Horror

THE BLAIR WITCH PROJECT

Titolo OriginaleThe Blair Witch project
NazioneU.S.A.
Anno Produzione1999
Genere
Durata81'
Fotografia
Musiche

TRAMA

Il 20 ottobre del 1994, tre studenti, Heather Donahue, Michael Williams, Joshua Leonard, decidono di inoltrarsi nella foresta di Black Hills. Scopo della loro spedizione, è compiere una ricerca sulla strega di blair; non faranno mai più ritorno a casa. Il 16 ottobre del 1995, nella stessa foresta, viene ritrovata una borsa con del materiale video, girato dagli stessi studenti…

RECENSIONI

Ci sono film, in genere non più di uno o due l'anno, la cui visione diventa una sorta di dovere sociale, un imperativo categorico al quale nessun cinefilo ha il coraggio di disobbedire. "The blair witch project" rientra prepotentemente in questa ristretta categoria e ne rappresenta, anzi, una sorta di archetipico prototipo: un caso ancor prima di giungere nelle sale, con le solide basi di una leggenda costruita ad arte su Internet, il "costo zero" o giù di lì, gli incassi spropositati, tutti elementi che concorrono a far lievitare la febbre della strega e a riempire le sale. Già. Ma com'è, in realtà, questo TBWP? Partiamo dall'idea di base, ossia l' "artificio retorico" del falso documentario: niente di nuovo, già una ventina d'anni fa il nostro Ruggero Deodato girò il discutibile e controverso (ma cult) "cannibal holocaust" ricorrendo a questo furbesco espediente, economico e di sicuro effetto; più di recente, tre giovani registi belgi finsero di girare un documentario sulle gesta di un feroce serial killer in "c'est arrivé près de chez vous" (da noi "tradotto" in "il cameraman e l'assassino") che oltretutto si concludeva in maniera simile a TBWP, ossia con la morte dei registi e l'inquadratura finale ripresa da una cinepresa caduta di mano all'ultimo, morituro sopravvissuto. Logica conseguenza di tale impronta documentaristica è l'estetica tutt'altro che curata di TBWP che risulta programmaticamente "brutto" da vedere, grezzo, con immagini sgranate, perennemente traballanti e un'alternanza di immagini video e altre girate in 16mm che non sembra nascondere nessuna poetica particolare, cosa che invece accadeva, solo per fare un esempio, in "nick's movie" di Wenders (in video era girata la malattia di Ray, e il cinema appariva come "infettato" dalla verità "sporca" e drammatica delle immagini video stesse). Discorso simile lo si può fare per la recitazione: in un tale contesto di non-film si è portati a sorvolare su eventuali impacci, incertezze, stonature degli attori che possono permettersi il lusso di "esserci" senza dover fornire interpretazioni memorabili. Questione a parte è invece quella del doppiaggio, prima nota veramente dolente visto che le voci italiane "appiccicate" sostituiscono le originali in presa diretta e dunque molto più veritiere e credibili, il che per un film del genere è davvero tutto (o quasi). L'effetto è straniante, fastidioso e assolutamente nemico della suspension of disbelief indispensabile per lasciarsi andare ad una visione che riesca a suscitare emozioni, paure ed angosce.
E' infatti l'impatto emotivo il vero banco di prova per TBWP, costruito proprio per impaurire, che risulta altrimenti impossibile da giudicare secondo criteri cinematografici, per così dire, canonici. Fa paura 'sto film? Istintivamente verrebbe da rispondere di no, ma in realtà nessuno spettatore italiano che si sia recato nelle sale a partire dalle 15:30 di venerdì diciotto febbraio è "idoneo" a dire la sua sull'argomento; a parte la non trascurabile questione del doppiaggio, è soprattutto l'inaudita quantità di pubblicità (mai un'arma a doppio taglio fu più tagliente) che accompagna questo film a (forse) rovinarlo, visto che tutti vanno a vedere TBWP sapendo tutto di TBWP: storia, finale, aneddoti vari ma soprattutto il fatto che non vedremo nulla oltre ai tre sventurati e al bosco, il che azzera la tensione del "cosa salterà fuori dal buio?". Davvero fastidioso. Si ha voglia di avere paura ma non si è messi nelle condizioni per averne, si aspetta un'apparizione che sappiamo non apparirà mai, si segue una vicenda incerta certi di come andrà a finire e si cercano "sorprese" che non andrebbero "cercate" per definizione. C'è da scommettere (forse…ancora) che in condizioni diverse, con meno aspettative e meno consapevoli di quello che ci attende, il film dei due furbacchioni farebbe un altro effetto, ma così come stanno le cose è solo possibile intuire cosa avrebbe (forse…e tre) potuto essere. Un po' poco per pronunciarsi.

Due studenti di cinema in Florida hanno la brillante idea di imbastire un falso documentario su tre persone scomparse: F for Fake. Il loro film amatoriale (videocamera e pellicola in bianco/nero) è diventato un caso, grazie anche ad un'abile promozione telematica, e il pubblico americano, in parte ingannato dalla bufala fra finzione e realtà, gli ha decretato un inaspettato successo. Il resto del mondo si è messo in fila al botteghino per curiosità. Vengono citati apertamente sia Un Tranquillo Weekend di Paura sia la serie di Discovery Channel sul soprannaturale presentata da Leonard Nimoy, ma l’ottima intuizione "metacinematografica" (il cinema come ossessione e fuga dalla realtà), infine, imbriglia i due giovani autori negli stessi limiti che si erano posti per sorprendere: la parte iniziale fatta d'interviste è oltremodo tediosa e palesemente artificiosa, la mancanza di talento ed immaginazione dei due acerbi registi (da non scambiare per povertà di mezzi) si fa sentire all'interno della foresta, dove si è oltremodo schiavi di una cinepresa/videocamera a mano, traballante, che lascia tutto l'orrore "off" e lo fa leggere solo sui volti dei protagonisti, esageratamente isterici e stupidi (Mike butta via la mappa perché non serve?), a copertura dei rumori del luogo che sarebbero stati ben più inquietanti. Doveva sembrare tutto più vero e "vicino", invece accade il contrario. Qualche sequenza d'effetto (quella della tenda con le voci dei bambini e il rilievo delle mani, il PP dal basso della protagonista mentre si confessa, il finale) si perde nella monotonia, tanto rumore per nulla ottiene solo la benevolenza da riservare ai dilettanti. Meglio rifarsi con Il Cameraman e l’Assassino o la grossolanità di Cannibal Holocaust.

Che dire, piu' che un film e' diventato un fenomeno di costume, un grande inganno cinematografico che una furbissima campagna pubblicitaria ha trasformato in un appuntamento immancabile. Difficile limitare le aspettative, ma bisogna riconoscere che l'effetto documentario funziona, forse non avvince come vorrebbe ma  permette allo spettatore di immedesimarsi nella situazione dei protagonisti fino al terribile finale, sicuramente la parte piu' efficace del finto docu-drama. La storia penso sia nota a tutti con tre ragazzi che decidono di introdursi nei boschi del Maryland per ripercorrere le tappe di un'antica leggenda su una strega che uccideva i bambini. Manca una vera e propria escalation emotiva con reazioni spesso esagerate o poco stupite, ma e' difficile dire come ci si sarebbe comportati in una situazione analoga dove la razionalita' ha ben poco spazio. Perche' non salire su un albero, accendere un fuoco, seguire il fiume oppure provare a difendersi con qualche arma invece che con l'ingombrante telecamera? Tutte domande che sorgono spontanee e le cui risposte rendono la costruzione del film un po' forzata, soprattutto nella parte centrale che gira un po' a vuoto, ma non tolgono nulla al terribile epilogo che lascia, anche per la sua non immediatezza, davvero impauriti. Insomma, un esperimento in parte riuscito che solletica la morbosa curiosita' dello spettatore e deve a un'idea intelligente e ad una promozione astuta e un po' fedifraga la sua fortuna. Speriamo solo non diventi una moda con fior di emulatori!