TRAMA
Texas: un professore di filosofia, attivista contro la pena di morte, è accusato di omicidio e condannato alla pena capitale. Chiede ad una giornalista di scoprire la verità.
RECENSIONI
Il Delitto Perfetto
Il crimine è evidente, la verità no: mentre scorriamo la vita di David Gale, avviciniamo la sua innocenza e scopriamo che il criminale è Alan Parker. L’autore introduce il flashback con l’unico montaggio virtuosistico che, insolitamente sobrio, si concede. Simula il film inchiesta in una vicenda inventata, emblematica come un paradosso. Attraversa il Texas costellato di chiese e prigioni, il braccio della morte, le dolorose sconfitte degli abolizionisti della pena capitale. Apre il dibattito fra colpevolisti e scettici, inscena la scaltra dialettica di uno scontro televisivo fra Gale e il governatore dello Stato, fa una cronaca piana, un altro Dead Man Walking. A seguire il caso umano: Gale vuole essere ricordato come persona, non come crimine. Le sue pillole di filosofia creano l’intrigante aspettativa di una chiosa che riporterà tutto a senso. La vita gli crolla addosso dopo una sensuale scopata al ritmo di balli eccitati: accusato di stupro, perde moglie, figlio, lavoro, causa. Marchiato per sempre, San Giuda confuso con Giuda Iscariota, trova l’alcolismo e il pregiudizio che conta più della verità. S’insinuano un’altra chiave di lettura (letteralmente: la vittima ingoia la propria libertà) e il caso di leucemia di una donna che combatte la cultura della morte. Ora bisogna portare tutto a capo. Fa la sua comparsa lo snuff movie, il giallo colora il film e scopriamo che il prologo è in realtà l’epilogo. I giornalisti ricostruiscono l’omicidio e siamo spettatori di un altro film, gratuito e sensazionalista, immemore delle tracce sparse e dell’impegno millantato fino a quel momento. L’inganno supremo, il delitto perfetto: l’assassino è il regista che ha diviso la pellicola in due parti antitetiche (alla stregua delle videocassette nella fiction) e manda al patibolo l’efficacia del messaggio contro la pena di morte. Per spiazzare più di quanto ha già fatto in Angel Heart (dove l’assassino era il protagonista stesso), maschera il linguaggio (non è un thriller) con un contraffatto film di denuncia. Non ha le attenuanti dell’efficacia del coup de théatre (è ovvio che Gale è d’accordo), commette un errore estetico (l’eccezionalità del racconto diventa del tutto inverosimile in un contesto così realistico) e, non da meno, etico. Peccato.