
TRAMA
La giornalista Mary Mapes. Il conduttore televisivo Dan Rather. La trasmissione di inchiesta giornalistica della CBS “60 Minutes”. Un possibile scoop che potrebbe screditare George W. Bush a un passo dal secondo mandato contro il candidato democratico John Kerry. Da una storia vera.
RECENSIONI
Per il suo debutto alla regia James Vanderbilt, già sceneggiatore di successo (Zodiac, The Amazing Spider-Man, Sotto assedio, tra gli altri), si inserisce nel ritrovato filone dell'inchiesta giornalistica: professionisti della notizia determinati a trovare e dimostrare la verità in nome di un'etica del lavoro e di un bene collettivo imprescindibili. La storia, vera, ripercorre le tappe che hanno portato l'apprezzata giornalista Mary Mapes, in forza alla CBS, dalle stelle (fu lei a mostrare in televisione le foto dello 'scandalo Abu Ghraib') alle stalle (un servizio, poi smentito, teso a comprovare come George W. Bush fosse riuscito a evitare il Vietnam facendosi arruolare nella Guardia Nazionale dell'Aeronautica grazie alle influenze del padre). Per mettere in scena i fatti Vanderbilt utilizza una struttura piuttosto classica. Dopo un flashforward iniziale, infatti, sviluppa il racconto sviscerando con cura e in modo lineare la costruzione dell'inchiesta e il successivo fallimento, quindi l'ideazione, la raccolta delle prove, le difficoltà nel trovare fonti sicure, la verifica della loro attendibilità, il lancio della bomba in diretta televisiva, la conseguente e prevedibile offensiva della controparte, le prime crepe, fino al naufragio finale con la brusca fine della carriera della Mapes. La regia si fa invisibile e lascia che sia la scansione degli eventi, ben strutturata in fase di scrittura, ad avere il sopravvento, insieme alla prova di due attori perfetti nel dare credibilità ai personaggi. Cate Blanchett conferma la sua capacità di accendere i ruoli a cui dà vita, anche se abusa un po' degli stereotipi della giornalista in crisi (quel mettersi e togliersi risolutamente gli occhiali, le mani tra i capelli a rimarcare l'apprensione), mentre Robert Redford lascia che sia la sua icona liberal a parlare attraverso l'anchorman televisivo Dan Rather, suo indovinato alter ego nell'esaltare i valori sani di un giornalismo d'inchiesta teso a dare voce alla verità.
Nonostante la faccenda sia piuttosto ingarbugliata, e si basi fondamentalmente su dettagli che non quadrano, la sceneggiatura riesce a chiarire ogni passaggio senza risultare didascalica e l’incedere si mantiene incalzante evitando picchi melodrammatici (solo la telefonata con il padre padrone sbraca un po’). E allora perché l’insieme si apprezza con moderazione? A influire è sicuramente l’idea alla base del progetto, che racconta i fatti basandosi su un punto di vista che più parziale non si può, quello della stessa Mapes. Il suo libro “Truth and Duty: The Press, the President and the Privilege of Power”, in cui viene celebrata come vittima sacrificale, è infatti alla base del film e ne condiziona inevitabilmente ogni passaggio. Sono molti i dubbi che sorgono in relazione al caso “Rathergate” (così venne a suo tempo chiamato) e farne un esempio di buon giornalismo pare scelta un po’ azzardata; in tal senso il film, pur nel modo problematico con cui racconta i fatti, non mette mai in discussione l’etica dei protagonisti in campo, dando per scontato ragioni e torti. Più interessante il modo in cui è rappresentato il cambiamento subito nel mondo giornalistico con l’avvento dei nuovi media, aspetto già affrontato nel sottovalutato State of Play. Chiunque, grazie ai social network e ai blog, può avere voce in capitolo e quindi condizionare l’informazione. Una cosa diventa vera se qualcuno la dice, e con i mezzi tecnologici a disposizione ognuno può esporsi virtualmente e concorrere alla formazione di un punto di vista. Un’arma a doppio taglio che se da un lato permette di smascherare con più facilità i giochi di potere, dall’altro rischia di trasformare le opinioni in fatti. Ed è proprio nelle contraddizioni e nei conflitti di questa pluralità di voci, ben orchestrata da Vanderbilt, che il film gioca al meglio le sue carte. Per la verità, invece, invocata a partire dal titolo, meglio documentarsi ampliando le fonti.
