Si chiude la stagione più spenta del nuovo millennio (la top 20 ne è uno specchio fedele): la grande rivoluzione dell’era di YouTube, (la facilità di accesso all’arte di mettere in immagini la musica, la riduzione drastica dei budget, il trionfo dell’idea) dopo i frutti iniziali, oggi raccoglie tempesta: quella di un’ipertrofia in cui tutto passa velocemente e poco si trattiene, in cui lavorare di fino sul video non è possibile / non ha più senso. Molto (troppo) della videomusica si è ridotto a puro immaginario, a un accenno di ambientazione, a nudo meccanismo senza spessore emotivo, a un’idea che spesso non si usa, si espone e basta. Su cosa oggi si debba intendere per videoclip, poi, ci sarebbe da scrivere un libro (chissà).
Di seguito quello che mi è parso interessante (soprattutto nel bene, a volte nel male) di questa cascata di immagini che ci ha sommerso nell’anno che si è chiuso. Incrociando le dita per il decennio che verrà.
PERFORMANCE
Lights Up (Harry Styles)
Diretto da Vincent Haycock
Si rimpiange (o si sogna) la voluttà orgiastica del contatto con l’altro. Nel mentre, in parallelo e tra quattro pareti, si vive la solitudine dell’artista e visioni suicidali. Anni che un clip non si focalizzava così ossessivamente sul corpo di una star e sulla sua messa a nudo come offerta di sé alle cupide brame dei fan (dal teorico e semidefinitivo Rock DJ di Robbie Williams, diretto nel 2000 da Vaughan Arnell?). Harry non distingue tra uomini e donne, si propone tangibile e fluido (il video esce alla vigilia del Coming Out Day) lanciando, secondo le logiche anni 80, un iconic video da manuale. Clip di cui, coerentemente, non vengono diffusi i crediti perché il regista sarebbe, come 30 anni fa, solo un valletto dello star-system. Ma siamo pur sempre nel 2019, così Haycock (uno che allo status di autore ci ha sempre creduto e che l’ha rivendicato, anche polemicamente, in più occasioni) accetta solo dietro director’s cut concordato. E comunque la sua firma se non si vede, si sente eccome, e non solo nell’impianto visivo: nel sottotesto narrativo – ricordate il ciclo per Florence? – che conferisce al clip ufficiale il suo carattere e ne consente la lettura completa).
Uno dei pochi frammenti di questa stagione che si impiglieranno davvero alla memoria.
Dilemme (Lous and The Yakuza)
diretto da Wendy Morgan
Alternando quadri urbani ad altri ambientati in eleganti palazzi d’epoca la regista, come già fatto nel suo art-video per l’Opéra National Étoiles, I see you, ragiona per giustapposizione di situazioni antitetiche, equilibrando, in un movimento di fluida continuità, l’energia della strada con le altere composizioni degli interni. Una contrapposizione che, a suo dire, rappresenterebbe, stilizzandole, le differenti esperienze di vita di Lous. Citando Bernini, Géricault e la giovane pittrice americana Naudline Cluvie Pierre, Morgan perviene a un risultato sbalorditivo per levità e armonia.
Door (Caroline Polachek)
diretto da Caroline Polachek, Matt Copson
Ecco un video performance davvero fresco e diverso dagli altri. Art direction originale e non codificata, viaggio nella psiche che si muove su un terreno sì riconoscibile, ma battuto senza inciampare mai nella patinatura, nel prevedibile, nella formuletta. Aria pura.
I Don’t Care (Ed Sheeran & Justin Bieber)
diretto da Emil Nava
Cosa ti inventi quando hai tra le mani una hit assicurata e le due stelle più luminose del pop mondiale? Invece di creare un banale kolossal o una pallosissima narrazione (lo è il 90% delle narrazioni mainstream), giochi con gli effetti speciali, mostrandoli e squarciando il velo sul making of. Già visto, dite? Ecchisenefrega, di certo non con Sheeran e Bieber, che, scusate, se non fanno la differenza loro (insieme, poi) allora chi.
Così, posto il green screen, piazzi i due “campioni” (la si legga in ogni senso) in contesti diversi giocando in maniera anche infantile con le possibilità e le sovrapposizioni. Il necessario è non perdere mai il focus del brano (irresistibile) né un solo secondo a concentrarti su qualcosa che non siano le due star a cui la voglia di giocare non difetta.
Non vi è piaciuto? Riguardatelo. Non vi piace ancora? Guardatelo un’altra volta. Eccetera. Eccetera.
Sheeran rimane sulla stessa linea (VFX denudati) per Cross Me, stavolta diretto da Ryan Staake, sempre più meccanicamente meta.
Mother’s Daughter (Miley Cyrus)
Diretto da Alex Moors
Non fa mai le cose a caso Miley Cyrus, e sa sempre dove guardare. In questo caso alle provocazioni madonnesche dei bei tempi e a certa Kylie Minogue, con un immaginario feticista che poggia su succulenti paralleli (le cerniere-vagine), certo sci-fi mutante (i capezzoli retrattili) disciolto in una palette sgargiante e violenta (il rosso dominante, esaltato dal lattice) e segmentato in tableau orgogliosamente sado-maso e siparietti più leggeri. Il tutto per inneggiare alla libertà nella disposizione del proprio corpo, alla necessità di liberarsi dalla dittatura di certi modelli estetici (e il dittatore è, ovviamente, lo sguardo del maschio) e all’autodeterminazione sessuale (my body, my rules). Peccato che lo faccia con un’insistenza letterale che suona quasi come una richiesta di legittimazione. Finiti i tempi in cui Miley le cose le faceva senza giustificarle? In quel farlo e basta c’era già tutta l’essenza del discorso, con una potenza e un’assertività che le scritte di questo (bel) video non avranno mai. Fallo e basta, Miley, come quando cavalcavi nuda la palla da demolizione e te ne fregavi di chi non capiva: non devi giustificarti con una didascalia ogni venti secondi.
Di Moors anche la corsa psichedelica di Juice WRLD in Fast, la parabola di Dangerous per Schoolboy Q (gira sempre da dio) e la splendida collezione di quadri di Icy di Kim Petras.
bad guy (Billie Eilish)
diretto da Dave Meyers
La pratica scioccante di Dave Meyers difficilmente lascia indifferenti. E questo video mostra anche sprazzi visivi insolitamente raffinati (il lavoro sulle cromie). Se la sua è una griffe di intelligenza e stile riconosciuto, continuo a non amare questo videomaking tutto in accumulo che mi pare poggi sempre di più sul gratuito alzare l’asticella della bizzarria e dello spiazzamento.
Boy With Luv (BTS f/ Halsey)
diretto da YongSeok Choi
Come rifarsi a un immaginario occidentale per reinventarlo e rimetterlo in scena con un’iniezione intramuscolare di fantasia. E una maestria registica da togliersi il cappello.
Non certo un caso, ma una prassi per la videomusica coreana (guardarsi anche Kill This Love, Blackpink, diretto da Hyun Seung Seo).
Lost in the Fire (Gesaffelstein & The Weeknd)
diretto da Manu Cossu
Manu Cossu al secondo video per l’album di Gesaffelstein, continua a proporre un’imagerie inquietante e potente fatta di quadri statici e frontali in cui si innesta il sempre efficace The Weeknd.
arrow (half•alive)
diretto da Josh Taylor
Usare lo spazio domestico per mettere in scena la performance, piegando ambienti e accessori allo scopo. Con massimo sfruttamento di colori primari e décor e condendo il tutto con trovate originali: Josh Taylor, collaboratore abituale del gruppo (per tutti: la coreografia di still feel.) conferma un tratto già riconoscibile anche nel successivo Runaway, diretto con Carlos Lopez Estrada, dove l’elemento scenografico empatizza con la protagonista e si piega ad ospitare due livelli temporali.
7 rings (Ariana Grande)
diretto da Hanna Lux Davis
HLD, consapevole come pochi della rappresentazione del femminile (chi altri avrebbe potuto dirigere questo trio improbabile?), in questo video ne regala la sua consueta lettura collocandola nella cornice di un prepotente art direction e di sfavillanti cromatismi, griffe riconoscibile dei suoi lavori.
Cellophane (FKA twigs)
Diretto da Andrew Thomas Huang
Esibizione di pole dance si converte in trip visionario: lo stile di Huang lo conosciamo e FKA guarda ovviamente a Björk (Huang è una sua scoperta e la islandese vince ancora una volta cambiando campo: per tabula rasa si rivolge al digital artist Tobias Gremmler -). Ma un certo senso di inconcludenza e di déjà-vu pervade il tutto. Pregevole il lavoro sul sound design.
ME! (Taylor Swift feat. Brandon Urie)
Diretto da Dave Meyers, Taylor Swift
Taylor Swift, dopo il sodalizio con Joseph Kahn (un filotto di successi da lasciare a bocca aperta), si muove sulla stessa linea, strizzando l’occhio a quel tipo di video (ludico, glamour, citazionista) : qui guarda al cinema francese, a Jacques Demy e a Les Parapluies de Cherbourg, fa un po’ di mosse e di teatro in mezzo a un delirio pastello, trovando in Brandon Urie un ottimo partner, e in Dave Meyers un complice di stucchevolezza programmata.
Come per ME! Swift entra di forza nel discorso registico (e nel mood kahniano) anche in You Need To Calm Down e in Lover diretti con Drew Kirsch: il primo è una colorata fantasia militante che, come Look What You Make Me Do è piena di riferimenti occulti e palesi (alla questione LGBT, alla politica di chiusura di Trump… ) e di indizi al suo personaggio e alla relativa narrazione (comincia con una citazione di Blank Space, continua con allusioni alla saga con Kim&Kanye, è punteggiata da riferimenti alle sue passioni e fissazioni, riconoscibili al volo solo dai fan più scafati). E, soprattutto, nel mare di ospitate (Ellen Degeneres, Ryan Reynolds, RuPaul etc), fa emergere quella di Katy Perry dando la memorabile, certificata chiusa alla loro storica disputa. Il secondo colpisce per la cura dell’art direction e l’inventiva delle situazioni: alla resa dei conti è il suo migliore dell’anno (tutto molto freddo, per carità, ma, se non il cuore, il cervello c’è).
Holy Roller (CYN)
Diretto da Ally Pankiw
Concettualmente interessante, ma trattasi della solita unica idea che viene proposta immutata per tutta la durata del clip: nessuna applicazione, nessuno sviluppo, pura reiterazione. Zzzzzz…
NARRATIVO – DOC
Rocket Fuel (DJ Shadow feat. De La Soul)
diretto da Sam Pilling
Sulla falsariga del precedente per DJ Shadow (Nobody Speaks), una variazione surreale su un tema reale-storico: dunque si illustra la leggenda metropolitana che vuole l’allunaggio una messa in scena diretta da Stanley Kubrick. Come per il suddetto tutto vira in caciara, perché la distopia di Pilling vuole sempre portare alle estreme conseguenze un discorso di fondo che è quello sul caos planetario come destinato alla deflagrazione finale.
11 Minutes (YUNGBLUD feat. Halsey, Travis Barker)
diretto da Colin Tilley
Lei muore in un incidente e lui passa dalla negazione (l’illusione di tornare indietro nel tempo e salvarla) alla rabbia, alla progressiva presa di coscienza che, prima dell’accettazione, comporterà la depressione. Il tutto in cinque capitoli che rievocano, ciascuno con la sua marca, imposta dallo stato d’animo, la relazione e la sua tragica fine. Colin Tilley gira un vero e proprio film: magistrale la messa in scena, segnata dalla portentosa fluidità con la quale coniuga lip sync e racconto e dalla cura del dato cromatico che da sempre lo caratterizza (si guardi anche Pure Waters per Mustard e Migos e Loco Contigo per DJ Snake, J. Balvin, Tyga o, per contrasto, lo splendido b/n di 100 Bands ancora per Mustard).
Altri titoli nell’annata, per il sempre (troppo) prolifico Colin: la clamorosa insalata funeraria di Sally Walker, la variante geronto-matrimoniale di Started per Iggy Azalea, lo zombie video e il fantasy ibrido per Post Malone, la Mykonos malata di J. Balvin, Bad Bunny. Eccetera (non gli si sta dietro).
Lucky Strike (Troye Sivan)
diretto da Emma Westenberg
L’artista è su una spiaggia ed è attratto fatalmente dall’avvenente ragazzo che gestisce il chiosco bar: domina un registro visivo vintage, con la palette pastello di una Polaroid e una cattura del dettaglio banale, ma folgorante, quasi fossimo in una fotografia animata di Martin Parr. Lo struggimento del protagonista è reso senza mezzi termini: nel cocktail che il barman gli prepara, il suo cuore straziato viene spremuto come un limone. Ma è tutta una fantasia. Viva le seghe (mentali?).
Just One Lifetime (Sting, Shaggy)
diretto da Joseph Kahn
Sting e Shaggy – e la loro esibizione – sono il sogno ossessivo della protagonista, in un tourbillon di situazioni che è viaggio tra generi e citazionismi vari. Kahn tritura riferimenti e li converte in clip che sono leggerissimi e solidissimi a un tempo.
Dal maestro anche il freezing di Celebrate, la citazione da GoT di Just Us per DJ Khaled (e i suoi feat.) e il cine-comic in ambientazione milanese Torn per Ava Max.
365 (Zedd, Katy Perry)
diretto da Warren Fu
Katy Perry è probabilmente la migliore interprete di clip in circolazione. Lo conferma, se ce ne fosse bisogno, questo sci-fi umanista in cui ricopre il ruolo di un’androide che, dopo un periodo di prova, convive con il problematico Zedd. Ma, imprevedibilmente, l’emozione si impossessa della macchina e l’amore manda in tilt i circuiti.
Perry conferma la sua predilezione per lo sci-fi drammatizzato con Never Really Over (diretto da Philippa Price) dove, nel trionfo di una filosofia new age fuori tempo massimo, si sottopone a un trattamento in una clinica per cuori spezzati. Senza alcun risultato. Meno interessante la narrazione di Small Talk, favoletta camp diretta da Tanu Muino, ma notevole il décor e, ça va sans dire, la Nostra. Chiude l’avventura in Harley diretta da Manson e prodotta da CANADA: niente di eclatante, ma fa curriculum in una videografia aperta, come poche, a ogni tipo di approccio e di autore.
Hungry Child (Hot Chip)
diretto da Saman Kash
Saman Kash continua a portare avanti un discorso videomusicale personale, fondato su narrazioni molto ponderate (ricordate i clip scritti da Bret Easton Ellis?) e su produzioni ad alto budget. Qui ragiona in termini metatestuali e rovescia una delle convenzioni sulle quali si fonda il videoclip musicale: la canzone diventa così una presenza incombente nella vita dei due protagonisti, che non solo possono sentirla, ma la subiscono a un volume altissimo e non sanno come liberarsene. Finale un po’ tirato via.
Metatestualità (quasi un genere a sé, per quanto è frequentato, altro sintomo di un’arte che si sta richiudendo in se stessa) anche per American Spirit di Meg & Dia: finto making of di un video performativo del brano, con la camera in motion control che diventa una minaccia e fa virare tutto in horror (co-diretto con Justin Daashur Hopkins).
Barefoot In The Park (James Blake feat. Rosalía)
diretto da Diana Kunst & Mau Morgó
Diana Kunst, forte di una personalissima galleria di commercial, sbanca allorquando entra nel videoflusso 2018 di A$ap Rocky, firmando l’onirismo sci-fi di Fuck Sleep. Con De aquí no sales, per Rosalía, la collaudata collaborazione con il videoartista Mau Morgó muta in griffe associata. In questo Barefoot in the Park le alchimie digitali di Morgó segnano uno sfuggente racconto di destini incrociati che sottintende, ma non avalla, una sorta di loop o di dimensione temporale alternativa o di ereditarietà fatale (a scelta).
Find U Again (Mark Ronson feat. Camila Cabello)
diretto da Bradley & Pablo
Road movie & action, tra Tarantino e Miller, in bianco e nero (il fuori) e a colori (il dentro) con performance contestualizzata. Una cazzatella scritta col mignolo sinistro, ma ben realizzata. B&P anche nella smaccata metafora per Charli XCX & Lizzo (Blame It On Your Love) e nell’astrazione su aquascooter (bella sul serio) di 2099 per Charli XCX e Troye Sivan.
I Found You (benny blanco, Calvin Harris, Miguel)
diretto da Jake Schreier
Honduras oggi: il video ricostruisce la drammatica storia di una donna, Nilda, attraverso immagini e didascalie.
Follow God (Kanye West)
diretto da Jake Schreier
Nella tenuta in Wyoming. Nel nome del padre.
Easy Skanking (Bob Marley & The Wailers)
diretto da Brian Kazez
Spaccato giamaicano (siamo ovviamente a Kingston) a supporto visivo della celebrazione del quarantennale dell’album Kaya. Fa il paio con lo splendido bianco e nero diretto da Nabil per Popcaan, Firm and Strong.
Girl (Cayucas)
Diretto da Nick Roney
La storia del matrimonio in crisi dei genitori del regista. La terapia? Questo video.
CONCETTUALE
Talk (Two Door Cinema Club)
diretto da Max Siedentopf
Un video teorico che sia anche divertente e che serva le ragioni del brano musicale non è cosa da poco. Max Siedentopf crea un catalogo di trucchi videomusicali noti (si va dal loop visivo al gioco di prospettive) in una cornice tipica anni dieci (il video portrait), con contorno di karaoke e celebrazione cosciente della performance (sottolineata dal finale meta). Sulla stessa linea More (Electric Guest) diretto da Joe Weil, altro catalogo meta di opzioni stilistiche.
Woke Up Looking (Gideon Irving)
diretto da Ewen Wright, Raky Sastri
Video exploit: piano-sequenza ed effetti in camera con il solo aiuto di uno specchio che raddoppia l’immagine: così, in una maniera che piacerebbe a Gondry, l’artigianato imita la computer grafica e la batte sul suo terreno.
Making of.
Someday (Weval)
diretto da Páraic McGloughlin
Motivi urbani e architettonici ridotti a puri pattern: da fotografie personali a immagini di Google Earth, una sarabanda visiva strabiliante che evolve in continuazione e non conosce momenti di pausa ispirativa. E che non si riduce mai a puro virtuosismo o exploit tecnico perché vive costantemente sulla simbiosi tra immagini e suono. Sinergia ancora più impressionante se si considera che l’autore è pittore, scultore e artista visivo, non un habitué della videomusica.
Playground (Steve Lacy)
diretto da Alexys Zabe
Green screen ed echo effect per Lacy polistrumentista: serializzazione a manetta, insomma. Roba da fine anni 70, l’epoca in cui il pioniere Valerio Lazarov andava, sfrenato, di chroma key + squeezoom. Oggi chi se lo ricorda più.
Thick And Thin (LANY)
diretto da Isaac Ravishankara
La malinconia porta una ragazza verso il mare, la “canzone” la segue, il tutto in piano-sequenza: non s’interrompe un’emozione.
Got To Keep On (The Chemical Brothers)
diretto da Michel Gondry, Olivier Gondry
I Chem Bros ovviamente non mollano la presa e ci tengono a non abbassare il livello di una videografia che è tra le migliori della Storia. Quindi, dopo l’ennesimo Dom & Nic (solido déjà vu) richiamano i Gondry. La felice danza, contrassegnata dal colore, si trasforma pian piano (grazie a una CGI usata, com’è uso, con grande finezza) in un inquietante, indistinguibile, impasto bianco (la postproduzione la cura Olivier). Bella l’idea, ma un po’ irrisolta: nel solito intento gondryano di assecondare visivamente l’evoluzione sonora del brano, il clip patisce un po’ il minutaggio e vive l’ultimissima parte come un inciampo.
Meglio la narrazione di Ninian Doff (alla seconda prova coi Bros) per We’ve Got To Try.
Take On Me (Weezer)
diretto da Carrick Moore Gerety
La cover della hit degli A-ah chiama un remake deviato del suo celeberrimo video (capolavoro di Steve Barron) di cui, solo evocando la narrazione, cita alla lettera tratto grafico e live action.
Con Finn Wolfhard, che di revival anni 80 ne sa qualcosa.
Tunnelovision (Jesse)
diretto da Zach Sekuler
Il giochino è vecchio (citare copertine di dischi famosi attraverso tableau vivant in successione), ma impossibile non portarlo a termine.
All My Life (Strangers on a Plane)
diretto da Lisa Mann
Adesso la metafora non la si usa nemmeno più, diventa direttamente il focus del video e la sua messa in scena la ragione d’essere dello stesso. Siamo oramai alla pura cartolina in movimento.
Can’t Believe The Way We Flow (James Blake)
diretto da Frank Lebon
Con Anton Tammi la rivelazione del 2018 (i bellissimi video per King Krule e per A$ap e Tame Impala): senz’altro una scelta strategica per il sempre attentissimo James Blake. Il risultato, per quanto ben organizzato, non è all’altezza degli sfavillanti precedenti, così irrigidito nella sua formula (la simultaneità gondryana), nelle tecniche miste (David Wilson) e nel suo immaginario di riporto (surrealismo marca CANADA). Alla prossima.
I Dare You (The Regrettes)
diretto da WATTS
I WATTS (i coniugi Jenna Trouche e Tripp Watt, lei di origini sudafricane, lui di Nashville) sono un collettivo di base losangelina di cifra eccentrica, la cui la predilezione per certe tecniche (stop motion, in primis) aderisce sempre alla perfezione al concept prescelto, e caratterizza puntualmente il risultato. E infatti tutti i loro lavori (video per Steve Aoki, She & Him, One Bit & Noah Cyrus – l’eclatante My Way -, numerosi commercial e persino un corto presentato al Sundance) sono riconoscibili: scenografie fintissime di coloriture pastello, simmetrie ostentate, surrealtà di maniera, tono giocoso fino al farsesco. Per The Regrettes si inventano l’ennesimo, delizioso teatrino – un set evidente con attrezzature a vista – nel quale si dipana una coreografia tutta moine e birignao. Punteggiato da effetti elementari (accelerazioni, il prediletto passo uno) e giocato, al solito, sulle cromie, I Dare You funziona perché appare come un congegno semplice. Non essendolo affatto.
ITALIANO
Una canzone disperata e poetica come quello di Paki in qualche modo le sue immagini le contiene già, non era dunque semplice trarne un video che non ne costituisse la semplice cornice: Davide Vicari (già alla regia dei due bei precedenti per l’artista) centra l’obiettivo in pieno. Facendovi serpeggiare i motivi del testo, crea pochi, ma potenti quadri senza piegarli alla logica della pura illustrazione, anzi: un lavoro aggressivo e sottile, di una forza espressiva inedita dalle nostre parti. Uscito in chiusura del 2019 è l’epilogo e l’apice della videomusica italiana dell’anno.
A seguire altri titoli pregevoli: dall’orgia vintage di Gradara, al cowboy lisergico di AcquaSintetica, dalla poesia leggera di Lumaca al sogno liturgico-televisivo di Bozzelli, dal solito magnifico Rovellini (patrimonio nazionale) al tratto lirico di Bernardi fino al melodramma contemporaneo di GJ Sqaurcia. Senza dimenticare la Roma vera di Tommaso Bertani (Stay Away è una delle canzoni italiane dell’anno), l’angosciante mitologia contemporanea di Tomaselli, l’ironia queer di Puglisi e l’inventiva leggera, ma di sostanza di Spaconi.
Non scherzare (Paki)
diretto da Daniele Vicari
Blush Beat (Club Domani & Emmanuelle ft. Stephanie Glitter)
diretto da Marco Gradara
Calypso – Mòn
diretto da Giacomo Spaconi
Shadow of a Gun (Inude)
diretto da AcquaSintetica
K.O. (Sem&Stènn ft. YaMatt)
diretto da Salvatore Puglisi
Rolls Royce (Achille Lauro)
diretto da Sebastiano Bontempi
Domenica (Coez)
diretto da Luca Lumaca
Hit (Santa Manu)
diretto da Simone Bozzelli
Stay Away (Night Skinny)
diretto da Tommaso Bertani
Granata (Coma_Cose)
diretto da Fausto Lama
Romeo (Margherita Vicario feat. Speranza)
diretto da Francesco Coppola
Nudda Ca Veni (SKoM)
diretto da Giovanni Tomaselli (Cinepila)
Le ragazze di Porta Venezia (M¥SS KETA)
diretto da Simone Rovellini
AK77 – (Linea 77 ft. Salmo, Slait)
diretto da Andrea Folino
Nuova Registrazione 402 (Mara Sattei)
diretto da Enea Colombi
Tuta Black (Paki feat. Shiva)
diretto da Davide Vicari
Love Anthem (Venerus)
diretto da Antonio Cleopatria
Al telefono (Cesare Cremonini)
diretto da GJ Squarcia
Puro desiderio (Teresa De Sio)
diretto da Michele Bernardi
Sabbie d’oro (Massimo Pericolo feat. Generic Animal)
diretto da LABZERØ
CICLI – LONG – SODALIZI
When I Get Home (Solange)
diretto da Solange Knowles
Una sorta di visual album diretto dalla stessa Solange con la fedele collaborazione del marito Alan Ferguson e il supporto di Terence Nance, Jacolby Satterwhite e Ray Tintori.
Nuovo poema visivo che, come i contributi video dell’album precedente, portano avanti un discorso di orgogliosa glorificazione della black culture, assecondando un registro alto che – in modo meno ammiccante di quello praticato dalla sorella Beyoncé – guarda all’arte contemporanea. Riferimenti chiari sono il Cremaster di Matthew Barney (artista tra i più saccheggiati dalla videomusica arty), il teatro stilizzato di Bob Wilson (non a caso nei crediti troviamo Carlos J. Soto e Maria de Testa, sodali del maestro texano) e tutta quella nuova videomusica atmosferica che si è imposta negli anni zero e che ha in Martin De Thurah il suo indiscusso iniziatore e caposcuola. Studiata alternanza di interni ed esterni, fisicizzazione di figure strettamente correlate allo spazio scenico, enfasi di gesti e posture, dilatazione dei tempi, liquefazione dei ritmi, montaggi agli antipodi della sincope. Solange, persegue, in maniera sempre più determinata, l’idea di un video astratto in cui, in ossequio ai modelli suddetti, architettura e design moderni incornicino tableau enigmatici e vagamente simmetrici (i cavalli che evocano le geometrie in movimento di Busby Berkeley). Tutto confezionato in maniera superba, ricercatamente freddo, sempre più palesemente derivativo.
Sleepless (I) – Repeat Until Death (II) (Novo Amor)
diretti da Jorik Dozy & Sil van der Woerd
Mongolia, viaggio della speranza di un minatore per salvare la figlia che rischia di morire soffocata dal “fumo della civiltà”. Ritorno alla natura e alla vita. Dai registi di Terraform e Birthplace.
Heartache – Control (Biting Elbows)
diretti da Ilya Naishuller
Quando si tratta di Naishuller (qui per l’ennesima volta in accoppiata con i Biting Elbows) sappiamo cosa aspettarci : grandi produzioni, spettacolo scorretto (sesso, violenza), action cattivi, grande maestria esibita senza ritegno. Insomma, qualcosa di imperdibile nella sempre più omologata attività videomusicale.
Deutschland (Rammstein)
diretto da Specter Berlin
Oltre il kolossal.
Summer Girl – Now I’m in It – Hallelujah (Haim)
diretti da Paul Thomas Anderson
Tre video (trascurabili) diretti dal regista per il gruppo statunitense. Il migliore è l’ultimo.
Capri Rendez-Vous (Liberato)
diretto da Francesco Lettieri
Quello di Lettieri per Liberato è un progetto che va avanti, non si siede e non diventa formula: Capri Rendez-Vous racconta un’unica storia che si sviluppa in cinque puntate e che guarda con precisione – e forse un po’ di nostalgia – alla storia del cinema italiano. Si racconta, attraverso cinquant’anni, l’evoluzione di uno sguardo e di un linguaggio: così, dal primo capitolo in bianco e nero, si arriva all’ultimo composto di soli fermo-immagini. Riferimenti trasversali, molti: da Wong Kar-wai al Godard di Il disprezzo.
È l’evolversi di una collaborazione che porta la nostra videomusica a confrontarsi con quella internazionale, rivendicando una cifra e uno stile originali, personali. Indiscutibilmente nostrani. Lettieri pronto per il lungometraggio (a breve, su Netflix).
Norman Fucking Rockwell (Lana Del Rey)
diretto da Chuck Grant
Montato da Lana: autofiction in long video (tre brani).
ANIMATO
Last I Heard (…He Was Circling The Drain) (Thom Yorke)
Diretto da Art Camp & Saad Moosajee
Who Cares? (Paul McCartney)
diretto da Brantley Gutierrez, Ryan Heffington ft.Emma Stone
Time (Alesso)
diretto da Brennan Karem
Rushing the Acid Frat (Stephen Malkmus)
diretto da Robert Strange, James Papper
Why Even Try (Hippo Campus)
diretto da Ruff Mercy
Running Up That Hill (Meg Myers)
diretto da Jo Roy
Got To Get Up (Gary Clark Jr.)
diretto da Manu Viqueira & Laprisamata
Heat of the Summer (Young The Giant)
diretto da Kyle Sauer
Vote For Me (The Specials)
diretto da Dan Emmerson
New Breed (James BKS)
diretto da Stevie Gee Essy May
COREOGRAFICO
Anima (Thom Yorke)
diretto da Paul Thomas Anderson
How Do You Sleep (Sam Smith)
diretto da Grant Singer
Let’s Shut Up & Dance (Jason Derulo, LAY, NCT 127)
diretto da Daniel Russell
Con altura (Rosalía, J Balvin)
diretto da Director X
Walk Me Home (P!nk)
diretto da Michael Gracey
Aute Cuture (Rosalía)
diretto da Bradley & Pablo
Too Much (Carly Rae Jepsen )
diretto da Matty Peacock, Amy David
Heavy Baile (Ciranda feat. Goes)
diretto da Alex Tiernam
Casio (Jungle)
diretto da Josh Lloyd-Watson
Down By The Tree (Pearl City)
diretto da GRANDMAS
Motivation (Normani)
diretto da Daniel Russell, Dave Meyers
A Palé (Rosalía)
diretto Jora Frantzis
COMMERCIAL
Bounce (Apple)
diretto da Oscar Hudson
Take a New Chance (Chanel)
diretto da Jean-Paul Goude e coreografato da Ryan Heffington
Dream Further (Nike)
Content Battle (Orange)
Invictus & Olympea (Paco Rabanne)
diretti da François Rousselet
Gucci Cruise 2020 (Gucci)
diretto da Harmony Korine
La première file de l’humanité (Monoprix)
diretto da Antoine Bardou-Jacquet
Dream With Us (Nike)
diretto da Aoife McArdle
Let Nature Back Into Your Home (Velux)
diretto da Martin De Thurah
First Time (Moët & Chandon)
Mona Lisa (Perrier)
diretti da Manu Cossu
Helden (Nike)
diretto da John Hillcoat
The Baby Bare Necessities (Evian)
diretto da Vania & Muggia
Laverne Cox New Holiday Campaign (Smirnoff)
diretto da Ace Norton
Silence The Critics (Ikea)
diretto da Tom Kuntz
The Seven Worlds (Hennessy)
diretto da Ridley Scott
The New Normal (MedMen)
diretto da Spike Jonze
She Knows (Vasquiat)
diretto da Rogelio Gonzalez (x CANADA)