Commedia, Fantasy, Netflix, Recensione, Serie

THE GOOD PLACE

NazioneU.S.A.
Anno Produzione2016
Durata4 stagioni, 53 puntate

TRAMA

Eleanor si sveglia nel “Good Place”, parte sperimentale del Paradiso disegnata da Michael. Capisce di essere finita lì per sbaglio e cerca di nasconderlo imparando ad essere buona.

RECENSIONI

Risultato immagini per THE GOOD PLACE (serial)L’idea da Black Mirror di Michael Schur, nella prima stagione, è spassosa per l’espediente della cattiva ragazza nel posto sbagliato, ovvero un  luogo idilliaco dove, per il bene profuso, si è premiati anche con l’anima gemella. Un sano gusto sadico pervade il deturpamento del paradiso (l’attacco degli insetti giganti, la pioggia di spazzatura) e della sua affettata perfezione da parte di una simpatica canaglia, egoista e bastarda nei flashback ‘in vita’ (Kristen Bell, indimenticata protagonista di Veronica Mars). Le sue interazioni con Chidi, la supposta persona “del cuore” interpretata da William Jackson Harper, sono il focus della stagione: professore di etica mite e paziente, Chidi carretta dilemmi di filosofia morale nella leggerezza generale. Copiose le idee buffe, dalle parolacce automaticamente storpiate/censurate ai primi indizi di refuso negli abitanti psicopatici (Ted Danson che calcia un cucciolo disintegrandolo nel Sole). Se delude l’evoluzione buonista della ‘bad girl’, la scrittura di Schur & company controbilancia con rivelazioni ed evoluzioni sempre più strambe (il giudice che si chiude in un bozzolo se percepisce emozioni), e con personaggi riusciti, soprattutto l’adorabile rimbambito di Manny Jacinto, l’assistente Janet (sorta di androide tuttofare) interpretata da D'Arcy Carden, e i diavoletti della “controparte” infernale (ma il colpo di scena finale rimette tutto in discussione).

Le altre stagioni

La seconda stagione s’apre con un doppio episodio congiunto (Everything Is Great!) che vive della consapevolezza che, non casualmente, questo girone infernale somiglia terribilmente alla vita reale. Schur sviluppa in modo intrigante e divertente la traccia orizzontale, con idee sempre più folli con cui contornare questa amabile compagnia assurda, per un Il Mago di Oz che diventa La Vita è Meravigliosa. L’episodio The Burrito è il migliore dell’intera serie. La terza stagione vive maggiormente di rendita, ovvero della rodata simpatia dei caratteri, con il personaggio di Janet che fa la differenza: in debito d’ossigeno per idee, si tenta anche un reboot nell’ottava puntata (The Worst Possible Use of Free Will), tornando al punto di partenza. Con il tormentone del ‘guadagnarsi il Paradiso’, poi, il moralismo straborda insieme ai patetismi. La quarta e ultima stagione, immaginando un’evoluzione per tutti i protagonisti, vecchi e nuovi (Ted Danson è il migliore in campo), ricomincia da capo ma nel segno del percorso edificante che ha sempre spento le micce della felice irriverenza della serie. Esalta il colpo di scena della ribellione delle ‘janet’ (The Funeral to End All Funerals), stancano i confessionali e l’idea del Paradiso quale villaggio vacanze.

Quinta stagione?    Ad un certo punto, si ha l’impressione che gli autori abbiano dovuto affrettare i tempi: a fronte di parentesi inutili e di uno svergognato fill-in (The Answer, con infanzia di Chidi e riassunto), nelle ultime puntate viene compresso un intero universo (il Paradiso), buono per un’annata. Nel luogo dove tutto è possibile (ci sono anche le caramelle per capire Twin Peaks), perfino annoiarsi a morte, merita il posto d’onore la scena con ‘Erase the Earth’, storpiatura di ‘Ring My Bell’ di Anita Ward, cantata dalla spassosa giudice amante dei serial terrestri e di Timothy Olyphant (cameo in You've Changed, Man).

Whenever You're Ready      Se ci sono stati inciampi, spossatezza, ripetitività e melassa, l’ultima puntata, accorpamento di due episodi, porta nel regno dei cieli. Come stesse scrivendo anche un trattato teologico, Schur fa in modo che i personaggi gestiscano i sospesi e, immaginando la noia della pace dei sensi, invoca con coraggio il nulla esistenziale. Suggerisce, cioè, che l’assenza di conflitti con l’esistenza sia possibile solo tramite una sorta di annichilazione agnostica. Una chiusura che prende in contropiede e commuove nel processo di identificazione con esseri che, come noi, potevano immaginare l’aldilà ma non si sono mai interrogati sul dopo.

Registi e sceneggiatori    Drew Goddard (creatore di Daredevil, regista di Quella Casa nel Bosco e 7 Sconosciuti a El Royale), anche produttore esecutivo, ha dato l’imprinting dirigendo il pilota. Dean Holland, veterano del serial Parks and Recreation (sempre di Michael Schur), è il regista con all’attivo più episodi (8). Michael Schur, otre ad aver diretto 4 puntate, ne ha firmate 5 come sceneggiatore. Jen Statsky (Parks and Recreation, fra le altre cose) è l’altra penna più utilizzata.