TRAMA
Henry è affetto da una disfunzione genetica a causa della quale viaggia incontrollabilmente nel tempo. Un problema che rende complicata la sua vita e quella di Claire, la ragazza che ama.
RECENSIONI
Tanto per cominciare, complimenti ai titolisti italiani. Stavolta si sono superati. Decidendo di cambiare l'originale La moglie dell'uomo che viaggiava nel tempo - suggestivo e pertinente, sembrava forse troppo lungo? - sono riusciti in un sol colpo ad imporre un titolo di rara banalità (evoca in modo scoraggiante una commediola sentimentale americana di serie B), che non ha alcun tipo di coerenza con la trama e, cosa più grave, che recide di netto qualunque collegamento con il libro, perdendo dunque l''effetto richiamo. Peccato, perché sono proprio i lettori del romanzo i candidati più idonei alla visione, in grado di cogliere riferimenti che nel libro hanno maggiore sviluppo e spessore e, soprattutto, di non perdersi nei diversi piani temporali. Per gli altri, qualche spaesamento può esserci. D'altra parte inserire una dicitura con la data all'inizio di ogni scena poteva risultare antiestetico e non meno laborioso durante la fruizione cinematografica. Un dramma sentimentale basato su un tema fantastico, o fantascientifico, è un terreno non facile. L'idea di un uomo che per una alterazione genetica (!) viaggia suo malgrado nel tempo ed incontra addirittura se stesso ed i suoi cari in età diverse genera implicazioni affascinanti ma anche rischiose, è una materia da maneggiare con estrema cura perché fa continuamente camminare il film sul filo del ridicolo involontario. Per questo la sceneggiatura (presa in carico dall'autore di Ghost, sempre in odore di fantastico) risulta abbastanza accurata e scaltra. Non scende mai davvero in profondità, né nell'affrontare le problematiche né nell'approfondire i personaggi, dando vita ad un film innegabilmente superficiale, al tempo stesso però è efficace nel selezionare situazioni che inquadrino gli elementi importanti della storia senza poter contare sulle centinaia di pagine di cui disponeva il libro. Inoltre, riesce a mantenersi fedele nello spirito all'opera letteraria pur tagliando ai margini parecchie cose. In considerazione della componente drammatica della vicenda - che prende poi la strada di un doloroso ed inevitabile lungo addio - appare condivisibile la scelta di eliminare alcuni elementi tragici di contorno (il suicidio della ex, la malattia della madre di Claire, il congelamento). Certamente più ruffiana è invece la decisione di glissare sull'abuso di alcol di Henry e in generale sui difetti dei protagonisti (anche la cocciutaggine di Claire, ad esempio) che li renderebbero meno gradevoli ma più interessanti. Tutta la pellicola è del resto più povera e meno creativa del romanzo, non solo perché perde in profondità ma anche perché manca buona parte della narrazione -a puzzle-, in favore di un percorso quasi cronologico meno confusionario ma anche meno originale. Romanticismo dolente, ironia ridotta al minimo e buon ritmo per una storia d'amore così così. Buona la scelta di Eric Bana, sempre alla ricerca del ruolo della vita, e dell'emergente Rachel McAdams.
Opera sottovalutata. Il solito titolo italiano qualunquista non rende giustizia ad una commedia sentimentale fantasy sorprendente, dolce e commovente, non per niente sceneggiata da Bruce Joel Rubin, avvezzo a racconti che affrontano la Vita, la Morte e i loro magici intrecci (Allucinazione Perversa, My Life, Brainstorm). Robert Schwentke riesce a dosare i pericolosi intrugli dello scrittore, dove altri prima di lui hanno fallito (artisticamente, non al botteghino: basti pensare a Ghost): già nel precedente Flightplan dimostrava un talento non comune nel sapere restituire le emozioni prima di tutto attraverso il montaggio, il cinema tout-court. Indovinata anche la sua scelta, soprattutto all’inizio del film, di alternare accelerazioni (eventi straordinari) e decelerazioni (eventi quotidiani) come a replicare le distorsioni temporali protagoniste. Come love-story che intreccia le esistenze nel segno di una facoltà straordinaria, può essere associato a Il Curioso Caso di Benjamin Button dell’anno prima, non a caso qui il produttore esecutivo è lo stesso Brad Pitt, ma quest’opera era in realtà già pronta nel 2007, ha atteso qualche sequenza aggiuntiva fino al 2008 ed una distribuzione in sala avvenuta due anni dopo. Il racconto dal romanzo (2003) di Audrey Niffenegger intriga nel modo in cui disquisisce di “amore per sempre e da sempre” e ricorda La Strana Realtà di Peter Standish (Frank Lloyd, 1933) tratto dal racconto fanta-sentimentale del commediografo John L. Balderston ma soprattutto Ovunque nel Tempo (1980) scritto da Richard Matheson. Riconcilia anche con la caducità dell’esistenza, con i propri cari estinti.