TRAMA
L’infanzia di Evan Treborn è stata una successione di eventi traumatici che egli ha rimosso, a causa dei suoi vuoti di memoria; adesso ritrova i suoi diari e scopre la possibilità, attraverso di essi, di cambiare il passato per migliorare sé stesso ed i suoi amici. Ma ogni intervento porta conseguenze nefaste, nuovo sangue, nuove tragedie.
RECENSIONI
Una farfalla attraverso le rughe del tempo spiega le ali su presente e passato, accovacciandosi su una sceneggiatura che è un puzzle da 1000 pezzi (e oltre?); Eric Bress e Mackye Gruber, già doppio calamaio di FINAL DESTINATION 2, si liberano del cappio dell’idea altrui scodellando sullo schermo una storia scritta nell’arco di sei anni. Svolazzando tra IL SESTO SENSO e (soprattutto) MEMENTO, senza disdegnare la citazione pacchiana (i piccoli protagonisti che vanno a vedere SEVEN), l’ennesimo thriller sulla memoria è una divertita sinossi che si ramifica ed esplode, torna al punto di partenza, riparte, fallisce, riparte di nuovo. Su un tema già cucinato (l’uomo che cambia il proprio passato), l’effetto farfalla dà le carte ai protagonisti senza mai ammiccare, non conosce vergogna per la propria (in)verosimiglianza ma chiede soltanto di stare al gioco, paradossalmente ostentando i propri paradossi (spazio-temporali). THE BUTTERFLY condivide con lo stile di FINAL DESTINATION il fondale di luterana predestinazione e con la dottrina Shyamalan il gusto perverso per il rovesciamento, dove i SIGNS di celluloide sono dettagli grondanti significato. Un film che inchioda lo spettatore alla gogna per due ore di lancinante logorio, sviluppando il teorema del salto sulla sedia (lo si ammetta, per una buona volta); se l’incastro del tempo sminuzza la mente (il topos della lastra al cervello), questo non rinuncia a torturare il corpo fino allo smembramento (letterale). Tra le righe la farfalla indossa anche le ali dell’ironia nella costruzione dei comprimari (il compagno di stanza di Evan) e delle scene (il risveglio di questi, che si riscopre moncherino). Dire oltre sarebbe incrinare il divertissment, non lo farò; un film di genere, certo, ma composto da quattro mani gustosamente sadiche, abbastanza intelligenti da azzeccare un amarognolo finale in sottrazione. L’accattivante volo di farfalla è sciaguratamente handicappato dalla scelta degli interpreti: Ashton Kutcher è un bamboccio dalla discutibile filmografia che pare imbarazzato di stomaco tanto spalanca le fauci (per la cronaca: sarebbe un’espressione “disperata”), la fighetta Amy Smart ha scritto in fronte voglio diventare una diva, e via di questo passo zoppicante. E’ un brutto colpo quando sui titoli di coda partono gli Oasis. Leggere alla voce: come catturare un pubblico giovane. Sinonimo: in qualche modo bisogna pur campare.

Chi non ha mai sognato di tornare indietro nel tempo per correggere le scelte sbagliate e gli episodi negativi? Letteratura e cinema si sono sbizzarriti in tal senso e il film di Eric Bress & J. Mackye Gruber (già sceneggiatori di "Final Destination 2") sconta subito il confronto con alcuni pilastri dei viaggi temporali, dalle opere di Ray Bradbury, alla saga "Ritorno al futuro" di Robert Zemeckis. Ovviamente percorrere la propria esistenza a ritroso comporta grossi rischi, perché, in base al cosiddetto "effetto farfalla" del titolo, qualsiasi modifica del passato si ripercuote fatalmente sul futuro. Lo capirà a sue spese il protagonista Evan. Il film parte bene, descrivendo la giovinezza del ragazzo con i colori acidi dell'incubo; inciampa nei luoghi comuni (l'amico di famiglia pedofilo) ma comunica con forza e inaspettata cattiveria il disagio di quell'età terribile e irta di insidie che è l'adolescenza. La provincia americana si tinge di nero e le pulsioni allo scoperto si uniscono alla difficoltà di crescere in un mondo in cui le coordinate sembrano spostarsi in continuazione. La spensieratezza può durare un attimo e basta uno sguardo per cedere all'angoscia. Ma non è il racconto di formazione l'obiettivo dei due registi e dopo una prima parte non particolarmente originale, ma tesa e compatta, la storia comincia a incartarsi, per poi involversi in un continuo e frastornante andirivieni tra passato, presente e futuro (terribile il concentrato di stereotipi del genere "carcerario" nella lunga e inutile sequenza in prigione). Si fa così strada la vera anima del film: assecondare le esigenze del teen-ager d'oltreoceano. Il ritmo diviene frenetico, i pochi appigli psicologici nella descrizione dei personaggi perdono progressivamente spessore, i colpi di scena si rincorrono e l'effetto prende il posto della causa. In diretta proporzione la curiosità scema in noia. Un approccio razionale non è certo il modo migliore per gustarsi il film, ma il serratissimo montaggio non riesce ad anestetizzare le esigenze di verosimiglianza stimolate dalle premesse. I buchi narrativi, infatti, diventano sempre più voragini che la regia cerca di coprire puntando sull'accumulo. Che capacità ha il protagonista di controllare il suo dono? è cosciente di ciò che gli accade? perché ritorna a certi episodi e non ad altri? perché finisce sempre e comunque in quella stanza del college? Non potrebbe andare ancora più indietro, o più avanti, e risolvere una volta per tutte i suoi problemi? Che fine fa il rischio di danno cerebrale? E, soprattutto, come fa esattamente a viaggiare nel tempo?
Mentre gli interrogativi si moltiplicano e i giovani interpreti si divertono, il plot si riduce a un interminabile gioco dell'Oca che trasforma in sit-com le potenzialità del thriller soprannaturale. Il teen-ager gongola sulla poltrona con residui di pop-corn tra gli incisivi (il film è stato un grande successo in America) mentre il cinema sonnecchia, pensando all'occasione sfiorata e poi perduta.
