendrick Lamar
Lamar e Free, dopo essersi appoggiati a griffe prestigiose, fanno tutto da soli confermando uno sguardo e uno stile: quadri schizofrenici, ambientazioni insolite e suggestive, simboli a palate, con una costante coreografica che è inedita, efficacissima novità.

High (Tredici Pietro)
diretto da Simone Peluso
Peluso è uno di quei registi che fanno la differenza nel panorama videomusicale nostrano: qui un video che reimmaginando la pittura fiamminga, propone un banchetto tra figure in posa e nature morte. Con l’improvviso, imprevisto svelarsi di un artificio modernissimo.

Work (Fat White Family)
diretto da CC Wade
Per salutare il ritorno di una griffe importante di questi anni con un video felicemente ossessivo.

Disposition (Sam Akpro)
diretto da Pedro Takahashi
Greenaway queste cose le faceva già 25 anni fa.

I Know You Know (Bonny Light Horseman)
diretto da Kimberly Stuckwisch
L’ingegnosità della messa in scena, l’asciuttezza dell’effettistica.

Cheerleader (Porter Robinson)
diretto da Hugh Mulhern
Mulhern sembra essersi consacrato a un video parossistico, pieno di invenzioni narrative e visive, in cui a dominare è l’uso disinvolto di tecniche miste. Non amo, ma rispetto.

Catch Me (Apashe)
diretto da Adrian Villagomez
Esempio macroscopico di video che tanto ambisce tanto fallisce. Villagomez è bravo, ma qui cerca lo sviluppo di un’ideuzza che si dilata per l’intero minutaggio e che tende a una fine furbescamente sospesa. In controluce il Born Free di Gavras… Sì, vabbè.

People Are Good (Depeche Mode)
diretto da Rich Hall
Incontestabilmente ben realizzato, con sprazzi visivi notevoli, eppure alla fine permane una certa noia, l’idea di un compito svolto, una svogliatezza di fondo.

Gangsta (Free Nationals feat. A$AP Rocky & Anderson .Paak)
diretto da François Rousselet
Oh il video gangsta fatto coi bambini, da un regista di serie A che sa come confrontarsi con quell’immaginario e come ironizzarci su.

Our Love (80’s) (YOURS)
diretto da Kris R
L’inizio è Sexy Beasts di Jonathan Glazer, poi diventa gangster all’inseguimento del malloppo. E fin lì… Ma il finale ribalta tutto, apre a diverse piste, confonde realtà, pensiero, desiderio, lascia che sia lo spettatore a decidere cosa accade davvero.

Too Much (Girl In Red)
diretto da Fiona Jane Burgess
Un musical, con messa in scena che poggia su set collegati e logiche teatrali. Molto bello.

Human (Lenny Kravitz)
diretto da Joseph Kahn
Vecchia scuola, ma riformata dalla sfrontata logica commercial (l’effettistica da spot), con Saranno famosi in controluce. Solo cuori per Joseph, as usual.

King Steps (Disclosure, Pa Salieu)
Places To Be (Fred Again.. & Anderson .Paak)
diretti da Loose
Loose (sodalizio chiave: Idles) concepisce un urban video classico (contesto e immaginario), “sporcandolo” con umorismo, coreografie irresistibili (Michele Zanette), camera a mano, montaggio frenetico, fotografia preziosa (è girato in pellicola). Una delizia.
Nel secondo in pianosequenza l’entusiasmo della performance live.

Houdini (Eminem)
diretto da Rich Lee
A 25 anni da Without Me diretto da Joseph Kahn (pluripremiato, oggi a due miliardi di view), una sorta di seguito-reboot, con l’Eminem di oggi e uno del 2009 elaborato con AI.

Burnout (Island Mint)
diretto da Marek Partyš
C’è la tradizione dell’animazione ceca e di Jan Švankmajer in primis, certo. Ma anche qualcos’altro: da tempo non vedevo un video così vicino a soluzioni e surrealtà visionarie vicine a quelle del mio idolo Jim Blashfield.

Vintage (Moses Sumney)
diretto da Moses Sumney
Sumney si autodirige in un promo che colpisce per l’eleganza dei quadri, la loro varietà, la particolarità delle ambientazioni, la cura delle coreografie e dell’aspetto scenico.

Queen (Stone)
diretto da Grajper
Apologo su narcisismo realizzato in forma onirica, con sdoppiamento del protagonista: splendido nel suo inanellare situazioni plausibilmente assurde, nel lambire il sottotesto omoerotico, nel giocare ironicamente con gli elementi in campo, nel costruire una storia vagamente masturbatoria slabbrandone i contorni. Grapjer bissa con You Don’t Even Need It (Maverick Sabre) che conferma una felicissima vena visionaria assai vicina al nuovo horror d’autore, tra Mother! di Aronofsky e gli incubi paranoici di Aster.

Sail Away (Lucy Rose)
diretto da Dylan Friese-Greene
Non solo per il sorprendente lip sync affidato all’attore Danny Dyer (l’effetto è efficace, straniante come appare), ma anche per concetto, messa in scena, spunti sperimentali.

Son (Molchat Doma)
diretto da Bryan M. Ferguson
Bello il bianco e nero per un racconto onirico e inquietante.

Somebody Save Me (Eminem feat. Jelly Roll)
diretto da Emil Nava
Vita opere e dolori di Eminem in forma di installazione.

Ecstasy Homosexuality (The Irrepressibles)
diretto da Ben Galster
Una bella ibridazione tra l’essay e la videoarte, di audace potenza grafica.

Wake Up Pass Out (Sad Night Dynamite)
diretto da Balázs Simon, Cátia Abreu
Come un quadro di Bacon che prende vita e si trasforma in un delirante percorso orrorifico. Interessante per il lavoro tecnico, le idee e la resa finale.

Lights, Camera, Action (Kylie Minogue)
diretto da Sophie Muller
Freedom Of The Night (Sophie Ellis-Bextor)
diretto da Sophie Muller, Theo Adams
Un paio di prove della infallibilità di Sophie Muller, la old school che non si arrende.

6G (Booba)
diretto da Fred De Pontcharra

Uno yakuza video composto di tante istantanee visivamente strabilianti, una collana di microsequenze ad effetto che lasciano a bocca aperta per varietà e invenzione. Fred De Pontcharra viene dalla direzione della fotografia e si è imposto soprattutto nel commercial, lo si nota per la capacità di sintesi e per l’efficacia del costrutto. Un talento confermato anche dal successivo clip per Booba.

My Oh My (Kylie Minogue, Bebe Rexha e Tove Lo)
diretto da Charlie Di Placido
Di Placido è il miglior regista di clip coreografici di oggi: per Minogue un set più tradizionale, una performance di protocollo in cui ambientazione, varietà dei quadri e modulazioni cromatiche dicono tutto con eleganza.

Lost Changes (Beth Gibbons)
diretto da Juno Calypso
È ancora possibile concepire un video che solleciti ipotesi e in cui a dominare è il mistero. L’interno di una limousine e una donna (con un passato) che guarda inquietante tv d’antan mentre si dedica al karaoke. A ogni visione un dettaglio in più. Brave tutte.

FE!N (Travis Scott feat. Playboi Carti)
diretto da Gabriel Moses
Da UTOPIA Scott continua a trarre capolavori con un’inventiva – visiva e di concetto – sbalorditiva. Qui un video portrait al parossismo: figure in un set nero riprese con 96 camere, personaggi avvitati in una distorsione che diventa identitaria.

Star (Mitski)
diretto da Maegan Houang
I video di Mitski sono semplici, eleganti e, al di là delle griffe coinvolte, servono sempre la traccia con ambientazione suggestiva e coerente atmosfera: qui, smarrita nel naufragio dei sentimenti, l’artista è alla ricerca della stella che la riconduca all’amore perduto.

Cosmic (Avenged Sevenfold)
diretto da Chris Hopewell
Torna al videoclip Chris Hopewell, firma chiave degli anni Zero (clip per Radiohead, Franz Ferdinand, Scissor Sisters, Editors…), alle prese con la prediletta animazione. Un viaggio stellare e vagamente supereroico con una protagonista che non ti aspetti, la Morte.

Seem An I (PJ Harvey)
diretto da Colm Bairéad
Una corsa a perdifiato, drammatizzata dal ralenti, nella campagna, mentre affiorano ricordi come flash mentali e la giornata sfuma nella notte. Da cosa fugge questa donna (l’attrice Ruth Wilson)? Un thriller tutto da immaginare dal regista di The Quiet Girl.

Next Semester (Twenty One Pilot)
diretto di Andrew Donoho
Tyler Joseph, dal catino rovente di un locale dove si esibisce dal vivo con la band, prima proietta il sé protagonista del brano all’esterno, poi racchiude nell’intimismo corale il finale. Come dare tono e senso a un video non mollando mai la performance.

Classical (Vampire Weekend)
diretto da Nick Harwood
Quando si è consapevoli di una videografia fortissima l’ideale è fare tabula rasa, ripartire dal concetto: la band che suona, il green screen ostentato, sovrapposizioni che neanche trent’anni fa. E chiamare il fedele Nick Harwood a orchestrare il caos.

Bliss (Arab Strap)
diretto da Ains
La danza come una possessione (la danzatrice è Molly Scott Danter, il coreografo Jack Webb), una lotta di sopravvivenza che si svolge in un mondo parallelo e invisibile, resa dalla videoartista Ains con un uso strategico delle luci e i rapidi movimenti di camera.

Loving You Will Be The Death Of Me (Tom Odell)
diretto da Lucca Lutzky
Come raccontare una relazione attraverso la danza: quasi tutta ambientata in interni spogli, a esaltare le evoluzioni dei due danzatori, la coreografia di Will Pegna disegna attraverso il movimento situazioni e stati d’animo, tra sentimentalismo e ironia.

Black Moonlight (Duran Duran)
diretto da Jonas Åkerlund
Åkerlund reincontra i Duran Duran per una (metaforica) seduta spiritica in un horror d’ambientazione ottocentesca: bianco e nero evocativo, mimica esasperata da cinema muto, effettistica d’antan. La risposta implicita al Memento mori dei Depeche Mode?

She’s on My Mind (Romy)
diretto da Vic Lentaigne
Una storia romantica scandita da incontro, incomprensione e riconciliazione, nella cornice di un gay club in cui si esibisce Romy: come comporre una bella narrazione in perfetto equilibrio con la performance. Dalla regista Vic Lentaigne, moglie di Romy.

Mattino di luce (Subsonica)
diretto da Donato Sansone
Dal genio di Donato Sansone – videoartista, prima che videomaker -, l’ennesima tecnica mista (live action, disegno animato, computer-grafica, intelligenza artificiale) a punteggiare di segni contemporanei una metamorfosi che allude a una transizione identitaria.

Talking/ Once Again (Kanye West e Ty Dolla $ign)
diretto dai Fratelli D’Innocenzo
Il rapporto dei due musicisti con le rispettive figlie: un dittico di video-portrait semplice e intenso che, nel fermare il momento presente, racconta – con la sincerità della pura vicinanza fisica e dello sguardo in camera – di una trasmissione di sapere, e dunque, implicitamente, del futuro e delle sue incognite.
Dai Fratelli anche questo per Ghali.

TMNT (Jme & 8syn)
diretto da Will Norman
Vuoi mettere con l’artigianato di Uolli?

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