TRAMA
In una landa desolata e innevata, uno psichiatra in fuga viene scovato da un paziente che non può vivere senza il loro rapporto.
RECENSIONI
Transfer è il primo vagito cinematografico di David Cronenberg che scrive, dirige, fotografa e monta questi sette minuti di sapore beckettiano. Come accade per tutte le opere prim(issim)e di autori importanti, il rischio è quello di sovrainterpretare e leggere tutto con troppo senno di poi. Un po’ come guardare Doodlebug e dire che c’è già tutto il cinema di Nolan (cosa tra l’altro vera). Così, lo psichiatra che in apertura si lava i denti mescolando dentifricio e una bibita frizzante all’uva potrebbe essere una gag prolettica legata alla poetica dello sgradevole del regista canadese; la recitazione fredda, distaccata e straniata/straniante imposta (?) ai due attori è già marchio di fabbrica cronenberghiano; la declamazione di una “lista psicanalitica”, nella quale a un certo punto spunta fuori un polymorphous perverse, anticipa le tematiche del corpo e delle sue mutazioni; la regia, nella sua ingenuità semiamatoriale e/ma underground (jump cut, ellissi incoerenti risolte in continuità temporale e montaggio approssimativo), mostra un regista dallo stile (in prospettiva) essenziale ma non scarno, che si chiede quando e come muovere la cinepresa, senza enfasi ma perseguendo un obiettivo preciso (spesso la destabilizzazione). Per non parlare dei possibili legami, vaghi quanto chiari, che si possono trovare con A Dangerous Method, che arriverà 45 anni dopo. Tutto forse vero, tutto probabilmente giusto ma Transfer rimane un’operetta giovanile ingenua e approssimativa, derubricata a sketch dallo stesso Cronenberg. E’ però innegabile che qualcosa ci sia. E nel successivo From The Drain ci sarà anche qualcosa in più.