TRAMA
Il 29 giugno 1995 Seoul venne colpita da una tragedia di tremende proporzioni: i magazzini Sampung, un edificio di 5 piani, crollarono rovinosamente uccidendo 501 persone e ferendone quasi 1000. Quest’evento colpì molto l’immaginazione del giovane Park Chan-wook che, quattro anni più tardi, ne prende spunto per sfornare The Judgement, una sferzante critica alla pochezza del capitalismo contemporaneo. Il film si apre in una camera mortuaria dove una famiglia in lacrime riconosce in un corpo sfigurato la propria figlia, vittima del crollo del supermarket. Un giornalista sta riprendendo la scena e il coroner sta compiendo le procedure di rito, quando il suo aiutante crede di riconoscere anche lui nel cadavere sua figlia scomparsa sette anni prima. Ha così inizio un’assurda girandola di recriminazioni e tiremmolla per aggiudicarsi la paternità del cadavere.
RECENSIONI
Cortometraggio di 26 minuti selezionato al festival di Clermont-Ferrand, The Judgement segna il ritorno alla regia di Park Chan-wook dopo un paio d’anni di inattività (il lavoro precedente, Trio, è infatti del 1997) e un deciso affondo nelle ferite della società coreana. Il risarcimento di mezzo milione di dollari offerto ad ogni famiglia delle vittime decedute nel crollo del Plus Department Store è il punto di partenza per un’impietosa analisi dell’avidità umana e sociale. Quell’avidità che spinge una coppia di mezza età a riconoscere cinicamente la propria figlia nel cadavere sfigurato di una giovane donna. Ovviamente c’è puzza di bruciato e la presenza di un giornalista spregiudicato e altrettanto cinico non fa che complicare le cose. A renderle letteralmente irrisolvibili – salvo un provvidenziale evento sismico – ci si mette anche l’inserviente dell’obitorio che rivendica la paternità del cadavere, dando il via ad una sconcertante gazzarra nel chiuso di una camera mortuaria. Un grottesco jeu de massacre, insomma, nel quale Park Chan-wook si destreggia piuttosto bene, anche se complessivamente il corto non esce dalle strettoie del sarcasmo moraleggiante, finendo per premiare con artificiosa casualità il dropout di turno. Si segnalano la solita abilità drammaturgica, che in questa occasione si esprime nei fantasiosi colpi di scena e nella divertita assurdità delle situazioni, l’uso efficace, anche se vagamente meccanico, dell’alternanza bianco e nero/colore e uno sfruttamento dello spazio scenico di chiara matrice hitchcockiana (impossibile non pensare all’impostazione spaziale di Nodo alla gola, dove tutta l’azione ruota attorno alla cassapanca nella quale è nascosto il cadavere). Non imprescindibile, comunque.