THE SPIRIT

Titolo OriginaleThe Spirit
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2008
Genere
  • 67250
Durata108'
Sceneggiatura
Fotografia

TRAMA

Dall’omonimo fumetto di Will Eisner. The Spirit, poliziotto tornato misteriosamente in vita, è una specie di giustiziere mascherato che combatte la criminalità  a Central City. Suo acerrimo nemico è Octopus, che vuole distruggere la città  e diventare immortale.

RECENSIONI

Dalla coregia di Sin City alla regia di The Spirit il passo è breve ma complicato. Nel senso che la parentela (non solo) visiva tra i due film è lapalissiana ma si porta dietro un grosso rischio di sovrainterpretazione o qualcosa di simile. Col senno di poi: quanto c’era di Miller nel lavoro di Rodriguez e/o viceversa? E dunque: se (e quanto) The Spirit/Miller deve a Sin City/Rodriguez/se-stesso-che-deve-o-non-deve-a-Rodriguez-che-a-sua-volta-doveva-o-non-doveva-a-lui-stesso? Ci sembrano belle domande che però ci consigliano di tornare ai fatti.

I fatti ci parlano di un impatto visivo sostanzialmente omologo a quello sincityano nell’utilizzo del rettangolo schermico a mo’ di striscia (pro)filmica mobile e percorribile, ma con, ci pare, un accento posto sui giochi bidimensionali più che sulla plastica tridimensionalizzazione del fumetto. A tale proposito, ci piace leggere il carrello laterale posto in apertura che segue la corsa di Spirit sui tetti della “sua città” come una specie di dichiarazione programmatica, una stilizzazione mirata a omaggiare un maestro e un fumetto classico (classe ’40) che comunque setterà gli standard visivi di Spirit su un registro più sobrio (leggi anche: tradizionalmente fumettistico) di quanto non fosse accaduto nel "tutto milleriano" Sin City (ma anche, a maggior ragione, nel più recente, parimenti milleriano e ancor più sfarzoso 300 di Snyder). L’operazione, tra alti e inevitabili bassi, ci pare comunque riuscita: il risultato visivo reca in sé, ben visibili, le tracce della sua genesi (disegno - green screen - composizione digitale) rendendo credibile e, diremmo, “fruttuoso” il compenetrarsi dei due medium, con virtuale annullamento della distanza che (non) li separa (più?). E, aggiungiamo, con un lavoro sul colore assai ricercato che opta per una desaturazione oltranzista in loco del semplice b/n, saturando il solo rosso di volta in volta e riservando ai flashback una cromatizzazione più tradizionale.

Discorso diverso merita l’aspetto prettamente narrativo del film. Miller, che certo non ha un passato brillantissimo come sceneggiatore (il dimenticabile, con garbo, Robocop 2 e il decisamente brutto Robocop 3), in Sin City era però sembrato capace di costruire un impianto drammaturgico/do che comunque teneva il passo del perenne sopra le righe visivo, generando qualcosa di genuinamente originale o quasi. Ma c’era il co-writer Rodriguez (e non sto a ripetere la tiritera d’apertura sul chi-influenza-ispira-chi) e c’era un film che spingeva il piede su diversi acceleratori rendendo il dato tramico puramente accessorio, in qualche modo travolto dal trinomio ritmo – ultraviolenza - autoconsapevolezza camp/pulp (quest’ultima, stavolta ci sbilanciamo, di matrice rodrigueziana/tarantiniana). The Spirit è più “morigerato”, da molti punti di vista: come già detto, è visivamente meno pirotecnico/cinetico, contiene dosi assai minori di violenza grafica ed è più lineare nel suo sviluppo narrativo. Ed è anche più noioso. Specie la prima parte ha un incedere di rara aritmia, è funestata da inutili verbosità e annovera sequenze girate senza alcun senso dell’entertainment (il lungo, inconcludente scontro tra Spirit e Octopus). Nel prosieguo però, la storia prende corpo e inizia a destare un qualche interesse, alcune idee vengono ben sfruttate a fini schiettamente comici (le gag sui cloni/servitori Logos, Pathos ecc.), si fanno vive parentesi di efficace, surreale assurdità (il piccolo “piedecefalo”, il pretestuoso intermezzo nazi) e insomma l’ironia autoconsapevole di cui sopra sembra prendere in mano le redini della situazione, innestando un po’ di singhiozzante (e obsoleto) brio al tutto. Quest’ironia (che Miller dice essere omaggio a Eisner), questa forzata postmodernizzazione camp, se da un lato rende il polpettone complessivamente digeribile, dall’altro ne evidenzia i grossi limiti di scrittura riassumibili nell’incapacità di costruire i personaggi (e non si chiedevano certo “psicologie” ma qualche perché e un po’ di carisma) e di attualizzare gli anni '40 in modo "credibile" (far coesistere, sic et simpliciter, nella stessa inquadratura, un borsalino e un telefonino non è questa grande trovata), in una dialogica debole (salvo rare eccezioni), nella costruzione di una storia che non tiene il passo delle sue follie potenzialmente divertenti (l’”idea” del sangue di Eracle rimane un’idea) e nelle evidenti intenzioni che rimangono tali (l’accento, tutto eisneriano, posto sulla Città non assume nessuna consistenza diegetica ma rimane un vuoto voice over in apertura e chiusura di pellicola).