TRAMA
XXI secolo: la terra post-qualcosa è contaminata. I sopravissuti sono confinati in un enorme centro/bunker sotterraneo all’interno del quale sono soggetti a continuo controllo e monitoraggio. La loro unica speranza di libertà è quella di finire su una fantomatica isola sfuggita chissà come chissà perché al disastro globale. C’è odore di bufala…
RECENSIONI
Alla sesta fatica cinematografica, Michael Bay tenta di giocare di fino e cala pure la carta dell’introspezione: nei primi quaranta minuti o giù di lì, infatti, The Island è quanto di più statico e “intimo” il regista californiano abbia mai girato. Siamo dalle parti di quella fantascienza adulta tutta dècor e contenuti che ha molti illustri precedenti ai quali, peraltro, il film sembra apertamente rifarsi. Il primo titolo che viene alla mente è senz’altro THX 1138 di George Lucas, citato anche nelle scelte (a)cromatiche e nei costumi, che durante il film alternerà però il proprio posto referenziale a una cospicua manciata di altri titoli (Coma, Gattaca, Cypher, Blade Runner, Matrix, Metropolis e chi più ne ha più ne metta)… sì, perché “durante il film” ne succedono di cose. Il registro serio/intimista sarà infatti bruscamente modulato in quello ironico per poi sputtanarsi (in senso buono) nel caratteristico rollercoaster anabolizzato, vero marchio di fabbrica del Nostro Mr.BOOMbastic, per ricomporsi in fretta e furia verso il finale, “serio” e “umano” benché movimentato da velocissime panoramiche aeree che vivacizzano un po’ il tutto, tanto per gradire. Bay comunque, che non sempre fa funzionare a dovere i suoi rumorosi giocattoli arraffasoldi, tutto sommato non gestisce male la cosa: l’inizio ha un suo fascino, preconfezionato e risaputo, ma ce l’ha; la parte “ironica” (i novelli e ingenui Adamo ed Eva alle prese col “mondo reale”) strappa qualche tenero sorriso; la parte strettamente action, parossistica come di consueto, è la vera cifra autoriale (leggi: riconoscibile) del regista e dunque ci sta; il finale “La Rivincita dei Cloni” è quello che ti aspetti da un prodotto del genere; la morale eugenetica-bioetica è elementare ma insomma pazienza. Fin qui ci siamo. Meno bene accette sono le incoerenze interne del film (com’è che nell’ipercontrollatissimo centro clonatorio Lincoln6Echo scorrazza liberamente in aree off limits?) e le inutili sottotrame (il piccolo romanzo di formazione legato al personaggio di Albert “sono-nero-duro-cattivo-però-diomifulmini-se-non-ho-il-fottuto-senso-della-giustizia” Laurent)… Ma dove davvero toppa, The Island, è in quei passaggi narrativi che dimostrano poco rispetto per le capacità attentive, interpretative ma anche intellettive dello spettatore, quelle pause tramiche in cui il film si avventura in pleonastiche e ridondanti puntualizzazioni dell’ovvio (non sto a citare i singoli episodi perché essendo questi davvero molti e autoevidenti non vorrei incorrere, coi miei pochi lettori, nello stesso errore sottovalutativo che sto tentando di stigmatizzare) . Il troppo stroppia e alla lunga suona pure un tantino offensivo. Bene McGregor, benino la Johansson che dà il meglio di sé nei primissimi piani in odor di fotoritocco. Decisamente troppi, infine, gli sponsor il cui (sovran)numero rischia seriamente di manomettere la già precaria suspension of disbelief.
Torna mister “panoramica mozzafiato”, alias Michael Bay, con un nuovo e spettacolare kolossal. Torna forte del suo eccezionale, iperbolico talento visivo (Bay è stato uno dei più premiati autori di spot) sostenuto anche questa volta dall’ennesimo budget faraonico: ben 122 milioni di dollari. “The island” è un film che unisce le spiccate doti del regista californiano per le scene d’azione con un’ambientazione fantascientifica: un crossover che pende decisamente sul versante dell’action, soprattutto nella seconda parte in cui la componente avveniristica è limitata ad alcuni gadget iper-tencologici.
Dal punto di vista tecnico “The island” conferma le qualità formali raggiunte dalle precedenti pellicole del regista (anche se non raggiunge il livello dei 40 minuti dell’attacco di Pearl Harbor). La fotografia è una delle qualità che hanno reso famoso il cinema di Bay: patinata come in uno spot e perfetta in ogni condizione di ripresa. La messa in scena è come al consueto prodiga di dettagli e scenari accattivanti, mentre il montaggio delle scene d’azione è il più serrato e coinvolgente che si possa chiedere.
A parte il solido background tecnico-espressivo a cui ci ha abituato Bay, ci sono almeno due novità rispetto alle precedenti prove: l’assenza dai crediti di Jerry Bruckheimer, e il tentativo di dare più spessore alla storia. L’assenza del produttore Bruckheimer che finora aveva affiancato Bay in tutte le sue imprese si traduce in un minore dispiego di mezzi. Intendiamoci, “The island” rimane una produzione coi fiocchi, ma segna un decisivo passo indietro rispetto a Pearl Harbor (che nonostante gli incassi da capogiro ha faticato a rientrare dei costi). Questa considerazione sommata alla mancanza di uno sceneggiatore del calibro di Randall Wallace in grado di assicurare alla pomposità delle immagini il sostegno di un respiro autenticamente epico (Pearl Harbour), hanno probabilmente contribuito ad accentuare i tentativi di Alex Turner, Roberto Orci e Caspian Tredwell-Owen in direzione dell’approfondimento psicologico e drammatico del racconto. Da questo punto di vista tuttavia il film di Bay non convince fino in fondo. Da una parte, emerge il tentativo di dotare la storia di uno spessore drammatico: l’alienazione del contesto iniziale rimanda direttamente a pellicole come “L’uomo che fuggi dal futuro” e “The Truman show”, dall’altra, il tono del racconto rimane in bilico tra l’ironico e il drammatico contribuendo non poco a compromettere l’atmosfera.
Bay dimostra di essere molto più a suo agio quando il racconto volge in direzione dell’action movie. Tutta la seconda parte della pellicola è ricca di inseguimenti catastrofici, riprese aeree e ritmo da cardiopalmo. In questo contesto narrativo quello che conta è inchiodare lo spettatore alla poltrona, e il regista losangelino è un mago nello sfruttare lo spazio per imprimere alle immagini incessanti accelerazioni. È qui che può dare libero sfogo alla sua capacità di sfruttare la panoramica per caricare il racconto di pathos e trasformare l’esperienza visiva in un folle viaggio sulle montagne russe delle emozioni. Negli ultimi venti minuti il ritmo torna a calare, l’attenzione si focalizza sul racconto e anche le invenzioni visive lasciano il posto allo scioglimento della vicenda (prima di una splendida scena finale).
In questo genere di pellicole sono assicurati gli effetti speciali, e anche “The island” non è da meno. La computer grafica rende più spettacolari scenari e inseguimenti. Messi da parte ovviamente tutti gli effetti speciali gore, rimangono tuttavia un paio di scene che faranno sobbalzare sulla sedia (quella iniziale dell’incubo acquatico in particolare). Il talento di Bay nel coinvolgere gli spettatori non si discute, le emozioni sono assicurate, il ritmo rimane buono per almeno due terzi del film, e anche se la storia non è delle più incisive, è un film che si lascia guardare.