TRAMA
Irene viaggia sola, nel lavoro come nella vita privata. Mistery guest in hotel a 5 stelle e single senza figli
RECENSIONI
A Maria Sole Tognazzi va riconosciuto il merito, più che il coraggio, di aver girato un film insolito per il cinema italiano. Una storia disancorata geograficamente, in continuo movimento, per una volta potenzialmente universale. Un tipo di film al di là dei generi ed al di là delle delle routine italiane di cui molto pubblico potenziale sente il bisogno, ma che solitamente porta bandiera straniera.
Per il tema trattato il pensiero corre subito, evidentemente, a Turista per caso e a Tra le nuvole, ma non si ravvisano tentativi di imitazione.
Margherita Buy, un look da Meg Ryan compassata, si divide tra viaggi di lavoro in hotel a cinque stelle e frettolose parentesi domestiche in una casa asettica più di un albergo, o alla ricerca di calore nel caos della famiglia di sua sorella o nell'amicizia del suo ex, attuale migliore amico.
Una donna che è sorella, amica, zia e non madre, quindi per forza di difficile collocazione nella società, ma perfetta per fare l'ispettore in incognito negli alberghi di lusso.
La storia è quella di una scelta di vita e delle sue tante alternative, la metafora attraverso cui viene narrata è quella del viaggio, dell'esperienza irripetibile non sempre all'altezza di una serie sconfinata di standard qualitativi.
Il film riesce a viaggiare in equilibrio tra i generi, portando in sé elementi della commedia ed elementi drammatici. I sorrisi nascono soprattutto dalle rigide ispezioni cui la Buy sottopone i bellissimi alberghi in cui soggiorna, armata di guanti, termometro e cronometro per compilare un lunghissimo questionario con i requisiti imprescindibili di un 5 stelle. Il tono prevalente, però, ci sembra soprattutto quello malinconico.
Se per fortuna gli sceneggiatori non cadono nella trappola di propinare regole fisse e frasi fatte (tranne forse un paio di sopportabili eccezioni), anche in questa prova si ripropone, con esito più soddisfacente, l'insidia del cinema della Tognazzi: ricercare modi di sentire e di essere reali, in cui molti potrebbero riconoscersi, camminando sul filo sottile della semplificazione, inciampando in una serie di figure che sono media statistica della moltitudine.
La sorella sposata, casalinga e con figli, la cui vita è come uno specchio rovesciato rispetto a quella della protagonista, non offre forse un riflesso convenzionale che si sostanzia nella solita coniugata con marito noioso e distante, ogni passione spenta, nessun tempo per se stessa ed una quotidianità fatta di seccature? Difficile evitare il deja vu sentendo la tirata "mi preoccupo per te, chi si prenderà cura di te quando sarai vecchia?" o assistendo allo scontro pretestuoso sull'opportunità o meno di un abito da sera sensuale addosso ad una madre di famiglia. E il personaggio di Gian Marco Tognazzi - a cui la regista continua perfidamente ad assegnare ruoli da partner deprimente - non brilla per approfondimento né tantomeno risulta inconsueto nella moderna tradizione che vuole gli uomini abulici e quasi afasici all'interno della coppia.
Meglio allora i personaggi di Buy e Accorsi, con qualche contraddizione in più rispetto alla media.
Quella dell'incontro con l'antropologa interpretata da Lesley Manville, nonostante la straordinaria bravura dell'attrice, rischia invece di risultare una parentesi scollata dal resto della pellicola, troppo scopertamente collocata a storia inoltrata per innescare la crisi interiore della protagonista.
Se, come dichiarato da tutto il cast, il film risponde all'esigenza di raccontare una scelta di vita al di fuori dagli stereotipi, sottolineandone non solo l'esistenza ma anche la legittimità rispetto ad aspettative sociali imbalsamate e soffocanti, il tentativo non sembra in ultima analisi del tutto riuscito.
Quello della protagonista appare come qualcosa di più di un momento di insicurezza e l'uscita "Questa non è libertà, questa è solitudine" non fa che suggerire l'esistenza di un unico modello esistenziale, in cui la famiglia è imprescindibile e la totale indipendenza resta un ripiego. Ed anche il fatto che l'amico interpretato da Accorsi si scopra padre suo malgrado con fin troppa facilità richiama una visione troppo omologata della genitorialità (un dono anche quando non è frutto di scelta consapevole).
Il film sbanda insieme ai suoi personaggi, ma sa rinunciare a romanticismi consolatori (si pensi al disagio del giorno dopo la rimpatriata fra ex o al parziale fallimento del viaggio di zia e nipoti).
Il finale riporta in carreggiata i propositi iniziali, con il parallelismo tra viaggio reale e viaggio della vita che applica ad entrambi quesiti sul livello di soddisfazione e conclude con approccio più positivo che ogni individuo è diverso, il viaggio deve essere quello che più gli si adatta.
A fine visione, quindi, soddisfazione a metà - legata anche ad alcune convincenti interpretazioni tra cui spicca quella di Fabrizia Sacchi - in attesa di maggiore coraggio. Viaggio sola è comunque un passo avanti rispetto all'ingenuo ed autoreferenziale Passato prossimo, ma anche rispetto al già più interessante secondo lungometraggio, L'uomo che ama.
Sul piano della regia, Maria Sole Tognazzi non ha mai brillato per idee. La ripresa delle splendide location internazionali sfiorerebbe a tratti il rischio cartolina, se non la salvasse la fotografia elegante di Arnaldo Catinari.