TRAMA
La vita di un gruppo di amici di un piccolo paese del Piemonte, raccontata attraverso le vicende di tre notti: un sabato di novembre, un sabato di dicembre vicino al Natale ed un sabato di febbraio.
RECENSIONI
Debutto alla regia cinematografica per Paravidino, fino a ieri autore e regista teatrale: Texas è un affresco in movimento della provincia italiana (vista come una sorta di periferia allargata degli USA e che vive - di rimando e in ritardo - delle stesse mitologie e nello stesso limbo fatto di agglomerati di case, ipermercati, discoteche, pub e pochissimo altro) ben orchestrato che tenta più di una strada, non sempre centrando lobiettivo ma rifuggendo comunque da certi schematismi consueti al giovane cinema italiano (e non solo): Texas non ha tesi da sostenere, è un film di personaggi, tanti davvero (alcuni ben raccontati, altri solo accennati ma che contribuiscono alla completezza dello scenario, altri ancora macchiette trascurabili che puzzano un po' di esausta letteratura giovanilistica) ritratti in un ambiente delineato con precisione e che l'autore dimostra di conoscere bene.
Paravidino procede per frammentazioni temporali su un tono fondamentalmente realistico, non disdegnando siparietti grotteschi e alcune uscite surreali; nonostante non tutto funzioni a dovere - le forzature ci sono -, l'autore riesce a garantire una buona tenuta del quadro d'insieme: la sceneggiatura ha una sua solidità, gli sviluppi narrativi sono studiati e, anche quando i toni vengono caricati, il regista non fa scadere il quadro nella facile caricatura. Non c'è niente di realmente nuovo in questo film, anche certe influenze sono riconoscibili, ma va riconosciuto al giovane autore il merito di non fare mai il passo più lungo della gamba, di tenere sempre in pugno la storia, di girare con un discreto piglio.
Peccato per il finale in cui quasi tutte le situazioni in gioco declinano troppo bruscamente sul tragico: un inciampo che denuncia l'acerbità del cineasta ma che comunque non intacca la bontà del risultato finale.
Per il suo debutto alla regia il giovane Fausto Paravidino sceglie la vita di provincia, con i suoi sogni, le contraddizioni e l'incombere della tradizione nell'impostazione dei rapporti sociali e dei legami affettivi. Al centro della narrazione sette ragazzi in cerca di qualcosa, ma soprattutto di un proprio posto nel mondo. Paravidino affronta le trappole del ritratto generazionale cadendo in qualche stereotipo e non riuscendo sempre a mantenere alto il respiro dell'affresco, ma bisogna riconoscergli una ruspante vitalità in grado di cogliere un sentire contemporaneo. Le storie nella storia hanno tracce di verità, e anche se non tutti gli spunti trovano adeguato sviluppo, per una volta nessuno sogna la fuga dalla provincia con destinazione i tropici, e il fine ultimo non è mai piangersi addosso. Così come droga, delinquenza ed eccessi restano perlopiù ai margini, senza diventare il banale punto di arrivo o di partenza. Il film comincia con una divertente e ritmata presentazione dei protagonisti, poi la struttura anticipa gli eventi per poi dettagliarli in un lungo flashback che porta a capire i personaggi e le loro motivazioni. Non tutto è a fuoco e soprattutto la parte finale si sfilaccia non poco (perché la Golino si veste da prostituta? Era necessario mettere una pistola in mano al marito tradito? Lo stupro finale non è una caduta di stile rispetto al taglio problematico, ma brillante, adottato fino ad allora?), ma è un tentativo di dire altro partendo dal proprio ombelico. Gli interpreti si danno con energia contagiosa, a parte comparse e figuranti che sembrano volersi soprattutto divertire. Valeria Golino continua il suo cammino di sperimentazione maturando ad ogni film, e Riccardo Scamarcio non si limita a fare il piacione.