TRAMA
Due anni dopo gli eventi di Avengers: Age of Ultron, Thor, alla vana ricerca di informazioni sulle Gemme dell’Infinito, si lascia catturare dal demone Surtur, che, nella mitologia norrena sarebbe la causa del Ragnarok, ovvero della rovina degli dei e della caduta di Asgard.
RECENSIONI
Fumettari e nerd di tutto il mondo unitevi: annuns mirabilis per i marvel-maniaci questo 2017 che, dopo l' n-esimo reboot di Spiderman dello scorso luglio, rilancia (e vede!) con il terzo capitolo del biondissimo e forzuto figlio di Odino. Nulla di nuovo si scruta all'orizzonte: blockbuster dalle meccaniche ben oliate, che vede il beniamino del pubblico alle prese con minacce fratricide ed invasori da galassie lontane. Del resto "squadra che vince non si cambia", giusto?... E invece no: Thor Ragnarok contraddice totalmente qualsiasi aspettativa e speculazione cinefila, proponendo un restyling semantico, strutturale e tonale che segna una netta cesura nel Marvel cinematic universe. Ardito fautore di quest'altrettanto audace cambio di rotta: Taika Waititi; il regista neozelandese, totalmente smaliziato in materia di supereroi, non ama le mezze misure, stravolgendo il paradigma whedoniano, estremizzandone i presupposti e ridicolizzandone alcuni capisaldi. Asgard viene avvolta da una patina glam in puro stile '80s, con un apparato estetico che farebbe impallidire ogni cult movie del decennio: action scenes funamboliche ed in slow motion, carisma dei personaggi ai massimi storici, il tutto confezionato in una sgargiante cornice cromatica. E poi tante, tante, ma davvero tante battute. Diciamo pure troppe: il film è intriso di repentini scambi comici, persino dilettevoli se non si dilatassero all'inverosimile; una gag genera un'altra gag, e poi un'altra ed un'altra ancora, innescando una reazione a catena che si interrompe solo dopo i titoli di coda. Un horror vacui che, seppur apprezzabile dallo spettatore saltuario e digiuno dei primi due capitoli, rischia di confondere (e non poco) i fan più caparbi, costretti ad assistere alla parodia (di una presa in giro) della saga.
In questa fiera di mondanità e fantascienza, la storyline fatica ad emergere: una trama troppo scarna e lineare se confrontata con il baldanzoso ed ampolloso apparato estetico, tanto da divenire del tutto accessoria. Il film si riduce a pregevole e spavaldo collage di azione, umorismo e disco fever, che ne detta l'andamento episodico. 92 minuti di applausi per il direttore della fotografia Javier Aguirresarobe, che firma un manifesto artistico ed estetico, tra citazionismo esasperato e vintage-mania, in cui si sacrifica epicità ed eroismo in favore di un adulante impasto trasformista. Ma veniamo al tasto dolente, le caratterizzazioni (o Sulla coerenza, questa sconosciuta). L'alta standardizzazione dei personaggi è, nel cinema di genere, non solo conseguenza inevitabile, ma necessità narrativa: la compresenza di un numero così elevato di attori principali costringe ad un sapiente utilizzo di cliché e canovacci nella delineazione del carattere, senza però precluderne l'unicità anzi, favorendo una più celere decodifica da parte dello spettatore. Tutta questa premessa per...? Per dire che in Thor Ragnarok ogni carattere viene stravolto ed alienato, sino a renderlo irriconoscibile. Partiamo dal protagonista, Chris Hemsworth ripropone una versione meno capelluta di Thor, ora logorroico ed affabile: una vera fucina di comicità ed arguzia, saltellante (bruscamente) tra british humor e fart jokes; dimenticatevi il tenebroso e taciturno dio nordico a cui eravate abituati, e preparatevi per la sua versione da Saturday Night Live. Nemmeno Hulk viene risparmiato da questo panismo ironico: il cupo dottor Bruce Banner (Mark Ruffalo) rinuncia al solipsismo ed all'autocommiserazione tramutandosi in scienziato pazzo in pieno bad trip, completamente in balìa del freak show che gli danza attorno. Plauso di circostanza per Cate Blanchett nei panni di un villain tirannico ed apocalittico: poco spazio per esprimersi, ed una caratterizzazione senza arte né parte; gli occhioni blu e la miss da dea distruttrice colpiscono dove i dialoghi falliscono. Menzione speciale per il povero Tom Hiddleston ed il suo alter-ego Loki: in una galassia pullulante di pagliacci, l'unico baluardo di sano umorismo non può che farsi da parte, ed assistere all'ora del dilettante proferendo il minimo sindacale. Il problema di Thor Ragnarok è la sua collocazione nella continuity: leggerezza e ruffianaggine ben si adattano a prodotti una tantum, ma meno in un puzzle vasto ed articolato quale quello marveliano. Un conto è smorzare i toni e rinnovare il concept, un altro destrutturare rabbiosamente un lavoro decennale solo per strappare qualche consenso in più. Insomma, questo abbagliante bromance tra il dio del tuono e l'incredibile Hulk, proposto in una verve a a la Guardiani della Galassia puzza di pretestuoso ed artefatto; si ridacchia di più e ci si coinvolge di meno, ma a che prezzo? La sufficienza non si toglie però, vi prego, ridateci il Thor tutto muscoli e poco cervello che amavamo. Ricorda Waititi: less is more. Idiosincrasico.