TRAMA
Un Re deposto fugge a New York ma il Primo Ministro gli ruba tutti gli averi. Scopre che può rifarsi con la pubblicità.
RECENSIONI
Divertente, letale freccia avvelenata contro quegli Stati Uniti che, sin da quando era L’Emigrante, hanno fatto sentire l’inglese Chaplin come un ospite indesiderato, lasciando che raccogliesse gli allori finché il successo era stratosferico, pronti a colpirlo alle spalle non appena scemava la sua popolarità: in esilio in Svizzera a causa della Commissione per le attività antiamericane, l'autore gira in Inghilterra questa farsa allegorica con un alter-ego regale che finisce con il “subire” l'american-way-of-life. Gli Stati Uniti sono dominati dal fracasso, da giovani scalmanati nel ballo, da un cinema (occhio ai trailers!) che vive di violenza fine a se stessa e morbosità gratuite, dalla televisione come occhio sul mondo che tutto controlla, dalla stampa sciacalla e manipolatrice, dalla pubblicità che ha ridotto qualsiasi rapporto ad una questione di dollari e marketing creando effimere stelle di massa, dal progresso che permette di comprare la giovinezza (irresistibile il riso trattenuto di Chaplin con la plastica facciale). I ragazzini vengono mal educati, il maccartismo ha creato un clima di terrore, avvilendo anche Il Monello che, stavolta, è rappresentato da un piccolo genio che si chiede: "Bisogna essere comunisti per leggere Carlo Marx?". Chaplin demistifica la libertà d'un paese avvinghiato su se stesso, ma lo fa con invidiabile leggerezza, a parte un finale "esagerato" (sia davanti alla commissione che nella forzata chiusura malinconica) che è il segno tangibile d'una legittima voglia di rivincita. Se lo stile del regista non vuole mai rinunciare ai modi del cinema muto (vedi la sequenza d'apertura, gli sguardi in macchina da presa, la scenetta comica nel night club), quest'opera, sottovalutata, è molto moderna e lungimirante nel suo j’accuse.