TRAMA
Brenda è incinta. Alex ha appena compiuto diciannove anni e sta per diventare padre. Kevin riempie la città con il suo nome. Ognuno tenta di lasciare il proprio segno nel mondo. Tre adolescenti vivono la graffiante indolenza della borgata romana, senza tetto né legge.
RECENSIONI
Far in the distance is cast a shadow
Symbol of our freedom will bring us salvation
On the horizon hope for Tomorrow
Sweeping across the land to give us unity
Look to the heavens with tears of triumph
To cherish a new life and suffer not again
Lift up your spirits from all destruction
Never shall we return from conflict we must learn
Shiro Sagisu - Emergency Evacuation to Regression
Un vocale stremato che bruscamente si interrompe, una chiamata in arrivo: i titoli di testa di Una sterminata domenica eclissano il presente e si aprono all'irruzione delle musiche post-apocalittiche di Shiro Sagisu (Emergency Evacuation to Regression, da The End of Evangelion), chiamato da Alain Parroni per comporre la colonna originale del suo esordio alla regia.
La vita degli adolescenti Brenda (Federica Valentini), Alex (Enrico Bassetti) e Kevin (Zackari Delmas) si snoda languida lungo una domenica che sembra non aver mai fine per abbandonarsi all'improvviso a bruschi vortici carichi di adrenalina: luna park in notturna, fughe per i campi e sul lungomare, fuochi di artificio che incendiano le feste in spiaggia. Una, tante domeniche vissute, senza soluzione di continuità, tra i greggi di pecore della periferia romana e visite indolenti ai centri commerciali di Roma 2, ai cimiteri deserti, spiando la mollezza del popolo della capitale nel giorno del Signore.
Richiamando ambientazioni, personaggi e odori tipici di autori che la borgata l'hanno a lungo vissuta, osservata e ritratta (Pasolini, Caligari... ), la borgata di Parroni – prodotto, tra gli altri, da Procacci e Wenders - è al tempo stesso degna erede delle precedenti e una sua autentica trasfigurazione nella contemporaneità.
In quell'attenzione ai sobborghi diventata oggetto di studio (e di culto) di tanto cinema italiano degli ultimi anni, Parroni sceglie di auto-relegarsi ancor più ai margini, marcando una distanza non solo dal mondo borghese ma anche da quello proletario, da quella società che brulica nelle fabbriche e si aggrappa ad occupazioni fragili: la borgata di Una sterminata domenica segna il confine ultimo tra città e campagna. È un luogo / non-luogo liminale, in cui è facile perdersi tra le coordinate spazio-temporali, merito anche della fotografia di Andrea Benjamin Manenti, che utilizza la forma ibrida, scegliendo di montare su una digitale delle lenti Super 16.
ll tramonto e l'alba si fondono e si confondono, così come gli spazi (la loro funzione, il loro presente, il loro passato) abitati dai protagonisti; sarà un ecomostro o lo scheletro di un edificio ancora in divenire quello che per loro è la tana, la casa base a cui far ritorno per dormirci accanto, sciolti sui sedili di un'auto malandata?
Luoghi acronici in cui ripararsi da ogni interferenza esterna: la casa di nonna a cui si accompagna la sicurezza di un sofficino da mettere sotto i denti e pochi euro per la benzina; la roulotte marciscente e il recinto dell'enigmatico pastore Domenico (Lars Rudolph, Le armonie di Werckmeister), unico essere umano – dalla parlata quasi inintellegibile – disposto ad offrire un lavoro ad Alex, in cerca di una sistemazione, per quanto precaria, in vista della nuova dimensione familiare che deve - e che vuole - sostenere, dopo aver scoperto la gravidanza di Brenda.
Una famiglia che è una famiglia di fatto: il microcosmo (poliamoroso? Queer?) che si sono scelti cercando di lasciarsi alle spalle un universo - di madri e padri, di adulti e coetanei, di ritmi e sovrastrutture – che di loro non si prende cura.
Per sfuggire allo spettro di un'eterna indolenza, all'infinite jest della borgata, si impone quindi la necessità di farsi demiurghi e scrivere per sé un nuovo racconto, quando non sembra possibile costruirsi un proprio destino.
Parroni affida questa nuova storia, questa nuova autonarrazione, ad una mise en abyme per immagini: simboli della classicità (il Colosseo, San Pietro) spiati attraverso la lente di una machinetta giocattolo – false istantanee pre-generate simili a cartoline posticce -, fotografie passate in rassegna a casa della nonna («...è tutta gente che non ci sta più) e incursioni negli scatti dei turisti mentre Brenda e Alex fingono (il punto di domanda sarebbe d'obbligo) l'intimità tipica di una coppia acerba, che altro non ha e non pretende al di fuori del qui e dell'ora.
La normalità che gli è altrimenti negata la si deve agguantare tramite una ricostruzione artificiale creata da frame eterogenei: la realizzazione di una vita alternativa, di una via di fuga generata attraverso la manipolazione e l'immersione in raffigurazioni altre, simulacro di un'esistenza che non gli apparterrà mai di diritto.
Se nella mitologia del disagio adolescenziale la parola è spesso abusata, precocemente invecchiata, la gergalità è falsata dalla mediazione del linguaggio adulto, i fantasmi di vite passate e gli scorci di vite parallele si alternano veloci creando un carosello impressionista, labile e deperibile, così simile a queste nature sfuggenti.
Lo scarto tra il mondo di Brenda, Alex e Kevin è evidente anche sul piano spirituale: se Brenda è attaccata (e attecchita da) alla ritualità rustica e superstiziosa della nonna, i tre si calano nelle folle di San Pietro quasi nelle vesti di visitatori alieni, creando un'interferenza tra il loro presente velato di arcaico e le molli liturgie forse più turistiche che religiose, anche qui sbirciate attraverso il fitro dei maxischermi.
E forse con uno sguardo dall'alto, con una panoramica su una Roma che si staglia - finalmenente nella sua interezza - dai finestrini di un elicottero, sarà possibile affrontare la spietata vastità dell'Urbe, le vestigia di quanti hanno relegato ai margini un'età acerba, trasformandola in una vita agra.
Le grida che rivendicano l'ingenuità e l'inesperienza della giovinezza rimangono inascoltate; l'immagine, divorata dall'indifferenza di un cielo tinto di giallo.