Fantascienza, Recensione

THE WHISPERING STAR

Titolo OriginaleHiso Hiso Boshi
NazioneGiappone
Anno Produzione2015
Durata100'
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio

TRAMA

L’umanità si è ridotta drasticamente, l’80% della popolazione è composta da robot con intelligenza artificiale e gli umani sono una specie in via d’estinzione. Machine ID 722 Yoko Suzuki è un’androide, a bordo della Rental Spaceship Z. Con il computer di bordo 6-7 MAH Em viaggia da un sistema solare all’altro, consegnando pacchi agli umani. (dal programma del RomaFF10)

RECENSIONI

Essendo il teletrasporto alla portata di tutti, perché mai gli uomini vogliono ancora dei corrieri vecchio stampo? Qual è il senso di attendere per anni un pacco che viaggia nello spazio?L'androide Yoko Suzuki non può capire questa necessità, cristallizzata com’è all’interno di un tempo di cui non sente il fluire.  Già dal principio Sono esaspera la condizione percettiva del postino artificiale, frammentando l’unità di una semplice sequenza (la preparazione del tè) con numerose didascalie che segnano il passare dei giorni. Un’azione così elementare si dilata a non finire, arrivando a durare più di una settimana. Nell’attesa di raggiungere le varie destinazioni prefissate, Yoko deve fare i conti con il tempo e il suo scorrere, l'irruzione disturbante e non familiare che lentamente la avvicinerà alla misteriosa natura dei destinatari umani, esseri persi e pieni di solitudine, la cui identità può essere preservata solo attraverso il legame con il passato. E non ci può essere memoria e connessione con il passato se non si è nel tempo, se non se ne vive la vibrante e malinconica presenza, fatta di attese e precarietà dell’esistenza. Ecco che allora una macchina, nei meandri dell’universo, impara gradualmente a essere uomo, ma soprattutto reinsegna a noi a esserlo prestandoci i suoi occhi, in parte spiazzati, in parte curiosi, e permettendoci di vedere le macerie della nostra condizione futura, che poi, a pensarci bene, è più presente di quel che crediamo.

Sion Sono disegna i vari pianeti visitati da Yoko ripensando a Fukushima. Lo spettatore cambia destinazione, ma non esce mai dalle immagini del disastro del 2011, dai luoghi reali di quel terribile 11 marzo, dove i pochi sopravvissuti attendono con imperturbabilità l'arrivo di uno sguardo pronto a riconoscergli la presenza, consegnandoli un cappello o una matita. Una questione di dettagli, piccoli oggetti che racchiudono un intero mondo. E' calandosi tra di noi, deboli corpi malati incapaci di reggere suoni che superino i 30 decibel, che Yoko entra in quel divenire mai conosciuto. Lei non può invecchiare, glielo ricorda un improvvisato spasimante che scandisce il passare del tempo grazie a una lattina incastrata sotto una scarpa. Non è un caso che il suono prodotto ricordi il ticchettio di un orologio e a sua volta richiami la prima suggestione del film (la perdita del rubinetto dell'astronave). L'androide allora inizia a capire, la macchina da presa lo segue nei suoi movimenti sulla Terra con inquadrature più lunghe, in movimento, gradualmente sempre più indirizzate a quell'agnizione finale che è senza dubbio uno dei vertici del cinema del regista giapponese. Yoko raggiunge la stella dei sussurri (the whispering star) e può finalmente diventare il testimone ed erede di un'umanità ormai alla deriva. Lungo un corridoio delimitato da fusama, si susseguono scene di vita privata piene di gioia, ma ci è permesso di vederne solo il riflesso, un'ombra (cinematografica) confinata nel passato (chiarissimo il rimando a un'altra tragedia, quella di Hiroshima/Nagasaki). Camminando dentro i nostri ricordi, Yoko farà l'ultima consegna e proverà per la prima volta una vera emozione. Da quel momento, anche lei sarà un mittente e potrà creare il suo pacco, con un piccolo gesto che omaggia il potere del cinema di non far sbiadire la nostra memoria.