Catastrofico

THE DAY AFTER TOMORROW

Titolo OriginaleThe Day After Tomorrow
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2004
Durata89'
Fotografia
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Una spaventoso cataclisma atmosferico sta per cambiare il volto della terra per sempre. Gli Stati Uniti sono destinati a subire una seconda glaciazione…

RECENSIONI

C'e' un filo rosso che lega tutti i film di Roland Emmerich, il regista tedesco ormai da tempo adottato dagli studios d'oltreoceano: l'alto tasso di spettacolarita' abbinato ad una narrazione elementare. E questo nuovo giocattolone, che riprende gli antichi fasti, mai sopiti, del filone catastrofico, non fa eccezione. Da una parte, quindi, una grande cura per l'impianto scenico, con sequenze dall'impatto visivo molto forte, dall'altra personaggi scialbi e tutt'altro che memorabili impegnati in situazioni dall'esito prevedibile. Tutte le regole del genere vengono pienamente rispettate: il professore tapino e inascoltato unico conoscitore della terribile verita', la preparazione della tragedia con una panoramica dei cinque continenti ma il solito americacentrismo di fondo (l'epicentro del disastro climatico poteva non essere New York?), un po' di carne da macello per rimpolpare il racconto, la storiellina d'amore, qualche buon sentimento in saldo (il bambino malato terminale, il sacrificio dell'amico, il barbone pezzo di pane), e l'immancabile eroe che del pericolo se ne frega e riesce (non si capisce bene come) a farcela nonostante tutto. Le uniche varianti sono nell'ironia, mai sottile pero', e nello sguardo "democratico" piuttosto che "repubblicano", ma il messaggio a tutela dell'ambiente sulle conseguenze devastanti dell'effetto serra e' facile facile e la lezioncina "no-global" incisiva come un "volemose bbene", problematica solo in apparenza. L'ovvieta' dei caratteri e la banalita' degli sviluppi, pero', non disturbano troppo. Certo, impediscono di affezionarsi ai personaggi e di trepidare con loro e per loro, ma e' chiaro fin dall'inizio che cio' che importa al regista e' costruire i presupposti di una grande avventura per poi esibire, grazie ai prodigi della tecnica, cose mai viste. L'inondazione di New Yok, gli uragani sopra Los Angeles, l'arrivo di un cargo russo nel centro di Manhattan, la distruzione della scritta Hollywood, la Statua della Liberta' sprofondata nei ghiacci, sono tra i momenti piu' divertenti del film e soddisfano la parte bambina di ogni spettatore, quella che guarda le immagini con la pancia. Cosi' come titilla lo spirito critico l'inversione del senso di marcia al confine con il Messico, con gli americani in cerca di ospitalita' nelle terre da sempre bistrattate e diventate, di colpo, l'unica ancora di salvezza contro il gelo invivibile. Meno riuscito, invece, il lato umano del racconto, con intrecci affettivi di scarso interesse, personaggi incolori, gravati da dinamiche emotive stereotipate, e dialoghi da sit-com; il tutto mai troppo serioso, anzi, venato da un ottimismo forzato che smorza non poco la tensione dei momenti piu' drammatici. Chissa' perche', poi, il cataclisma e' sempre un ottimo cupido, riunisce i divorziati e fa innamorare i protagonisti che, tra l'altro, hanno anche modo di riavvicinarsi ai propri familiari. Bisogna che qualcuno glielo dica a Emmerich che e' la quotidianita' il vero banco di prova. E chissa' ancora perche' le regole del disastro non valgono per tutti allo stesso modo: se stare all'aria aperta significa congelare nel giro di pochi secondi, come mai il protagonista se ne va a spasso per trecento e passa miglia alla ricerca del figlio e non gli succede niente di niente? Ma sono dettagli, e nella grana grossa del film non c'e' posto per le sofisticherie. Non resta quindi che godere di quel che si puo'. Non ci si annoia come in "Godzilla", ma qualcosa di piu' era comunque lecito aspettarselo.