Opera lirica

TOSCA

Titolo OriginaleTosca
NazioneFrancia/ Italia/ Germania/Gran Bretagna
Anno Produzione2001
Durata120'
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio

TRAMA

Giugno 1800. Il pittore Cavaradossi e la sua amante, la cantante Floria Tosca, finiscono nel mirino del diabolico capo della Polizia pontificia, che accusa l’uno di essere complice della fuga di un prigioniero politico e intende possedere l’altra.

RECENSIONI

Da quanto tempo non si vedeva un film – opera? Questo genere cinematografico e musicale coltivato, tra gli altri, da Losey e Bergman, ha conosciuto un lungo periodo di stasi, dovuto soprattutto ad una sconfortante carenza di materia prima, vale a dire cantanti in grado di recitare, o meglio, disposti ad essere attori, anche a prezzo di una perdita parziale del cosiddetto “bel suono”.
L’altro grande problema che si presenta ad un regista interessato ad un’operazione del genere è costituito dal rischio di scadere nel teatro filmato, nella registrazione di una performance vocale. Jacquot risolve questo problema alternando e fondendo tre livelli collocati in luoghi differenziati non solo dalle coordinate spazio – temporali, ma dall’oscillazione tra identificazione e straniamento: le immagini sgranate, girate in digitale, di veri interni ed esterni romani delineano le soggettive dei personaggi (efficace in particolare quella, da animale braccato, che accompagna la presentazione dell’evaso Angelotti), il materiale girato in studio d’incisione mostra il lavoro effettuato dai cantanti (che possono così permettersi un playback imperfetto ed “onesto”), le sequenze propriamente narrative, filmate in set enormi, dilatati, che sorgono per così dire dal buio, permettono di delineare il dramma lirico in modo allo stesso tempo epico ed antinaturalistico.
Purtroppo Jacquot si fa prendere la mano ed esagera con gli effetti, pochi e ripetitivi: carrelli e panoramiche a 360 gradi, ingenuità figurative (il quadro raffigurante Maria Maddalena è rozzo ed assolutamente inadatto ad essere esposto in chiesa, o in qualunque altro luogo), qualche battuta di parlato assolutamente inutile, un flashback “alla lettera” (nel quale i personaggi procedono all’indietro con involontario effetto comico), nessun tentativo di rimuovere le incrostazioni caricaturali (specie quelle dei personaggi secondari) che da troppo tempo impestano troppe realizzazioni di questo testo drammatico.
Ma il risultato finale è più che soddisfacente, soprattutto per merito degli interpreti, primo fra tutti Antonio Pappano, giovane direttore da noi ancora poco considerato, che conduce, se non in maniera innovativa, almeno efficace, l'orchestra del Covent Garden, perfetta negli interventi solistici, particolarmente nella sezione dei fiati. Fra i comprimari, ragguardevolmente malizioso lo Spoletta di David Cangelosi e limpido (nonostante la dizione faticosa) il pastore del giovane James Savage – Hanford.
Roberto Alagna e Angela Gheorghiu hanno dalla loro la bella presenza ed il timbro suggestivo (e il fatto che l'opera sia registrata in studio permette di ovviare alle ben note carenze di volume che affliggono la celebre coppia), e anche se non brillano per sfumature (Alagna, in particolare, canta sempre di petto, criniera in resta), riescono a delineare personaggi sufficientemente convincenti.
Ma è Ruggero Raimondi, come al solito, a dominare la scena, o meglio, lo schermo: vocalmente sublime (ci mancherebbe), il suo Scarpia è la creazione di un vero attore, capace di trovare ogni volta nuove chiavi di lettura, senza mai farsi tentare dalla routine. Nel celebre film “in diretta” di Patroni Griffi, il cantante bolognese faceva del capo della Polizia romana un libertino cinico e blasfemo miracolosamente capace di evitare la caricatura; questa volta, anche per merito della scelta di Jacquot di rendere "mute" (cioè solo pensate) alcune frasi, Raimondi rende il perverso barone più umano, più misurato, quasi innamorato – a modo suo, ovvio – della protagonista. Il tutto senza perdere un'oncia della rigorosa, immortale perfidia che è la vera chiave del personaggio. Un’interpretazione troppo emozionante e rigurgitante di vita per potere essere presa in considerazione da una giuria, di qualunque natura.