Commedia

TRAIN DE VIE

Titolo OriginaleTrain de Vie
NazioneRomania/Ungheria/Francia
Anno Produzione1998
Genere
Durata100'

TRAMA

Un intero villaggio ebreo vuole fuggire dalla follia nazista su di un treno che dovrà apparire come un vero convoglio di deportati, con tanto di falsi soldati tedeschi di scorta.

RECENSIONI

Si mette in scena l'allegoria del treno-vita, il mondo in quegli anni di follia. Vedremo poco i nazisti veri, e poco i veri partigiani comunisti: quello che interessa sta sul treno. Le tragedie del periodo vengono così analizzate in questo microcosmo, modellino da laboratorio: evitando patetismi si affrontano le due cose che interessano al demiurgo di questo pazzo, pazzo micromondo. I ruoli che nella rappresentazione vengono assegnati, prendono vita propria e chiedono sempre piu' immedesimazione: attraverso Mordechai e il suo progressivo scollamento dalla realta' vediamo tutta la follia del nazismo, attraverso gli inutili processi e le deliranti direttive del soviet del treno ridiamo delle velleitarie illusioni e della violenza che lo stalinismo portava con se. I nazisti che fanno paura, i comunisti che fanno ridere, non sono quelli "veri" del primo livello della rappresentazione (il film, la realtà), ma quelli della rappresentazione rappresentata dal film, sul treno, appunto. Sappiamo benissimo che Mordechai e i suoi soldati (o i comunisti da farsa) non sono "cattivi": ma perche' con quelle divise tendono a cambiare cosi'? Questo e' il nodo del film, la domanda posta in modo diretto: come e' possibile che l'uomo diventi cosi' "altro"? E far diventare gli ebrei, da sempre discriminati e perseguitati, modello rappresentante dell'umanita' intera, crucchi compresi, e' uno stupendo sberleffo, uno dei tanti di cui il film e' pieno. L'altro grande merito sta nell'aver rappresentato la cultura, le caratteristiche e le nevrosi yiddish senza tanta retorica. Gli abitanti del villaggio sono capaci di mostrare piccolezze e grandi generosita', ottusita' e acume, insopportabili lagnanze e corrosiva autoironia. Pieni di pregi e difetti, guarda caso, come ogni altro popolo. Con, in piu' un umorismo devastante e in questo caso destabilizzante per la sua irriverenza: gag a non finire, di una arguzia sempre spiazzante. Come quella del finale, distante anni luce dal patetico e dalla retorica spielberghiana o benigna.

Il treno della vita è una sublime follia. I suoi passeggeri si calano talmente nei ruoli da perdere la testa. Per fede, per ideologia, per amore. Chi, meglio di un pazzo, può guidare il nuovo esodo degli eletti verso la Terra Promessa in un mondo di imbecilli? Anche il rumeno Mihaileanu si fa prendere troppo dalla "storia" (il racconto), apre e chiude recitando il ruolo del demiurgo accattivante (il suo è un microcosmo), con una teatralità esibita in partenza (agitata, plateale) ed una inquadratura finale ad effetto, forzata. Ma si fa anche contagiare dalla farsa assurda della tragedia, immedesimandosi nella soggettiva colorata e beffarda del folle stratega (un adorabile outsider truffautiano, teologo e genio spaventato dall'amore), regalando pagine di impagabile ricreazione nella vena grottesca e di amaro monito nel sottofondo allegorico. Il treno fantasma della libertà (o il treno della libertà fantasma) s'avventura fra i nemici attaccato dagli amici (i partigiani con la bomba "mobile"), dai propri passeggeri (le divise del nazismo e del comunismo dividono il popolo della Terra), osando l'impossibile (i faccia a faccia con i veri hitleriani!), trovando dei fratelli nomadi (gli zingari) in un duetto di violini, in un clima festoso dai sapori kusturiciani (le musiche sono di Goran Bregovic). Un balletto yiddish che esorcizza la disgrazia con l'umorismo e riporta l'umanità sul palcoscenico della vita: il modello, inarrivabile, è Vogliamo Vivere! di Lubitsch, più che La Vita è Bella di Benigni (cui Mihaileanu propose, a quanto pare, questa sceneggiatura). I dialoghi italiani sono di Moni Ovadia.