TRAMA
Una squadra F.B.I. dell’anti-crimine viene spedita in Arabia Saudita con lo scopo di investigare sulle cause di un attentato terroristico che ha ucciso numerosi civili americani. Trovare i responsabili della strage si rivelerà molto più difficile del previsto.
RECENSIONI
Peter Berg si è distinto soprattutto come attore interpretando, tra gli altri, Cop Land, Collateral e Smokin' Aces. Come regista ha diretto il caustico Cose molto cattive. Ora, sotto l'egida produttiva di Michael Mann, tenta di conciliare le esigenze del blockbuster con quelle dell'impegno. Nonostante la professionalità dell'impianto, però, non si può dire che sia nato un autore. Come sempre più spesso accade a Hollywood, infatti, il risultato si arena in un limbo che finisce per scontentare un po' tutti: sul fronte della riflessione gli spunti si limitano a qualche nota dei costumi mediorientali (il ruolo decorativo delle figure femminili, i non facili rapporti interni tra appartenenti alle forze dell'ordine, i cerimoniali alla corte del Principe arabo) e l'intrattenimento si perde in un'indagine che non riesce ad appassionare. Le cause sono da ricercarsi nell'eccessivo utilizzo della macchina da presa a spalla (il disorientamento avvicina solo formalmente alla verità) e in una ideologia solo apparentemente sfumata (la vera anima del film, come in molto cinema americano mainstream, è ancora una volta un sentimento di vendetta). Il realismo si ferma quindi alla tecnica e all'ottima scelta delle location, perché quando subentra l'azione sono le solite implausibilità ad avere la meglio, tra decapitazioni evitate per un soffio e improbabili biglie rivelatrici. Peccato, perché la partenza, pur nella convenzionalità della confezione, è promettente. In questo senso i titoli di testa sono folgoranti e riassumono, attraverso un rapido ed efficace montaggio, il rapporto conflittuale tra Arabia Saudita e mondo occidentale, cominciato nel 1932 con la scoperta dei primi giacimenti petroliferi e progressivamente degenerato fino alla tragedia dell'11 settembre 2001. Come informa una didascalia "l'Arabia Saudita è il primo produttore al mondo di petrolio e gli U.S.A. sono il primo consumatore". Le premesse per un ennesimo, ancorché superfluo, "mea culpa" degli Stati Uniti ci sono quindi tutte, invece la sceneggiatura di Matthew Michael Carnahan perde per strada quasi subito la denuncia e si invischia in un'indagine condotta dall'F.B.I su un attentato terroristico compiuto in una colonia americana a Riy?d (i fatti si ispirano a eventi realmente accaduti). Sul luogo della strage vengono inviati quattro agenti che avranno a disposizione solo cinque giorni per trovare i responsabili del massacro. E qui comincia il primo effetto boomerang dello script: i quattro sono di rara antipatia e grondano stereotipi da B-movie (c'è chi esagera con le parolacce, chi è un po' sui generis, chi si veste come un rapper pensando di non dare nell'occhio e non può mancare l'elemento femminile, ovviamente cazzuto). Il boomerang continua con l'esportazione del modello investigativo americano le cui efficacia e giustizia, in contrapposizione a rigidità, approssimazioni e ostilità locali, non vengono mai messe in discussione. Non manca poi l'arabo "open minded" che capisce dov'è la ragione, offre il suo aiuto rischiando in prima persona, passa le serate in modo virtuoso in compagnia dei figli e si rivela prode e valoroso sul campo. Un personaggio perfettamente speculare al protagonista e fin da subito candidato ideale a vittima sacrificale. Un ruolo di rilievo ce l'hanno anche i bambini, manipolati da genitori che hanno già deciso per loro l'odio e l'amore e che, chissà perché, dovrebbero consolarsi sapendo che il loro padre è morto da eroe combattendo i cattivi. La reciprocità delle dichiarazioni finali (il duplice "Li uccideremo tutti!", pronunciato sia a oriente che a occidente) salva in corner la morale del circolo vizioso della violenza, ma non è sostenuta da ciò che la precede. Tra un buon inizio e un finale ad effetto, infatti, in mezzo scorre Hollywood.