Thriller

THE INTERPRETER

Titolo OriginaleThe Interpreter
NazioneU.S.A./Gran Bretagna/Francia
Anno Produzione2005
Genere
Durata128'
Fotografia
Scenografia

TRAMA

Silvia Broome, interprete dell’Onu originaria di uno stato africano, ascolta per caso una conversazione in dialetto ku relativa all’omicidio del capo di Stato del Matobo, sua nazione natale. Entra lei stessa nel mirino dei killer. A Tobin Keller, agente federale, viene affidato il compito di scoprire chi è veramente l’interprete e difenderla.

RECENSIONI

La solida regia di Sydney Pollack sostiene un thriller che, pur nei limiti di una narrazione non sempre equilibrata, prova a coniugare le ragioni del pubblico (azione e svago) con quelle dell'impegno (un messaggio all'insegna della fratellanza e dell'arricchimento tra culture diverse). Non è un caso che per la prima volta l'O.N.U. abbia concesso la propria sede a una fiction, vista la promozione all'efficienza e all'importanza internazionale delle Nazioni Unite portata avanti dal regista americano con discrezione e piglio quasi documentaristico. La spettacolarità dell'impianto trova nello scavo psicologico dei personaggi un riuscito contrappunto. Certo, l'agente federale fresco di trauma non è il massimo dell'originalità, ma perlomeno consente a Sean Penn di evitare gli eccessi da rockstar che lo hanno reso celebre e di giocare di sottrazione. Cosa che riesce benissimo anche a Nicole Kidman, ancora una volta perfetta nella misura con cui rafforza la sofferenza del suo personaggio. Il confronto tra i due, il dolore comune che li rende simili nella diversità, la tenerezza di un rapporto che non scade mai in un facile sentimentalismo, ammantano di verità il racconto, almeno fino a quando le ragioni dell'intreccio vagano nell'incertezza. La necessaria resa dei conti, infatti, pur supportata con vigore da Pollack, lascia più di un conto in sospeso con la logica. Cosa che peraltro avviene anche in altre sequenze (l'attentato sul bus a Brooklyn, i ripetuti agguati casalinghi, la stessa "soffiata" iniziale su cui si basa il film), efficaci nella resa visiva, meno verosimili tenendo conto delle motivazioni dei personaggi e delle informazioni in loro possesso. La sensazione, che non nuoce all'intrattenimento ma ne limita la portata, è di una sceneggiatura che insegue l'accumulo, gioca con il mistero, ma finisce per lasciare più confusi che appagati. Merito comunque a Pollack di avere evitato l'abusata commistione di effetti speciali digitali, inseguimenti rocamboleschi e azione a più non posso, e di essere rimasto fedele a un modo personale, in fondo tradizionale, di fare cinema, in cui la tensione deriva dalla padronanza del mezzo cinematografico e dalla non scontata capacità di valorizzare l'alchimia di personaggi e interpreti. Il messaggio pacifista non guasta, ma non aggiunge molto al buon senso e a quanto già detto in merito.