Recensione, Thriller

THE CELL

Titolo OriginaleThe Cell
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2000
Genere
Durata97'
Sceneggiatura
Fotografia
Scenografia

TRAMA

In seguito alla cattura di un terribile serial killer (Vincent D’Onofrio), la psicologa Catherine Deane (Jennifer Lopez), dovrà entrare nella sua mente per scoprire dove ha nascosto la sua ultima vittima.

RECENSIONI

Chi non ha mai sognato di entrare nella mente di qualcuno, o magari nella propria, per chiarire sogni e fantasie e razionalizzare ciò che è nascosto, intricato e apparentemente senza significato?Ci riesce il regista indiano Tarsem, famoso per spot e video-clip, che ha scelto una storia adatta al suo talento visivo. L'idea di poter entrare nell'inconscio di una persona, in questo caso un serial killer, gli permette una libertà totale di espressione, in quanto i confini della propria creatività sono solamente soggettivi (o di budget!). La fantasia e l'estro del regista, riescono a creare, ben coadiuvati da scenografi e costumisti, un mondo interiore onirico, teatrale e pieno di fascino, con rimandi artistici e culturali che faranno impazzire lo spettatore in cerca di citazioni. Anche la psicologia del serial killer, nonostante alcuni luoghi comuni del genere (violenze infantili, situazione familiare disastrata), risulta più curata e sfaccettata del solito. La sceneggiatura ha un percorso standard, con il solito, efficace, countdown per salvare la vittima predestinata, e due personaggi, la psicologa e il serial killer, che crescono psicologicamente insieme all'evolversi degli eventi. Ma la linearità del percorso narrativo e la grande fascinazione visiva, non inficiano la tensione e il ritmo, che restano comunque sostenuti. Un po' sbrigativo il finale, che non sviscera a fondo il punto di arrivo della protagonista (una brava Jennifer Lopez). Sarebbe stato interessante!

-Andate e moltiplicatevi- disse Demme ai thriller a venire. E così fu. Siamo andati avanti tra collezionisti e peccati capitali, bassi e alti d'una progenie matri(x)lineare (e tra un po' verremo a quella "x") che della mater ha ora gli occhi, ora la bocca, ora solo il sorriso (ghigno?) ma che comunque non tradisce mai la sua discendenza. Giù Giù fino a "the cell". L'ultimo ma non ultimo dei serial-(killer)-movies ispirati a "the silence of lambs" (o a "manhunter", dirà qualcuno…), ci propina il solito serial killer, le sue (in)solite necroperversioni, il solito poliziotto sine macula, la solita psico-qualcosa eroina per caso. E fin qui ci siamo. Se non fosse che il tutto è visivamente meglio cucinato del solito da un regista indiano che sa il fatto suo, o che ci convince di saperlo, ma scritto peggio del solito da sceneggiatori che si sono stancamente e banalmente adagiati su una-idea-una "originale" (come no…); l'idea in questione, più che un'idea, è un prendere atto: -nel frattempo c'è stato "matrix"- devono essersi detti, quel sopravvalutato "matrix" che volenti o nolenti ha settato i nuovi standard dell'estetica/poetica cinematografica "giovane", coi suoi mondi paralleli immaginari ma non troppo, i suoi ometti volanti, il suo impatto visivo ora rallentato ora accelerato "ad hoc". Perché dunque non contaminare il classico thriller anni '90 coi fratelli Wachowski? E già che ci siamo perché non condire il tutto con un'eco di "hellraiser" e dei suoi supplizianti? -davvero impossibile, in molti momenti, non pensare a Clive Barker-. Il risultato è questo ibridato fanta-thriller che non manca di momenti suggestivi (per gli occhi e solo per quelli), ridicoli (per le orecchie -i dialoghi-), "forti" (per gli stomaci appena più deboli della norma). Un'ultima nota sugli attori: Jennifer Lopez si bea del proprio anonimato recitativo (da sommare a quello estetico e a quello canterino) mentre Vincent D'Onofrio ha sporadici momenti di lucidità nei quali si ricorda del soldatopalladilardo che fu. Certo, tutto sommato il film si lascia guardare…ma "chi s'accontenta gode così così", cantava il pessimo Ligabue.

L'esordio del pluripremiato pubblicitario e videoclipettaro indiano Tarsem ("Losing my religion" dei R.E.M., gli spot "calcistici" della Nike) cavalca la moda dei serial killer-movies, con uno script (di Mark Protosevich) che aggiunge poco e niente al genere. Il regista ha avuto però carta bianca per creare il mondo "virtuale" in cui i protagonisti vengono proiettati, e qui albergano le vere sorprese: Tarsem non possiede una formazione esclusivamente occidentale, l'immaginario visionario che saccheggia e cita, passa dall'estetica hindi alle composizioni pittoriche stordenti de Il Colore del Melograno di Paradzanov, da Powell e Pressburger al surrealismo di Man Ray, da Francis Bacon a tutta una serie d'icone (sacre e non) che provengono dal lontano ed antico oriente (ma cita anche il cult d'animazione Il Pianeta Selvaggio). Ha il vezzo del pubblicitario, per cui ogni immagine o è scioccante o è sbalorditiva, deve essere "piena", barocca, al ralenti o appoggiata ad una matrice fantastica. Non è, dunque, la crudezza di certe sequenze a lasciare il segno (negli Stati Uniti ha avuto problemi con la censura: la masturbazione necrofila e il girarrosto con l'intestino sono un tantino "forti"), né tantomeno la drammaturgia (che tende alla favola nera) o l'idea di giocare fra realtà e sogno/incubo (presa in prestito da Nightmare), il talento dell'autore alberga tutto nel piglio visionario che immagina scenografie, costumi (un plauso alla loro realizzatrice, Eikio Ishioka) e mondi paralleli tanto ridondanti quanto suggestivi: l'incedere della Lopez fra le dune, in campo lungo e in abito da sposa, la galleria di freaks sadomaso, la sala del trono...

Venghino, signore e signori, al baraccone del parossismo della passione vouyeristica! Era solo questione di tempo, i mezzi (tecnologici) erano pronti, ed eccoci a voi con lo show degli show, la nuova frontiera delle immagini in movimento! E badi bene, signora mia, non parlo di vedere i sogni (roba vecchia), di leggere il pensiero, di guardare il mondo da dentro la zucca di un attore famoso, o di far vivere qualcuno in un mondo finto: trucchi da avanspettacolo. No, intendo proprio entrare nella mente e cazzeggiare con l'ego, il superego e l'inconscio del derelitto di turno. Giocare, interagire, farci dei discorsi. E per questo esperimento non abbiamo scelto uno qualunque, eh no! Un serial killer, signori e signore, e di quelli tosti. Tanto lo sappiamo che i film sui serial killer efferatissimi per questo vi piacciono, morbosetti che non siete altro: perche' vorreste capire, vorreste spiare da dove arrivano quella rabbia, quel coraggio, quella follia, e sapere cosa provano quando fanno quelle cosacce con le ragazze...La sceneggiatura? Beh, adesso non ci chieda troppo. Con quello che abbiamo dovuto sganciare per la sederona (soldi spesi bene, cmq, e' in forma assai) e per gli effetti speciali, sulla sceneggiatura abbiamo dovuto risparmiare (un quote su tutti, da fucilazione: "tutti noi abbiamo un lato oscuro"). E alla fine, una spiegazione per quelli che non capiscono le figure abbiamo dovuto mettercela: 'sto mostro e' stato piccino anche lui, e ha tanto sofferto, e' davvero un peccato cancellargli il cervello. Come dice, lei con gli occhiali, le piacicchia lo stesso, lo show? Si immagini cosa poteva essere in un tendone un po' meno sfigato! Mi raccomando, consigli ai suoi amici di vederlo in un impianto il piu' tecnologico possibile. Cosa? Quello che c'e' nella testa di un serial killer le sembra tanto quello che c'e nella capoccia di un regista di videoclip? Sara' colpa sua che ha visto troppa MTV. E comunque due ore le ha passate, no?

Quando la mente diventa un teatro

Chi non ha mai sognato di entrare nella mente di qualcuno, o magari nella propria, per chiarire sogni e fantasie e razionalizzare ciò che è nascosto, intricato e apparentemente senza significato?
Ci riesce il regista indiano Tarsem, famoso per spot e video-clip, che ha scelto una storia adatta al suo talento visivo. L'idea di poter entrare nell'inconscio di una persona, in questo caso un serial killer, gli permette una libertà totale di espressione, in quanto i confini della propria creatività sono solamente soggettivi (o di budget!). La fantasia e l'estro del regista, riescono a creare, ben coadiuvati da scenografi e costumisti, un mondo interiore onirico, teatrale e pieno di fascino, con rimandi artistici e culturali che faranno impazzire lo spettatore in cerca di citazioni. Anche la psicologia del serial killer, nonostante alcuni luoghi comuni del genere (violenze infantili, situazione familiare disastrata), risulta più curata e sfaccettata del solito. La sceneggiatura ha un percorso standard, con il solito, efficace, countdown per salvare la vittima predestinata, e due personaggi, la psicologa e il serial killer, che crescono psicologicamente insieme all'evolversi degli eventi. Ma la linearità del percorso narrativo e la grande fascinazione visiva, non inficiano la tensione e il ritmo, che restano comunque sostenuti. Un po' sbrigativo il finale, che non sviscera a fondo il punto di arrivo della protagonista (una brava Jennifer Lopez). Sarebbe stato interessante!