Bellico

TIGERLAND

Titolo OriginaleTigerland
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2000
Genere
Durata100'
Scenografia

TRAMA

Il soldato Bozz si ribella alle logiche militariste di un temibile campo d’addestramento durante “la sporca guerra”.

RECENSIONI

Bozz: “Mi interessano le prove ma non lo spettacolo”
dal film Tiger Tiger burning bright in the Forest of the Night
William Blake, The Songs of Experience

Tigerland è senza dubbio insieme a Un giorno di ordinaria follia il film più interessante e convincente di Joel Schumacher, regista newyorkese di lunga, consolidata ma non sempre felicissima carriera, probabilmente per il suo fin troppo deferente accodarsi a certo mainstream hollywoodiano.
Tigerland si preannuncia come ennesimo viet movie senza però, di fatto, esserlo ed è questa forse la cosa più sorprendente, soffermandosi sulla tematizzazione dell’angoscia delle reclute prima della partenza per il Vietnam. In questo senso il film non è neppure propriamente un film di guerra, quanto piuttosto un film sulla simulazione della guerra. La pellicola mostra notevole efficacia nel descrivere tutto il terrore di questo “prima”, l’agonia cioè del presentire la guerra senza viverla realmente. L’innegabile fascino del film risiede proprio nel gioco estremamente simulativo che si va compiendo. Un gioco che implica una teatralizzazione dell’azione bellica, un gioco che dunque si gioca mediante precise regole marziali così come quello vero e proprio della guerra e che perciò va preso molto seriamente. Lo spazio scenico viene ricreato ad hoc in maniera tale che si annulli lo scarto tra verità e simulazione, anche il tempo deve essere reso oggettivamente e soggettivamente credibile ricalcando la temporalità dello scenario bellico: le estenuanti marce, le attese in trincea, gli agguati, i raid, il tempo, in sostanza, eminentemente sbalestrante della guerra, indefinitamente accorciabile e dilatabile, un tempo decisamente non lineare.
Tigerland si pone come estremo stage pre-Vietnam in cui davvero il terrore negli occhi e nella mente della recluta si fa pe(n)sante, vivo, reale. Qui ovviamente i riferimenti ad un approfondimento metacinematografico si sprecherebbero: il set come simulazione della simulazione in cui l’ingranaggio della macchina attoriale rischia di incepparsi sublimemente in un processo  di simulazione di secondo grado (l’attore che simula il militare che a sua volta simula il soldato sul fronte di battaglia). Schumacher risulta sufficientemente capace di poter reggere questo esercizio ludico doppiamente simulativo conferendo robustezza alla narrazione e credibilità alle immagini, riuscendo a restituire lo strano meccanismo psicologico che si mette in opera durante la simulazione. Ingranaggio davvero subdolo se si tiene in considerazione il fatto che la teatralizzazione dell’azione bellica deve divenire un’azione bellica tout court, deve inoltre presagirla, preannunciarla come un qualcosa a cui non ci si può sottrarre. Un meccanismo che quindi si mostra come un qualcosa di ossessivamente ineluttabile, come una sorta di destinalità funerea alla quale ci si deve preparare, una discesa negli inferi abissali dell’assurdità della guerra. Un meccanismo che come il più crudele dei giochi rischia di stritolare la fragilità psichica di quei ragazzi votati ad un destino di morte. Un meccanismo che dunque il giovane Bozz non può accettare poiché ne riconosce tutta l’insensatezza. E la riconosce, insieme, straordinariamente,  all’implacabilità della macchina da presa a mano di Schumacher (da notare la fotografia stupefacentemente asettica di Labatique, le luci  gialle e verdi negli interni e i claustrofobici bianchi degli esterni), come sguardo sconsolantemente allucinato su ciò che succede non solo nello spazio e nel tempo chiusi dell’addestramento ma anche, indirettamente, all’America di quegli anni, nello sguardo sbarrato, terrorizzato, alienato, dei suoi compagni, che presagiscono il loro tragico futuro, o, peggio, il loro essere senza futuro; lo sguardo ansimante soprattutto di coloro che non è riuscito con la sua sfrontata scaltrezza a far riformare. Bozz rappresenta l’elemento umano che risveglia le coscienze narcotizzate da falsi ideali e raccapriccianti imprinting nella prestabilita occlusura  mentale di un gioco assurdamente votato al massacro. E’ lui che si pone come condizione eversiva all’interno di un sistema che si prefigge l’obiettivo di annichilire qualsiasi ipotesi di affratellamento del genere umano fondando le sue basi sul comportamento aggressivo dell’istinto di autoconservazione, di un gioco spietatamente simulativo di anticipazione della morte.
Film che in definitiva dimostra grande intelligenza nel non essere retoricamente e in maniera manichea troppo schierato, un esempio assolutamente non banale di come il cinema possa inaugurare una discussione sull’antimilitarismo nella pura e semplice messa in mostra degli eventi e delle dinamiche psicologiche innescate dai loro protagonisti in un contesto di vasta complessità concettuale come quello della guerra.