Drammatico, Recensione

THE SOUVENIR: PART II

Titolo OriginaleThe Souvenir: Part II
NazioneU.K., Irlanda
Anno Produzione2021
Durata107'
Sceneggiatura
Fotografia

TRAMA

Non ancora ripresasi dalla morte di Anthony e di quello che la loro tormentata relazione ha significato per lei, Julie cerca di continuare la propria vita e carriera scolastica.

RECENSIONI

Benedetto” dall’executive producing di Martin Scorsese, il dittico largamente autobiografico con cui Joanna Hogg ha ripercorso i propri primi passi nel cinema e nell’età adulta si chiude con un secondo capitolo probabilmente anche migliore del primo. Al centro, c’è l’elaborazione di un lutto: quello del brillante diplomatico e tossicodipendente terminale al centro della tossicissima relazione descritta nella prima parte di The Souvenir. È su di lui che Julia (“avatar” della regista) decide di incentrare il suo autobiografico film di diploma.
E dunque, romanzo di formazione sia – ma un romanzo di formazione affatto peculiare. L’ingresso di Julia nell’età adulta, infatti, consisterà nell’ammettere che l’adolescenza non finisce mai. Diventare adulti vuol dire perdere il controllo nel momento stesso in cui esso sembra finalmente acquisito. Dopo una prima parte in cui abbiamo assistito alla silenziosa implosione di una coppia i cui membri erano entrambi tanto privi di controllo quanto ossessionati dal voler sembrare che lo avessero, nella seconda questo paradosso viene riconosciuto come insolubile nel momento stesso in cui si impara ad addomesticarlo. La Julia di  The Souvenir part II è una Julia adulta solo nella misura in cui non ha più problemi ad assecondare la propria vulnerabilità: sul set del proprio film, Julia a malapena sa cosa sta facendo, e non ha mai indicazioni precise da dare ai propri attori – nemmeno all’attrice che interpreta lei stessa. L’altro regista che lavora nel suo studio di posa, il neo-dandy Patrick, ha invece le idee chiarissime: non solo sul proprio film, ma anche sul fatto stesso che la vita è un conto, e la forma è un altro. E a lui interessa la seconda: ogni suo gesto, ogni sua parola, sono interamente risolti in stile.

Ecco: in Souvenir, il ruolo che in un film così autobiografico ci aspetteremmo sia la psicologia a ricoprire, è spostato interamente sulla forma. Al centro del film, e della vita stessa che Julia scopre essere la propria, c’è l’idea che il controllo ossessivo non esaurisca mai la propria materia grezza, ma piuttosto circoscriva il perimetro di qualcosa che rimane indeterminato. È questa area grigia a frapporsi come un “cuscinetto” misteriosamente resistente tra Vita e Forma, le quali invece in ciò che Patrick è, e fa, sono fin troppo perfettamente coincidenti. Conseguentemente, la minuziosa cura compositiva di pressoché tutte le inquadrature di Hogg plasma una porzione sensibilmente parziale dello spazio filmico, che continua a premere fuori dai margini del quadro, e di cui abbiamo raramente visioni di insieme – allo stesso modo in cui il racconto affastella ellitticamente scheggia a scheggia, curandosi assai meno della linea narrativa che dei ricorrenti leitmotiv visuali (i fiori, soprattutto). Sul set cinematografico, Julia compie un apprendistato del vivere, riconoscendolo in una continua oscillazione tra prima e terza persona, tra l’identificarsi con se stessi e riguardarsi a distanza; “palestra” di questa incessante oscillazione è un ambiente, quello del set, densamente stratificato, esplorato tanto da Hogg quanto dalla sua “avatar” nelle sue componenti più immediatamente materiali (luci, linee, carrelli, le diverse grane dei diversi formati etc.), giocando a livello “micro” senza preoccuparsi delle visioni di insieme (nelle quali indulge volentieri Patrick, demiurgo tronfio e graniticamente sicuro di sé).
Braccato dalla razionalizzazione della materia visiva, il mistero viene circoscritto ma mai sciolto. Si diventa adulti solo capendo che non lo si diventa mai. Un’idea di cinema e di vita che triangola Rivette, Garrell e Akerman, e culmina nella scena geniale della premiere del film di Julia: mentre sullo schermo della sala gremita di amici, colleghi e parenti scorre il suo film finalmente “maturo”, noi e Julia non vediamo quello, ma l’acerbo, affascinante ma teneramente “studentesco” film di avanguardia che Julia continuerà ad avere in testa anche ora che ha ufficialmente abbandonato le velleità giovanili e viene celebrata come una regista vera.
The Souvenir part II è insomma uno dei rari e preziosi casi in cui il formalismo diventa sostanza, la sostanza stessa di cui sono fatti i personaggi. Valga per tutti il rapporto tra Julia e la madre, uno dei più riusciti ritratti della relazione madre-figlia visti sullo schermo da decenni: attraverso pochissime ma precisissime pennellate, ai margini del film eppure inequivocabilmente centrali, emerge che dalla genitrice Julia ha ereditato una sensibilità che non si lascia descrivere se non come ventaglio di modulazioni di una medesima, apparente insensibilità. La loro ritrosia, insomma, è sia forma che sostanza – come tutto, in The Souvenir part II.