
TRAMA
Il noto giornalista sportivo Lino Settembre presenta i primi sintomi dell’Alzheimer. La moglie, nonostante ne abbia appena subite le violenze, preferisce non rinchiuderlo in istituto, va via di casa e lo affida a due infermiere e al fratello primario ospedaliero. Lino, ormai, vive nell’infanzia quando, a dodici anni, trascorse le vacanze in un paesino fra i monti di Sasso Marconi.
RECENSIONI
Opera straziante in cui Pupi Avati unisce il suo proverbiale cinema dei ricordi con la durezza, per lui inconsueta, di un dramma della malattia che s’ammanta di esoterismo e malinconia. Alterna passato e presente, e fa dei suoi stilemi memoriali uno stato mentale all’interno di una mente affetta da Alzheimer: il fu invade l’ora in modi mai visti nella sua filmografia. Meraviglioso il raccontare “circolare”, dove piccoli eventi “magici”, anche buffi e felliniani sull’infanzia contadina, diventano grimaldelli fondamentali del vivere in sogno del protagonista: il modo in cui Avati innesca, entrando nella mente del malato, l’infanzia nel presente (soprattutto con l’idea dell’amico che resuscita i morti) è al contempo fantastica (si entra nel mondo dell’uomo regredito a bambino) e insostenibile agli occhi di chi questo mondo lo vive dal di fuori, come sua moglie che pende dai ricordi per continuare ad amare uno sconosciuto e che sopporta i lati oscuri di una malattia che, paradossalmente e con tenerezza, le porta anche il figlio mai avuto. Insostenibile anche per lo spettatore di fronte alla sorprendente parte finale, dove Lino si mette sulle tracce del passato come atto d’amore verso la moglie in coma. Avati impreziosisce il racconto con la voce fuori campo di Francesca Neri che racconta, come in un (altro) diario, il decorso della malattia, e con la chiave di lettura della favola per comprendere il mondo segreto dove si rifugiano i bambini. Due protagonisti in stato di grazia.
