Recensione, Thriller

THE INTERNATIONAL

Titolo OriginaleThe International
NazioneU.S.A./Germania
Anno Produzione2009
Genere
Durata118'
Sceneggiatura
Fotografia
Scenografia

TRAMA

Louis Salinger, agente dell’Interpol, cerca di svelare i loschi traffici di una potente banca (la IBBC, International Bank of Business and Credit) coinvolta nel traffico d’armi internazionale. Nell’impresa, che lo porta da una parte all’altra del mondo, viene affiancato dal viceprocuratore distrettuale Eleanor Whitman.

RECENSIONI

Il cinema di Tom Tykwer, se mai ha corso (come nella sua opera più celebre, Lola Corre, sopravvalutata ma non priva di elementi di interesse), si è bloccato in un moto apparente. The International arriva buon ultimo a render conto di un potenziale dinamico atrofizzato. Thriller geopolitico, spy story che si spalma come di consueto su mezzo mondo, segue la lezione recente del discusso Syriana e della saga di Jason Bourne, echeggiando in modo più o meno voluto, sicuramente ovvio, il cinema “paranoico” seventies à la Pakula. La geografia esplode e si livella. Milano come Berlino come Lione come New York, medesime architetture di vetro e cemento (una trasparenza illusoria), per terminare ai confini del mondo occidentale dove la metafora si fa più scoperta, nel caos del Grand Bazaar di Istanbul e nella segretezza sotterranea di una cisterna bizantina (che in realtà non si trova sotto la moschea di Suleymaniye, come appare nel film). Quinte intercambiabili e ormai iconograficamente un po’ usurate per le performances di un male planetario soffocante e inarrestabile (le banche, nuovi villains mondiali). Tykwer riprende tutto con mestiere impersonale (eliminando il suo solito tecnicismo esibizionista a favore di una regia più asciutta), senza grossi abbagli ma anche senza un pregio che sia uno: The International è un ricalco senza brillantezza dei tópoi del genere, conspiracy theory per principianti. La denuncia è generalizzata e all’insegna di un pessimismo di routine (solo al di là della burocrazia e della legalità è possibile sferrare qualche colpo al cattivo stato delle cose, senza scalfirlo nella sostanza come illustrano i titoli di coda), gli interpreti si adeguano alla medietà dell’operazione limitando al minimo la gamma espressiva delle loro interpretazioni e fidando nella fisiognomica, quella che dovrebbe essere la sequenza clou, la sparatoria nel Guggenheim Museum di New York, è una eloquente occasione perduta (fiacca gestione, anche a livello simbolico, degli spazi e dei tempi). Godibile a un livello superficiale, The International è deludente non tanto rispetto a quel che ci si poteva aspettare dal regista (poco) quanto in relazione alle promesse della sequenza iniziale. Incipit in medias res, si è subito incastrati nell’abitacolo di un'auto in cui non è chiaro chi stia aiutando chi né chi stia ingannando chi, lo sguardo interrogativo di Owen cerca di decifrare quel che sta accadendo da una posizione arretrata da spettatore confuso, una morte improvvisa viene suggellata da un improvviso fiotto di vomito. Lo sdegno che uccide, l’occhio che non riesce a decifrare la minaccia dei segnali: una scintilla visiva solitaria che non accende alcunché di particolarmente rilevante.