Fantascienza, Netflix, Recensione, Spionaggio, Thriller

TENET

TRAMA

Il Protagonista, agente della CIA, viene catturato e torturato alla fine di un’azione sotto copertura in cui doveva salvare un agente e rubare un oggetto misterioso. Per non rischiare di cedere e rivelare informazioni, ingerisce una pillola avvelenata ma si risveglia vivo e vegeto: la pillola era falsa, faceva parte di un test che ha superato, rivelandosi pronto per essere reclutato nell’operazione Tenet.

RECENSIONI

TENET è, a suo modo, un Film d’Autore oltranzista, quello in cui Nolan porta il suo cinema alle estreme conseguenze, senza compromessi. Volendo fare un paragone improprio declinato a proporzione, che non c’entra però c’entra, potremmo dire che Inception : TENET = Strade Perdute : INLAND EMPIRE. Col senno di poi, infatti, Lynch in Strade Perdute cristallizzò il suo nuovo modo di fare cinema (inaugurato da Fuoco Cammina Con Me) per poi estremizzarlo in purezza in INLAND EMPIRE, nel quale sembrava fregarsene di conservare pur flebili appigli commerciali, quelli che, per intendesi, rendevano Mulholland Drive un film ancora godibile anche per i non devoti/iniziati. IE film lynchiano DOC al 100%, insomma, così come TENET è nolaniano senza se e senza ma. Qual è la definizione dell’aggettivo nolaniano? Come ho già scritto altrove, si potrebbe definire Film Nolaniano quello in cui un protagonista tormentato (mentalmente instabile, in situazione di disagio psicologico e/o afflitto da un rovello paranoide) è inserito in una struttura narrativa nella quale diverse forme di spaesamento spaziale/temporale/percettivo contribuiscono a trascinare lo spettatore negli ingranaggi della struttura narrativa stessa. Lo spettatore viene dunque  invitato a giocare in corso d’opera con questo congegno-film, il quale congegno-film fornisce le coordinate necessarie per orientarsi e illustra le dettagliate istruzioni indispensabili per giocare.

Da questo punto di vista, è abbastanza evidente che Inception, film-congegno cerebrale ma verbosissimo e fin troppo accondiscendente col suo spettatore, sia Nolan spiegato a mio figlio, mentre TENET sia un Inception molto meno intelligibile (e spettacolare. E godibile). A ben vedere, per Nolan è quasi un ritorno alle origini. L’idea che stava alla base del suo secondo lungometraggio, Memento, era proprio quella di due linee temporali che procedevano in senso opposto l’una all’altra – identificate dal Bianco e Nero e dal Colore - e finivano per convergere. In linea generale, l’assunto di base rimane questo ma tra i due film c’è una differenza sostanziale: in Memento è la struttura narrativa, il montaggio, l’uso del colore a dare consistenza filmica all’idea, in TENET tutto si fa più profilmico (anche qui, ad esempio, a volte ci si orienta con i colori - Blu e Rosso - che però sono diegetici). Com’è noto, Nolan predilige l’effetto speciale davanti alla cinepresa, piuttosto che la postproduzione digitale, preferisce distruggere un’auto sul set, che affidarsi alla Computer Grafica. Bene, in TENET sembra aver fatto qualcosa di omologo con il suo nuovo congegno narrativo, risolvendo l’arzigogolo temporale affidandosi alle risorse della Fisica più che a giochi di montaggio e al buon vecchio intreccio. Così come in Interstellar, quindi, le straordinarie implicazioni delle Relatività Ristretta e Generale gli hanno consentito di costruire il suo congegno temporale senza ricorrere a vere “macchine del tempo” o a strutture narrative embricate (tutto scorreva in un’unica direzione, senza viaggi in avanti o indietro), così in TENET la teoria assorbitore-emettitore di Wheeler-Feynman gli consente di creare questa affascinante vicenda bi-entropica sostanzialmente lineare. Niente Flashback e niente Flashforward, non ci sono particolari espedienti narrativi/filmici, non ci sono anticipazioni né ritorni col senno di poi. O meglio. Ci sono ma tutto segue un flusso unidirezionale e tutto avviene contemporaneamente sullo schermo, sul quale convivono due entropie opposte, una linea narrativa percorsa palindromicamente dall’inizio/fine alla fine/inizio. Si va da A/B a B/A, Fabula e Syuzhet sono sovrapponibili anche se intrinsecamente complicati e reciprocamente invertiti.

Per fare tutto questo, Christopher Nolan ha corso dei rischi enormi e non ne è uscito illeso. TENET, presentato come una versione 2.0 di 007 nonché – (quasi) ironia della sorte – destinato a risollevare le sorti della sala nell’era post-Covid, è in realtà un film fondamentalmente ostico, restìo a farsi godere a pieno, a cervel leggero. Richiede un livello di attenzione costante e inusuale anche, ed è questa la vera novità, nei momenti in cui dovrebbe essere l’azione a prendere il sopravvento e trascinare nel tourbillon dell’entertainment. Cosa che non avviene mai. Non ci sono momenti veramente liberatori, ci si ritrova continuamente a chiedersi cosa sta succedendo e perché, ci si interroga, da osservatori/spettatori, sui punti di vista delle due diverse entropie in gioco, su quale sia la realtà oggettiva di quella scazzottata, di quella sparatoria, di quella esplosione a tenaglia: cosa vede chi? Quando? Un po’ come quando si cerca di riflettere, praticamente, sulle implicazioni relativistiche o – peggio – su quelle della Meccanica Quantistica. Cosa significa che, su scala universale, dire ora non ha senso? L’esperimento della doppia fessura porta davvero a quelle conclusioni? Tipo.

Se a questo si aggiunge che, stavolta, la sceneggiatura sembra più parca di informazioni (rectius: istruzioni per l’uso) e lo spettatore è lasciato spesso da solo col suo intuito (come suggerito da una meta-battuta del/nel film: “non cercare di capire, sentilo”) si capisce che l’ultimo lavoro di Nolan, nolaniano fino al midollo (e oltre), è talmente personale e, diciamolo di nuovo, autoriale, da rasentare l’arroganza egotica: lo accusano di essere uno sceneggiatore/regista cerebrale? Lui pensa e realizza il film forse più cerebrale di sempre. I personaggi dei film di Nolan sono solo pedine, rotelle di un ingranaggio? In TENET li priva addirittura del nome, chiamando il protagonista “Il Protagonista”. Se ne può apprezzare il coraggio, la volontà di non scendere a compromessi, l’ingegnosità dell’assunto, quindi, così come disprezzarne la freddezza, l’esposizione lacunosa e le pretese (in tutti i sensi) esose nei confronti del suo spettatore. Come e più che in Interstellar, si ripropone l’enigma del film quantistico schrödingeriano, quello che esiste contemporaneamente negli stati di Capolavoro e Boiata.
Per quel che può valere, davvero pochissimo, chi scrive, dopo la terza visione, si sbilancia dalla parte del Capolavoro. Tecnicamente, non mi sono divertito nessuna delle tre volte ma ogni volta ho capito meglio quello che stavo guardando, da tutti i punti di vista, e sono rimasto più ammirato, per l’unicità e la grandiosità del tentativo e per l’ambizione smisurata di un regista che, a modo suo, ama il Cinema e le sue potenzialità e ha l’ardire di dire la sua, di (cercare di) ricavarsi un posto nella Storia, del Cinema. Può darsi che TENET non sia un film intrinsecamente (rectius: tradizionalmente) "emozionante" (qualunque cosa significhi) ma è emozionante analizzarlo, smontarlo, capirlo. Ed è emozionante il fatto che ci sia.