Commedia, Grottesco, Recensione, Sala

THE PALACE

TRAMA

La notte del 31 dicembre 1999, vari membri dell’alta società si riuniscono al Palace Hotel di Gstaad, in Svizzera, per passare tra gli eccessi e i bagordi la storica notte di Capodanno.

RECENSIONI

31 dicembre 1999, festa di fine millennio al Palace Hotel. A Gstaad, sulle innevate alpi svizzere, quello che dall'esterno pare un castello incantato della Disney diventa il campo di battaglia ideale in cui sferrare l'attacco finale all'alta borghesia. Per Polanski è tempo di un'altra carneficina (Carnage), un altro gioco al massacro senza prigionieri.
Utilizzando la sempre rispettabile carta del grottesco, il regista polacco firma il suo personalissimo cinepanettone d'autore, un Vacanze di Natale appena più educato nella messa in scena e mosso da intenzioni dichiaratamente satiriche, con l'evidente obiettivo di demolire i valori di una società occidentale arrivata al capolinea. In questo senso, la struttura corale del racconto diventa naturalmente il pretesto ideale per sciorinare un variegato campionario di stravaganze e assurdità d'ogni tipo e, tra deiezioni canine, coiti letali e un trucco marcato dei volti e della pelle che porta alla mente gli interventi di chirurgia estetica in Brazil, il film cerca disperatamente quella scorrettezza e quella vena dissacratoria necessaria ad aprire lo sguardo e a pungere davvero, riuscendo però a trovarne solo una forma sbiadita e superficiale. L'offensiva infatti, come si diceva, è finale, ma anche frontale; è banale esercizio di scrittura (sceneggiatura firmata anche da Skolimowski), rigida costruzione illustrativa in cui Polanski finisce per accanirsi cinicamente e gratuitamente su personaggi che sono già ombre, proiezioni innocue, fantasmi che vorrebbero evocare un mondo mentre faticano a certificare perfino loro stessi.

Viene allora naturale ripensare al recente Triangle of Sadness di Ruben Östlund (richiamato fin dal poster), un altro film che soffriva di un certo schematismo e di una certa prevedibilità nella messa alla berlina di un mondo e di alcune sempiterne dinamiche sociali, ma che perlomeno nella seconda parte trovava una sequenza indubbiamente capace di scardinare il contesto dichiaratamente nobile - perché intrinsecamente autoriale - dell'opera a suon di fluidi corporei. Al Polanski di The Palace manca invece quella consapevolezza del proprio posto nel panorama attuale, ma anche quell'irriverenza e quello sguardo spietato e disperato che aveva contraddistinto i capitoli migliori della sua straordinaria filmografia, trovando solo nel parallelismo storico tra la paura dell'apocalisse generata dal Millennium Bug e l'ascesa del governo Putin in Russia, quel barlume di ferocia -  terribilmente contemporanea - in grado di descrivere un mondo ormai completamente votato all'irrazionalità e incapace di guardare dalla parte giusta.
Poi certo, se ci si accontenta e si sta al gioco, a tratti si ride pure. Ma è una risata che si vorrebbe proclamare beffarda e sorniona, quando invece è incapace non dico di penetrare, ma nemmeno di scalfire il primo livello della superficie.