TRAMA
Il giovane Richard è alla ricerca dell’avventura in Thailandia. Un folle gli lascia una mappa per un’isola segreta…
RECENSIONI
I "ragazzi terribili" di Trainspotting continuano a farsi portavoce del nichilismo e dell'alienazione delle nuove generazioni: il romanzo di Alex Garland, da cui la pellicola è tratta, decreta in modo definitivo la fine dell'utopia degli anni della contestazione giovanile, idealisticamente attratta da un paradiso terreno, di stampo orientale, riconciliato con la Natura e opposto alla disumanizzante civiltà occidentale. A questo mondo non c'è luogo o tipo di società che possa eludere la corruzione dell'animo umano, paradossalmente tanto più distruttiva quanto più portata ad edulcorare la realtà. Gli anni dominati dai mass media e dal virtuale, in questo senso, sono i più pericolosi per l’essere umano sedotto dalla fuga dal dolore reale. Leonardo DiCaprio (coraggiosamente sgradevole ed antipatico) è il prototipo dell'uomo nuovo che sogna la perfezione (intesa come controllo sulla propria vita, con in mano un joystick) ma non può fare a meno, una volta trovatala, di contaminarla con la menzogna, l'arroganza, l'egoismo. Non che la "comune" sessantottina in cui si ritrova sia meno ipocrita di lui: pronta a tutto per difendere il proprio paradiso naturale e incapace di rinunciare a quei comfort (vedi la lista della spesa) che la tanto odiata società del progresso offre. Danny Boyle adotta un passo lisergico ammaliante, sospeso fra l'avventura esotica e l'indagine socio-antropologica, fra la soggettiva falsa della realtà sognata e la necessaria presa di distanza dal mostrato in funzione critica. Non è però chiaro se le sue citazioni (Apocalypse Now, Il Signore delle Mosche, Il Cacciatore, Rambo) siano un vezzo, un sintomo di scarsa creatività o la cosciente messinscena di un immaginario collettivo stereotipato. Di certo si sfiora il kitsch (DiCaprio che diventa un personaggio da playstation). C'è troppa ambiguità fra la critica alla vita vissuta come finzione e l'assunzione di stilemi artificiosi per rappresentarla (ad esempio, tutti i ritocchi digitali). Dove inizia lo sguardo del regista e dove finisce quello dei personaggi? Forse Boyle & Co. appartengono troppo a questa generazione per additarla pretendendo di starne fuori (con tanto di commento predicatorio finale).
