TRAMA
Abitanti di campagna, i fratelli Caponi mantengono il nipote che studia Medicina a Napoli. Ma quando vengono a sapere che frequenta una cantante di rivista…
RECENSIONI
Immenso il successo della pellicola: quattro milioni e mezzo di spettatori premianti la sintonia perfetta fra Totò e Peppino, che entrano ed escono di scena tirando sassi da un calesse, sono accomunati dall’amore per il nipote da viziare e giocano di antitesi fra spendaccione ed avaro (spassose tutte le micro-truffe, verbali e non, ordite da Totò ai danni del fratello: “Mi mancano dei soldi!”; “Non sapevi che la moneta si svaluta?”). La malafemmina è Dorian Gray (che imita Marilyn Monroe) e la canzone omonima è una delle più belle di Totò (precedente al film: la scrisse per liberarsi dalla delusione d’amore con Silvana Pampanini): una soubrette all’apparenza smorfiosa e in cerca del buon partito, in realtà innamorata del buon cuore del giovane canterino (Teddy Reno si esibisce in continuazione per tutti). Le fanno da contraltare vere donne fatali, la delatrice tredicenne e giudicante e la sua migliore amica: se la prima è strabica, goffa e innamorata del ragazzo, non per questo gli autori le riservano il ruolo della santa opposta alla peccatrice. Allo stesso modo, il Caponi di Totò è un simpatico furfante a fin di bene. Nella sortita dei cafoni nella metropoli Milano, impera l’elogio della virtù dell’ignoranza (varie battute memorabili: “C'è tanta nebbia che a volte non si vede”; “Se non si vede come fate a dire che è nebbia?”) ma basterebbe la scena della dettatura della lettera a fare di questo film un classico: per quanto, infatti, sia nato come opera programmaticamente commerciale, con le canzoni, la bomba sexy e i buffoni all'interno di una favola sentimentale, nel tempo è diventato quasi un cult movie, merito anche della regia di Camillo Mastrocinque, che girava un po’ di tutto (anche film musicali) ma eccelleva nelle parodie.
