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VIDEO DELL’ANNO 2020 – TUTTE LE CATEGORIE


Un anno che parte bene (benissimo, oserei dire), ma che inciampa nella catastrofe che sappiamo. Il Covid ci riporta indietro, esaspera una tendenza già acclarata,  la rende un alibi, sclerotizzandola quasi. Il
quarantine video segna nel migliore dei casi un trionfo per l’animazione (di qui la pingue selezione, comunque parzialissima), nel peggiore l’imporsi definitivo di un vfx senza criterio, che rende tutto possibile e quindi automaticamente non interessante, soprattutto quando usato solo come orpello a decorare il nulla. E poi il dilagare di video casalinghi, in solitaria, con ambientazioni virtuali e chi meno ne ha meno ne metta. Di necessità virtù, per carità, non punto certo il dito, ma in un panorama già compromesso dall’ipertrofia, il covid-eo è un’insidia. La piega non ci rende ottimisti per il futuro, pandemico o meno, perché questo isolamento non aiuta: si impongono, senza sforzi, meccanismi, tematiche, approcci, che omologano il video, come se l’eccesso di questa comunicazione tutta domestica, senza respiro, senza un fuori, conducesse a un annebbiamento delle proprie vere, intime pulsioni, all’appiattimento in formule condivise da tutti. Manca, paradossalmente, un reale isolamento per concepire le proprie idee, i propri progetti, la propria visione, la propria estetica. E il video in lockdown sembra esprimere questa incapacità, questo arrendersi.
Forse per questo ho amato molto il coreografico nel 2020 (vedi la top 20 finale), perché trovo che, nella temperie, mantenga le sue caratteristiche, la sua originalità, il suo linguaggio. E per questo uno dei migliori quarantine video è a mio avviso quello di James Blake (pezzo stratosferico, tra parentesi): perché non si fa piegare dalla contingenza, la subisce, certo, ma, facendone racconto, nella scelta pienamente artistica ed espressiva, arriva a prescinderne.
Per il resto segnalo tutto quello che, soprattutto nel bene, mi ha colpito di questo videoanno bisesto, funesto.

PERFORMANCE

WAP (Cardi B feat. Megan Thee Stallion)
diretto da Colin Tilley
Non poteva che esserci Colin Tilley dietro il promo più discusso del 2020. Sull’(anac)onda di uno dei suoi best seller (oggi un classico, annoverato nei best of del decennio scorso), ancora una dichiarazione politica travestita da sexy video (e viceversa). Se quello di Minaj, complice l’ironia, prevedeva ancora una lettura tra le righe, WAP (Wet Ass Pussy) è dichiarato fino al didascalico, nel trionfo di uno scenografismo tanto pop quanto esplicito (la ripartizione camere/set e la loro osservazione dall’esterno è puro Justify My Love, a dire che il tempo passa, ma i modelli no). E nella sacrosanta rivendicazione di un diritto a spassarsela (della soddisfazione di cantarlo, pure) che una cultura retriva ha sempre riconosciuto, implicitamente o no, come prerogativa maschile.
Qui di maschi non ce n’è l’ombra e, proprio in questo evitare l’oggettificazione del sesso opposto, le due rapper marcano la distanza dai colleghi, impartendo loro una lezione mica da ridere.
Fa il paio Pussy Talk delle City Girls (diretto da DAPS).

Juro Que (ROSALÍA)
diretto da Tanu Muiño
Rosalía continua inesorabile a inanellare video curatissimi; qui punta sul suggestivo apparato scenografico, tutto giocato su colori laccati e stilosissimo décor: l’appartamento in cui l’artista si esibisce, attraverso una finestra schermata, dà su una prigione in cui si trova un uomo che la guarda (è Omar Ayuso, l’interprete della serie Elite), quasi si trattasse di un peep show. Ma la situazione si rivela ribaltabile: chi guarda chi, dov’è la libertà e dove la prigionia? Il desiderio li incatena entrambi? Ah l’amor.
Dalla regista (rivelazione del 2020) un’altra curatissima messa in scena per Youngblud e il suo Cotton Candy.

Gospel For A New Century (Yves Tumor)
diretto da Isamaya Ffrench
Un folgorante set satanico per il trasformista Tumor, sempre disposto a mettere in scena e travestire le sue pulsioni. Qui gioca sul plurimo formato (cine-televisivo) apparecchiato con fine intelligenza dall’artista e fashion designer Isamaya Ffrench che gioca tra musical classico e nuova (?) estetica al neon. Prestando la sua maschera a un turgido baccanale, Tumor continua a sedurci, viaggiando tra le orge più disturbate di Marilyn Manson e (aridaje) il Cremaster di Matthew Barney. 

Alone, Omen 3 (King Krule)
diretto da Jocelyn Anquetil
Cantare la propria solitudine, isolati tra la gente; stilizzare il discorso rinchiudendosi in una stanza a specchio in cui non si vede altro che se stessi. La fine del tunnel: la famiglia (una solitudine diversa?). Uno dei video performance concettualmente più raffinati visti quest’anno. E Anquetil è capace di trasformazioni incredibili: si guardi questo video dove la performance (ultracolorata e caricaturale) si fa portatrice di un altro concetto pesante (l’occupazione mani e piedi di un immaginario maschile). 

Break My Heart (Dua Lipa)
diretto da Henry Scholfield
Dua Lipa + Scholfield, coreografia e trick a volontà, cambi di scenario, tourbillon a suggerire vortici narrativi. Inappuntabile crasi tra Joseph Kahn e Michel Gondry.

Miss U More Than U Know (Sofia Carson, R3hab)
diretto da Miles & AJ
Nell’evidente rispetto dei protocolli sanitari, ma senza l’abbrutimento estetico del periodo, anzi: logica pubblicitaria – sembra l’ad di profumo – e attenzione massima per l’aspetto visivo.

Easy (Troye Sivan)
diretto da Troye Sivan
Interessante soprattutto per il lavoro che Troye Sivan (una delle star più intelligenti in circolazione) fa per adattare il brano all’atmosfera e all’ambientazione, pur rimanendo attaccato al discorso sulla propria immagine, sul suo consumo e la sua deperibilità. Traccia wow.
Qui la versione con Kacey Musgraves e il feat. di Mark Ronson, regia di Bardia Zeinali.

cardigan (Taylor Swift)
diretto da Taylor Swift
Tutta la videografia di Swift porta avanti, nella varietà di generi e situazioni, una sotterranea narrazione autoreferenziale fatta di allusioni nascoste che, facendo da riflesso implicito alle liriche autobiografiche, costituiscono pane per i denti dei suoi fan. Non fa eccezione questo cardigan che, se di easter egg è pieno, risulta peraltro chiaro nell’esposizione del tema principale: la musica come ragione d’essere, compagna fedele che conduce l’artista in luoghi diversi, baluardo a cui aggrapparsi nelle tempeste della vita, base solida sulla quale poggiare i piedi. Una certezza, calda e rassicurante, come il vecchio cardigan del titolo che, strategico, compare alla fine a suggellare il discorso (ribadito nel sequel). Un lavoro che sa mutare con grande naturalezza i suoi scenari e che si pregia della fotografia smaltata di Rodrigo Prieto. Certo, se poi si riguarda il video di Falling di Harry Styles (regia, guarda caso, di Dave Meyers, che con Swift ha più volte collaborato) si noteranno similitudini inquietanti. L’ennesima, maliziosa strizzatina d’occhio lanciata a chi sa (Styles è un ex dell’artista)? O solo un fidare sulla video-memoria labile dei nostri tempi?

Wonder (Shawn Mendes)
diretto da Matty Peacock
Per la convinzione, lo spariglio costante delle carte e gli accenni coreografici. Perché c’è l’esibizione e uno scenario mutante a esaltarla.

Funeral (Miguel)
diretto da Philippa Price, Nina McNeely
Set in bianco e nero, finto povero, con coreografia a fiorirlo e motivi satanici a sfregiare un repertorio di figure e quadri tipico. Il risultato è felicemente malato – mortuario anzi – e Miguel uno straordinario cerimoniere.

Say Something (Kylie Minogue)
diretto da Sophie Muller
Disco glamour vol. 1

Midnight Sky (Miley Cirus)
diretto da Miley Cirus
Disco glamour vol. 2

Champagne Problems (Katy Perry)
diretto da Kate Hollowell
Disco glamour vol. 3

Levitating (Dua Lipa feat. DaBaby)
diretto da Warren Fu
Disco glamour vol. 4

NARRATIVO

Lost in Yesterday (Tame Impala)
diretto da Terri Timely
Terri Timely con una delle sue riconoscibili realizzazioni stilose: qui un ricevimento nuziale ambientato negli anni 70 che consente al duo di ricoprire della consueta patina vintage un pianosequenza; così la mdp si muove in circolo replicando lo stesso movimento unico (magie del Motion Control), illustrando di volta in volta le stesse situazioni in divenire. Esercizio ben svolto, ma non solo. Accorpando narrazione, concetto e performance (i Tame Impala sono il complesso in sala) è un limpido esempio scolastico da tener presente all’occorrenza.

Goliath (Woodkid)
diretto da Yoann Lemoine
Lemoine/Woodkid parte da un registro semidocumentaristico, ma confermando la nota tendenza colossalista, che si attaglia alla solennità delle sue composizioni musicali: la descrizione, attraverso lo sguardo di un operaio, di un’attività industriale estrattiva, si fa sottile riflessione sul tentativo illusorio dell’uomo di dominare gli elementi. Il registro naturalistico abdica a favore di una svolta finale di poderosa visionarietà: la Terra, martoriata dallo sfrenato sfruttamento, appare al protagonista come un mostro ribelle. «Come puoi essere così cieco?» canta Woodkid: la vera mostruosità è la nostra.
In Your Likeness ne è la prosecuzione, puramente performativa, con la solita grandiosità e un pizzico (ma proprio un pizzico) di presunzione. Ma Lemoine non è Matthew Barney, anche se lui sembra crederci. Zzzzzzz.

I Should Go (James Vincent McMorrow)
diretto da David M. Helman
Al di là della storia, il narcisista che guarda la realtà sotto l’occhio deformato del suo ego, il video colpisce la sua freschezza, il ritmo, le trovate, il modo in cui dialoga con il brano.

Chicken Tenders (Dominic Fike)
diretto da Jack Begert
Prolificissimo, Jack Begert firma per Dominic Fike il suo miglior video del 2020: un trip onirico che parte da una camera da letto (che si rifà alla waiting room di Twin Peaks) e si dipana in un percorso visionario che, attraverso pochi e lunghi shot, lavorando su live action e digitale, torna all’inizio.

Girlfriend (Charlie Puth)
diretto da Drew Kirsch
Le “innocenti evasioni” di Puth gli fanno dimenticare che, al di là delle fantasie, c’è un vero invito a cena da onorare. Drew Kirsch è diventato un maestro di questo tipo di video: brillante, di art direction curatissima, tutto consacrato all’idea e al ritmo.

No Glory in the West (Orville Peck)
diretto da Isaiah Seret
Isaiah Seret, segue il cammino di Peck attraverso un paesaggio invernale: un uomo e un cavallo in mezzo alla neve. Facendo eco allo splendido testo, il video suggerisce che se il tragitto, per quanto avventuroso, può condurre a un finale inglorioso (una sedia a dondolo, in una casa solitaria), l’importante è aver seguito la strada che si è scelta.

Only A Dream (Zella Day)
diretto da Gianennio Salucci, Zella Day, Saamuel Richard
L’amore, apice e caduta: tutta per frammenti visivamente preziosi, registro vintage (la forza del passato, certo, ma il dramma è coniugato al presente) e una spruzzata visionaria. Sembra una chicca delicata, ha uno scheletro robustissimo.

Out Of Sight (Run The Jewels feat. 2 Chainz)
diretto da Ninian Doff
Nome chiave del videomaking britannico di questi anni, Ninian Doff è una bomba esplosa a metà: idee (quasi tutte narrative) molto buone, realizzazioni solidissime, produzioni progressivamente più ricche, ma risultati altalenanti. Soprattutto: declinazioni di genere che mettono in evidenza una propensione al lungo cinematografico, infine raggiunto. Di quel Get Duked! (su Prime) questo video riprende i folli protagonisti. E il risultato è di ottimo livello, ma, come sempre più spesso capita al regista, senza quello scatto che porti il lavoro oltre il compito ben svolto.
E la fine arriva col fiatone.

Can I Believe You (Fleet Foxes)
diretto da Sean Pecknold
Pecknold, riprendendo le fila di un discorso figurativo già delineato nel trittico in live action del 2018 (I Am All That I Need / Arroyo Seco / Thumbprint Scar), coniuga, alla sua maniera, semplicità e artificialità: set nudo e vagamente astratto, scenografia consacrata a forme geometriche, colori uniformi. Di quel trittico, il video ripropone il cast tecnico, a cominciare dal coreografo Steve Raker e dal ballerino Jean Charles, qui affiancato da Jade-Lorna Sullivan. Una storia danzata (e girata nel prediletto 16mm) che racconta, attraverso quadri stilizzati, di un tentativo di riavvicinamento di due anime e dell’impossibilità della protagonista di disfarsi della diffidenza, divenuta parete opaca che, lasciando intravedere l’altro, impedisce ogni contatto.

Rare (Selena Gomez)
diretto da BRTHR
Nell’anno in cui Selena sforna un signor disco, ecco un nuovo intelligente promo che arricchisce una collezione che comincia a farsi di tutto rispetto. I BRTHR adattano la loro florida cifra grafica a un mondo fatato in cui il sesso è solo suggerito e la Nostra un ologramma destinato a suscitare fantasie masturbatorie. Tutta sottotraccia la narrazione, ma l’unica presenza in campo (una Gomez che esaurisce sempre il quadro), e il suo mutare magicamente contesto (da un bosco fatato, infantile e innocente, all’ammiccante atmosfera di un laccato boudoir), è chiaramente quella della testimonial di un gioco di tentazioni pericolose.
Da BRTHR anche un personalissimo covid-eo (Yoga, per 645AR, studiatamente senza misura, come agli esordi).

Dance (Julia Stone)
diretto da Jessie Hill
Un uomo e una donna, nella loro stagione autunnale, rinnovano il brivido dell’incontro e della scoperta: ciascuno nel proprio appartamento, comunicano virtualmente, combinando un rendez-vous. Nell’attesa cullano il loro sogno romantico, danzando: lui, dopo aver mandato una sua foto all’interlocutrice, si guarda allo specchio, verifica la tenuta del suo fisico, si fa una maschera facciale. Lei, stampata la foto dell’uomo, la piega riponendola sul caminetto-altarino, come formulando un auspicio. Intanto il televisore rimanda le immagini di Julia Stone che interpreta il brano e accompagna il ballo a distanza. L’incontro non farà che prolungare il movimento danzante dei due, sorta di naturale prosecuzione di un filo sentimentale che forse viene da un altro tempo. Perché la forza del video è proprio nel mistero, nel suo non svelare cosa ci sia prima e cosa ci sia dopo questo racconto, quasi sottintendendo una possibilità onirica, un’interpretazione visionaria: la riunione impossibile di due innamorati.
Con Danny Glover e Susan Sarandon.

CONCETTUALE

De Mon Âme à Ton Âme (Kompromat ft. Adèle Haenel)
diretto da Claire Burger
Fantasia visionaria che guarda alle note immagini di L’Enfer di Henri-Georges Clouzot, film incompiuto del 1964 circondato da un’aura leggendaria. Nel video di Bucher, Adèle Haenel prende il posto di Romy Schneider: la sequenza è quella in cui la degenerazione della gelosia del protagonista si traduce in una visione allucinata, quasi un trip psichedelico in cui desiderio e morbosa immaginazione si fondono. Il triangolo originale subisce un rimescolamento di genere: così la protagonista si ritrova divisa tra Rebeka Warrior (che ricopre il ruolo originario di Serge Reggiani) e  Vitalic. Una dissonanza che emerge ancor più netta e spiazzante, stante il rigore quasi filologico col quale la regista affronta l’operazione.

Je t’aime encore (Yelle)
diretto da Loïc Prigent
Il pianosequenza è vero, ma è falsa la tacita sfida “buona solo la prima”. Giocare con le aspettative dello spettatore, smentirle, riderci sopra.

POPSTAR (DJ Khaled feat. Drake)
Diretto da Julien Christian Lutz
Non il solito meta-video e non solo l’idea di fare interpretare il lip sync del featuring di Drake da Justin Bieber (la Popstar), perché sono il ritmo e il taglio che Director X (perché è lui, Lutz) imprimono alla storia a fare la differenza. Oltre all’incredibile performance di un Bieber compenetratissimo. Ci si dimentica persino della pallosa introduzione, troppo lunga e inutilmente esplicativa.

Dreams (Ella Eyre)
Diretto da Sophia Ray
Come da preambolo allo speciale: la situazione d’emergenza che legittima qualsiasi ghirigoro in vfx, il puro motivo visivo a infarcire il vuoto. Benedice (?) Partizan.
Quanto più intelligente, efficace e nello stesso momento semplice la concezione del dissimulato quarantine video dei Maroon 5 Nobody’s Love, diretto da David Dobkin? Molti cuori.

Terminal Slam (Squarepusher)
diretto da Daito Manabe
Manabe utilizza un ritrovato dell’intelligenza artificiale che riconosce automaticamente persone e pubblicità e le sostituisce con glitch e texture tridimensionali. Grande impatto visivo e assoluta aderenza al brano. Certo, rivederlo è un altro paio di maniche.

Le Grand Remplacement (Younés)
diretto da Ethan Graham
La grande cospirazione bianca contro l’immigrazione: così Younés è il centro di un tableau vivant (che reinventa in chiave etnica il famoso ritratto di Charles Lebrun di Pierre Séguier) osservato da un pubblico che, evidentemente, rappresenta il pensiero reazionario.
Una produzione Partizan molto ben realizzata che però deriva troppo evidentemente da
questo video diretto da Ian Pons Jewell.

I Wish (The Kid Laroi)
diretto da Josh Jones
Quest’anno ho ascoltato moltissimo pop di artisti giovani e giovanissimi: impossibile non notare come il trend postadolescenziale sia improntato a un autorialismo cupo e depressivo (il presente è una palude, il futuro un’incognita), con derive autodistruttive. Questo video, percorso da immagini angoscianti, usa il tema dell’incubo e il codice dell’horror per esprimere proprio questi concetti.


Stupid Love (Lady Gaga)
diretto da Daniel Askill
Un video performance, con venature narrative, ma girato integralmente con un IPhone 11 pro, il che pone un deciso accento sul concetto. Stupid Love è il modo in cui Askill rimette in scena in modo minimalista una realizzazione massimalista di Gaga (secondo la consueta formula targata Formichetti), dicendo, tra le righe, com’è cambiata la percezione della realtà nell’epoca della rete e come lo stesso presente sia mutato con l’avvento della new technology. Una coreografia già post che, mentre si fa, racconta del filtro social attraverso il quale viene letta. E questo proprio per la scelta del mezzo con il quale viene ripresa.
Sicuramente più interessante dei due cine-video successivi: in Rain on me – diretto dal Robert Rodriguez di El Mariachi e Sin City, non nuovo a incursioni in campo videomusicale (clip per Bob Schneider e Demi Lovato) – la doppia coreografia di gruppo è inscenata in un mondo oscuro e violento, di chiara ispirazione cyberpunk, dove, in un baccanale battuto dalla pioggia, si celebra la sopravvivenza. Pomposo e sovraccarico, il promo, in linea con lo stile dell’americano, abbraccia fiero la serie B: rieccola la baracconata vecchio stile a fungere da paradossale antidoto al magro periodo covid del rigore coatto.
911, infine, segna il ritorno di Tarsem al videoclip, in odor degli amati Jodorowsky e Parajanov. E proprio quest’ultimo ritroviamo come esplicita e principale ispirazione per un video che ricicla una vecchia idea per una produzione 1998 di Angel per i Massive Attack, mai realizzata. Peccato che nel frattempo Tarsem avesse realizzato il film The Fall, di cui il clip replica l’impianto, fondato su un piano immaginario-mentale che si pone come specchio deformato di una realtà drammatica, svelata nel finale. Un promo che, se impressiona per il gigantismo rètro, nondimeno delude per come si piega allo schema elementare, indulgendo a una vacua (alta, per carità) maniera e contentandosene.

Dora (Tierra Whak)
diretto da Alex Da Corte
L’arte di Alex Da Corte esplora spesso e volentieri il campo del videoclip, confermando la sua tendenza a sottrarre oggetti, materiali e segni alla loro funzione originale per ricrearne le logiche formali e simboliche. Gli assemblaggi, imprevisti e istintivi, mettono in evidenza percorsi inconsci, dinamiche cerebrali inconsapevoli. Video pop (art).

Daydreams (Easy Life)
diretto da Max Siedentopf
Dal mio regista rivelazione dell’anno scorso un delizioso video che  conferma la tendenza di Siedentopf di piegare il discorso tecnico (qui l’uso di una rivoluzionaria camera che consente il movimento rotatorio, leit motiv del lavoro) alle esigenze della rappresentazione: una storia romantica sognata-vagheggiata che oscilla tra situazioni idilliache e altre più problematiche e critiche. Movimento, colore, art direction, performance, tutto perfettamente calibrato per arrivare al punto.
Dal regista quest’anno anche Pour The Milk di Robbie Doherty, un quarantine video che piega la circostanza a elemento narrativo.

ANIMAZIONE

Where Do The Children Play?
Father & Son (Yusuf/Cat Stevens)
diretti da Chris Hopewell

Damsel In Distress (Rufus Wainwright)
diretto da Josh Shaffner

At The Door (The Strokes)
diretto da Mike Burakoff

You’re Too Precious (James Blake)
diretto da Orfeo Tagiuri

Mozambique (Ghetts feat. Jaykae & Moonchild Sanelly)
diretto da Ruff Mercy

John Redcorn (SiR)
diretto da Daniel Russell, Dominic Polcino

Three Little Birds (Bob Marley & The Wailers)
diretto da Morgan Powell

sadder badder cooler (Tove Lo)
diretto da Venturia Animation Studios

Do You Really Wanna Know? (Sea Girl)
diretto da Francesca de Bassa

Oh My My (Blue October)
diretto da Johnny Chew

Swill (Jónsi)
diretto da Barnaby Roper

Find A Way (DUCKWRTH)
diretto da Mark Rubbo, Chad Tennies

my future (Billie Eilish)
diretto da Andrew Onorato

COREOGRAFICO

 

TKN (ROSALÍA & Travis Scott)
diretto da Nicolás Méndez x CANADA

Idontknow (Jamie xx)
diretto da Luca Truffarelli, Oona Doherty

Under The Waterfall (The Avener)
diretto da Sébastien Caudron

BLUE (Tiësto)
diretto da Ben Fee

L’Effet De Masse (Maëlle ‘)
diretto da Daniel Brereton

Foverer (Fletcher)
diretto da Ethan Lader

Let’s Fall in Love for the Night (Finneas)
diretto da Sam Bennett

Videogame (Sufjan Stevens)
diretto da Nicole Ginelli

Space (Biffy Clyro)
diretto da Joe Connor

Black Rain (Rhye)
diretto da Sam Taylor-Johnson

Nervous (So So Sun)
diretto da Tim Main 

Ascender (Maelstrom X Louisahhh)
diretto da Dorny Sunday

A través de ti (María José Llergo)
diretto da Alex Gargot

Amigo (Lous and The Yakuza)
diretto da Wendy Morgan

COVID-EO

Inevitabile l’ondata di video musicali condizionati dal lockdown e dalle sue restrizioni, condizione che in alcuni casi opera come una obstruction vontrieriana, uno stimolo per creazioni prima impensabili, in altri casi come alibi o scorciatoia a mascherare vuoti creativi. Fai-da-te, a casa, a distanza regolamentare, di puro montaggio, trionfi di computer grafica, ecco una rappresentanza nutrita del video all’epoca del Covid (speriamo – e non solo per il motivo più ovvio – di non vederne più).

Not OK! (Chaz Cardigan)
diretto da Will Kindrick

Before (James Blake)
diretto da Ryder Ripps

Toosie Side (Drake)
diretto da Theo Skudra

Everybody Business (Kehlani)
diretto da Hyphy Williams

I Know Alone (Haim)
diretto da Jake Schreier

Modern Loneliness (Lauv)
diretto da Jason Lester

Call My Phone Thinking I’m Doing Nothing Better (The Streets, Tame Impala)
diretto da Mike Skinner

Level of Concern (twenty one pilots)
diretto da –

Dreamland (Glass Animals)
diretto da Colin Read

Nothing Really Matters (Tiesto x Becky Hill)
diretto da Aya Tanimura

x (Jonas Brothers feat. Karol G)
diretto da Josh Rimmey, Zach Williams

Stuck with U (Ariana Grande & Justin Bieber)
diretto da Rory Kramer, Alfredo Flores, Ariana Grande, Justin Bieber, Scooter Braun

All Together Now (Ok Go)
diretto da Damian Kulash Jr.

ITALIANO

Tsunami (Eugenio in Via Gioia)
diretto da Raoul Paulet

Foreplay (David Blank & PNKSAND + ilromantico)
diretto da Delia Simonetti

L’aria sta finendo (Gianna Nannini)
diretto da Luca Lumaca

Tevere (CARA)
diretto da Simone Peluso

Beretta (Massimo Pericolo)
diretto da LABZERØ

Appesi alla luna (Zen Circus)
diretto da Zavvo Nicolosi, Giovanni Tomaselli

Tutto ok (Mecna, Frah Quintale)
diretto da Enea Colombi

Rapide (Mahmood)
diretto da Leonardo Mirabilia

Team Crociati (Deriansky)
diretto da Giorgio Cassano

Pincio (Margherita Vicario)
diretto da Francesco Coppola

Dal giorno in cui sei nato tu (Andrea Lazlo De Simone)
diretto da Martino De Simone

Cobalt (Fabrizio Rat)
diretto da Donato Sansone

baby (Madame)
diretto da Martina Pastori

Fire In The Jungle (Godblesscomputers)
diretto da Matteo Podini & Matteo Bombarda

Supersonica (Diamine)
diretto da Marco Brancato

Seconda Parte: la Top 20