Horror, Recensione, Thriller

TURISTAS

TRAMA

Giovani americani vanno in Brasile, prendono un pulmann, questo rotola in un burrone, loro si salvano, scendono in spiaggia, bevono qualcosa, fanno amicizia con i nativi, cadono in trappola.

RECENSIONI

Brazil

Il dottore matto si avvicina alla cavia, brandisce il bisturi e spiega alla sfortunata: Voi avete sempre preso qualcosa dal nostro Paese (ricchezza, divertimento, donne), adesso noi ci prendiamo i vostri reni (cit. non lett.). E’ questa la fiammata vera nel film di John Stockwell, l’unico segmento che azzarda timidamente l’uscita dal genere. Per il resto, nulla. E non basta tale dichiarazione di intenti per incidere davvero la diabolica sfaccettatura del dilemma: i panciuti occidentali si svagano beatamente nei Paesi in via di sviluppo, ma finiranno a pezzi assieme alle loro tronfie convinzioni. La parola di oggi è: traffico di organi. Sulla scia del terrificante Hostel (ma senza dovuta ironia, preziosa pretesa B-movie, secondo grado di leggibilità), ecco un innocuo ricamo certosino dei più ovvi stereotipi di filone: dalla cartolina sull’uomo americano (maschio, femmina, biondo, moro… più fighetti che fighi) alla manciata di affermazione virile (il Big Gim a difesa della sorellina), non vediamo l’ora che i nostri muoiano ammazzati, ma il film non concede appieno la soddisfazione. Ostaggio di un’anonima regia tradizionale, tra sfocature scolastiche e leggibili climax di terrore, torturato solo da dialoghi parodici, il pubblico segue gli ameri cani che si rivelano particolarmente impacciati e, di fatto, incappa nella scena stracult del baldo Alex alle prese invano con una portafinestra (e giù risate). Turistas (strano) si mantiene anche su livelli di guardia, modulando sulla figura di Kiko certe ambiguità e perdendosi nell’ambiente cavernicolo/acquatico che assolve funzioni diverse (momento idilliaco, squarcio terrorizzante, scontro finale). Ma sono davvero troppe le sciocchezze disseminate qua e là: dall’inverosimile lettura dell’action (personaggi armati che parlano e straparlano, ma non sparano mai) alla conversione finale dell’indio, a dire che i pezzenti sono anche buoni, semplicemente ridicola. Per chiudere, fuori dallo specifico filmico, resta da segnalare che la visione rischia di promuovere un pregiudizio inquietante: il Brasile, che splende sui depliant, è in realtà un ricettacolo di crimini efferati se non la culla del Male assoluto. Senza esagerare: siamo già nel campo nobile dell’analisi, ma abbiamo in mano soltanto un menù turistico.

Piccoli affari sporchi

Più che a Hostel, a cui è stato paragonato per l'abbinamento di vacanza e torture, il film di John Stockwell ricorda l'insipido Urban Legend di Jamie Blanks. Si tratta, infatti, di una leggenda metropolitana trasposta in pellicola. Chi non ha mai temuto di trovarsi durante un viaggio in una situazione pericolosa e senza via d'uscita, soprattutto se in un paese straniero e al di fuori dei rassicuranti percorsi turistici ? Il film porta questa ipotesi alle estreme conseguenze. I limiti dell'operazione sono tanti: scarsa originalità, stereotipi culturali (i brasiliani vengono rappresentati o con il cuore d'oro oppure spietati), attori fin troppo bellocci (ma non inerti), prevedibile scansione nell'eliminazione della carne da macello, cattivi da caricatura, chiusa poco incisiva e qualche svolta narrativa non propriamente plausibile (correre nella giungla a piedi nudi e per ore, ma quando mai? Da dove vengono, poi, all'improvviso, tutte quelle torce nella lunga sequenza in immersione? E ancora, non è beffardo che sia proprio il più esperto a ferirsi dopo essersi buttato baldanzosamente dall'alto delle cascate? Possibile, infine, che tutti i cattivi si redimano al momento giusto?). Nonostante questo, però, il film ha una sua apprezzabile efficacia e riesce, se non proprio a turbare, comunque a intrattenere. Le ragioni vanno cercate nella regia di Stockwell, misurata ma in grado di imprimere mordente al racconto senza cercare rifugio nel gore, e in una sceneggiatura non certo fantasiosa, e con pure qualche cedimento, ma nel complesso più curata della media nel dettagliare lo sgomento dei protagonisti. L'inizio, prologo d'effetto a parte, non si perde in inutili preamboli e catapulta subito lo spettatore all'interno dell'azione: un pullman in corsa lungo una caretera brasiliana con a bordo locali e turisti di differenti nazionalità. Il successivo incidente porta i personaggi a una progressiva perdita di certezze a stretto confine con il terrore. La prima parte, sicuramente la migliore, mantiene costante la tensione e motiva adeguatamente lo spaesamento dei protagonisti. Spazio all'inquietudine anche nella parte finale, quella della resa dei conti, ma la convenzionalità degli sviluppi finisce per prendere il sopravvento. Solo sfiorato il discorso politico e priva di profondità la denuncia dello sfruttamento dei paesi poveri da parte dei potenti del mondo, ma lo spunto non pretende di essere altro. L'onestà degli intenti è riscontrabile anche nella non completa adesione al format dell'horror giovanilistico: nessun fotogramma finale apre infatti maldestramente le porte a un possibile seguito.

L’attore e regista John Stockwell cavalca la moda dei torture-porn turistici con il primo e unico (speriamo) script del montatore Michael Ross. I soliti ragazzi in vacanza di cervello che, per tutta la lunga prima parte (incidente della corriera escluso), se la godono pensando a ballo, figa e alcol: i due inglesi passera-dipendente, l’amica con le tette sempre al vento (le ragazze, ovviamente, son tutte da copertina), l’ottuso (che poi finirà per essere l’eroe: ma di chi?), tipico americano ignorante e così via. Uno stereotipatissimo gruppo di insopportabili che chiamano il massacro: ne sono consapevoli, evidentemente, Ross e Stockwell dato che, unica ideuzza degna di nota del film, s’inventano un chirurgo pazzo nella casa di Hansel e Gretel nel bosco, pronto a vendicarsi di gringos ricchi e presuntuosi in caccia di organi brasiliani. Ma è quest’ultimo il mostro e loro le vittime, quindi, poi, va tutto secondo copione. Dopo la “vacanza” a culi e sballo, Stockwell dovrebbe addentrarsi nel raccapriccio tipico del genere, ma non soddisfa nemmeno da questo lato: unica scena degna di nota (si fa per dire), l’asportazione degli organi (che, per esteso, si vede solo nella versione DVD non censurata). Per il resto, il solito film di caccia ai superstiti, anche mal girato (non era male l’idea di trasportarlo sott’acqua, ma Stockwell non sa montare le riprese e restituisce scene caotiche e incomprensibili). Opera mercantile e inefficace, veramente inutile, se non al Brasile che potrebbe denunciarla: danneggia il proprio turismo.