TRAMA
1999: Lenny Nero traffica illegalmente in esperienze virtuali su supporto “squid”; una prostituta gliene fornisce una che scotta, sulla polizia di Los Angeles.
RECENSIONI
Kathryn Bigelow è dotatissima nella messa in immagini: anche qui, la conturbante orgia visiva (con grande musica) investe lo spettatore. Anche qui, la sostanza filmata (maglie del racconto e suoi temi) è inficiata dalle convenzioni, buona per uno “squid”, l’idea-oggetto su cui ruota lo script dell’ex-marito della regista, James Cameron: un apparecchio che permette di rivivere esperienze altrui (intuizione non nuova: vedi Brainstorm), ma a livello artificiale (tecnico), lontano dalla Vita vera. Il futuro metropolitano apocalittico richiama un Blade Runner algido e bluastro, ma la fantascienza cede il passo al poliziesco con ordinari risvolti thriller/whodunit, pur con interessanti pieghe politiche, nel momento in cui si rievocano i disordini dopo il pestaggio di Rodney King a Los Angeles: Bigelow, a sorpresa, quasi incita alla rivolta con un’opera nichilista sul Caos e la Fine del Mondo, per poi rientrare prona con finale di speranza in amore interrazziale (con inquadratura ri-presa da Il Fantasma del Palcoscenico). Calca nell’iperrealismo la società odierna violenta, decadente e dedita al virtuale, per lanciare un monito allarmista che poi annulla durante un catartico Capodanno di fine millennio (riuscita sequenza di massa). Meglio soffermarsi sulla sua estetica: al di là dei virtuosismi, del montaggio veloce che ben inframmezza le soggettive della steadycam e non (doverose citazioni di Peeping Tom e Una Donna nel Lago), la regista ricama dilatazioni che sovrastano gli schemi del racconto di genere, e permettono di godere l’opera a frammenti, quelli in cui lo “squid” funziona al meglio. La sequenza iniziale della rapina, quella dello stupro e quella dell’inseguimento della prostituta (figura poco risolta), sono magistrali esperienze “dirette”, violente e adrenaliniche. Il mosaico si compone anche di centinaia d’inquadrature giustapposte a ritmo vertiginoso, il cui taglio claustrofobico non replica solo la soggettiva dell’occhio umano, ma sperimenta il linguaggio tout-court: basti vedere l’effetto angosciante del dialogo fra l’assassino e Lenny Nero nel finale, in cui l’attore è ripreso, con montaggio alternato, in Primo Piano frontale e con inquadratura dal basso.
