Drammatico, Recensione

TAXI DRIVER

Titolo OriginaleTaxi driver
NazioneU.S.A.
Anno Produzione1976
Durata113'
Sceneggiatura
Fotografia

TRAMA

Travis Bickle, ventiseienne alienato e sessualmente frustrato, reduce del Vietnam, soffre di un’insonnia cronica e lavora come tassista notturno. Affascinato da Betsy, un’assistente del senatore di New York Charles Palantine, che è candidato per le elezioni presidenziali, le dà un appuntamento.

RECENSIONI

Taxi Driver rappresenta uno dei punti apicali del cinema della New Hollywood. Fin dal 1967 all’interno del panorama Hollywoodiano si affermano nuovi autori, nuove modalità produttive e nuovi volti attoriali che andranno a sostituire quelli della Grande Hollywood - per usare una definizione mutuata di una eccellente libro sul cinema classico di Veronica Pravadelli. Fatta nascere convenzionalmente con Il laureato e Gangster Story nel 1967, la Hollywood Renassaince porta con sè anche un nuovo tipo di narrazione figlia dal punto di vista tematico di alcuni cruciali eventi storici e da quello formale di un diretto dialogo tra il cinema hollywoodiano e la modernità europea.
Taxi Driver si presenta come un amalgama perfettamente riuscito di tutte queste istanze. Al suo interno emergono in maniera ricorsiva, mordace le pulsioni storico/sociali che hanno contraddistinto gli Stati Uniti nella storia recente: il film di Scorsese è fondamentale anche perché riesce a farsi carico dell’onere di essere generazionale, figlio legittimo della contestazione. La società americana mostra attraverso il film la sua ferita indelebile, la sua debolezza, la sua mancanza di speranza che vede nella morte di Kennedy la matrice generativa. I “fatti di Dallas” hanno reso debole un popolo che si sentiva invincibile, hanno creato un vuoto in un mondo dove, senza eroi, ci si sente inesorabilmente spaesati. La contestazione, la morte di JFK, ma anche il Vietnam: Taxi Driver in fondo è anche un film sul reducismo, su un “eroe di guerra” che non riesce ad integrarsi nel mondo che ha abbandonato definitivamente dal momento che l’ha lasciato per andare in guerra, che non trova la tranquillità per addormentarsi, la cui insonnia lo trasporta in uno stato allucinatorio, che lo fa sprofondare definitivamente in uno stato d’alienazione per cui diventa normale anche far colazione con pane e whisky.Un cinema rivoluzionario anche nell’uso del linguaggio e nei codici specifici filmici, figlio della lezione del cinema della modernità ed in particolare della Nouvelle Vague francese, che rimedia la decostruzione del montaggio grazie all’uso del jump cut e del piano sequenza. Ciò è possibile perché i cosiddetti movie brats sono la prima generazione di registi americani ad aver studiato cinema all’università e inseriscono nel loro cinema, una volta diventati registi, le innovazioni linguistiche del cinema d’oltre oceano, rimodulandole alla narrazione americana.
I film della New Hollywood rappresentano anche una svolta del cinema americano verso il realismo ed in particolare l’attenzione per la città e il rapporto tra individuo e metropoli diventano due temi centrali, campi semantici che Taxi Driver implementa in modo esemplare: Travis Bikle (un De Niro strepitoso, vera icona del cinema di Scorsese degli anni settanta e non solo) tassista insonne, che sia aggira di notte in una New York distrutta dalla malavita e dalla prostituzione è diventata una figura archetipica dell’immaginario americano che per certi versi riprende l’altra figura altrettanto archetipica che è Ethan Edwards di Sentieri selvaggi, cacciatore solitario in un mondo ostile e incivile.