Azione, Supereroi

SPIDER-MAN

TRAMA

L’imbranato studente modello Peter Parker, che vive con gli zii, viene punto da un ragno geneticamente modificato e acquista straordinari superpoteri…

RECENSIONI

Numeri sparsi a mo’ di prologo, tanto per rompere il ghiaccio...

Costato 100 milioni di dollari, negli USA dove è uscito su 7500 schermi ne ha incassati (milioni di $, non schermi) 114 in 3 giorni, 200 in 9, 300 in 22. 40 gli anni del fumetto e quasi 80 quelli del suo creatore Stan Lee, 27 quelli di Tobey Maguire che interpreterà (almeno) 2 sequel per 10 milioni di dollari cada1. 43 gli anni di Samuel M. Raimi, che amo, 1982 l’anno del suo primo film in 16 millimetri Evil Dead costato 550000 dollari. 47 gli anni (mal portati) di Willem Dafoe, 43 i suoi film. 41 (circa) i secondi trascorsi da quando avete iniziato a leggere...

The amazing (in) Spider-Man

 La cosa più bella, in Spider-Man, è l’utilizzo che Raimi fa della (hi-)tec(h)nologia: l’uso del digitale, nel film, è infatti uno dei più intelligenti e funzionali mai visti, figlio di un intento paradossale che solo un geniaccio innamorato del cinema come Sam poteva perseguire ed ottenere: il massimo dello sfo/arzo per l’intenzionalmente minimo dei risultati -ossia- un ricorso massiccio all’effettistica speciale più speciale mirata all’ottenimento di un look&feel assolutamente low-tech, ingenuo, spudoratamente falso. Fumettistico. Così come i fumetti non abbandonano mai le rassicuranti due dimensioni del foglio, artificioso regno di china, cellulosa e onomatopee, allo stesso modo Spider-Man non vuole illudere in alcun modo il suo spettatore ma anzi, vuole (ri)creare un mondo a parte, orgogliosamente “altro” come quello dei fumetti, che rechi in sé le tracce visibili della propria genesi*. L’effetto speciale che mostra il come, abiurando il come se.

*Della metagenesi

In un magistrale gioco alla costruzione in abisso, Raimi chiarisce, complica, stratifica e diverte in un sol colpo. Peter Parker inizia e pensare a una divisa pittoresca per il suo nuovo io e butta giù qualche schizzo da provetto comic-maker, così assistiamo alla multipla, multiforme e intersecata nascita dello stesso supereroe: le tappe della creazione (del costume) di Spider-Man ad opera di Peter ricapitolano presumibilmente quelle già percorse da Lee nel 1962 e non è fuor di logica credere che riproducano anche, almeno in parte, la travagliata genesi della tuta indossata da Maguire e controfigure, complicato mix di serigrafie, gomma e latex. Non solo. La sequenza prelude e conduce anche al “vero” ingresso sul set dell’Uomo Ragno così come lo conosciamo, con i suoi balzi e le sue scalate (palesemente) computerizzate.

Ipse scripsit

Per essere tratto da un fumetto (frase di comodo e vagamente ipocrita), Spider-Man è un film tutto sommato godibile anche dal pdv dello sviluppo tramico-psicologico, tant’è vero che le sezioni dialogate e “umane” superano quantitativamente, cosa per nulla scontata, quelle prettamente action, il che non basta però a salvare tout court lo script di David Koepp. Permane infatti la fastidiosa sensazione che ammorba storicamente la fruizione delle trasposizioni da fumetto a pellicola: storie che appaiono esili fili a cui appendere scontri (pretesi) epici eroe – cattivo si rivelano inadeguate allo scopo, incoerenti e lacunose. Spider-Man non fa eccezione e Raimi, che lo sa,  fissa l’epicentro emotivo del film nella love story impossibile tra Peter Parker e Mary Jane, puntando cioè sulla cinematograficamente più sicura e consolidata strada del melò piuttosto che sull’incerto meccanismo dello scontro fumettistico Bene-Male (in calzamaglia), che fuori dalle strisce di provenienza sembra puntualmente incepparsi.

Déja-dit

Si è fatto un gran parlare e un gran scrivere della presunta anomalia del supereroe Uomo Ragno rispetto ai colleghi, ossia del suo essere oberato dai problemi del ragazzo qualunque, della sua “normalità” di fondo, del suo vivere il (super)potere come una dolorosa responsabilità più grande di lui... beh, non sono mai stato un accanito fumettaro, ma la mia generica conoscenza dell’universo della Marvel mi porterebbe ad andarci cauto: non mi risulta, infatti, che l’Uomo Ragno rappresenti un’inversione di tendenza così netta rispetto ai supereroi mascherati classici, quasi sempre, ognuno a modo suo, dotati di vulnerabilissima invulnerabilità (cosa diremo/scriveremo, allora, di quel poveraccio di Bruce Banner quando uscirà l’Hulk diretto da Ang Lee?...). Allo stesso modo, si è detto/scritto tutto anche sulla “perfezione” di Tobey Maguire nella parte di Spider-Man, del suo physique du role, del suo sguardo timido e sicuro a un tempo. Condivido e sottoscrivo. Decisamente meno convincente mi è sembrata invece l’interpretazione di Dafoe, spaesato e imbalsamato come non mai (o come sempre?), e quella di un James Franco davvero anonimo e poco convinto. Per la Dunst, conviene invece affidarsi alle illuminanti parole dello stesso Maguire: “Kirsten è una brava attrice e una graziosa ragazza”.

Ipotesi di epilogo di una recensione esapartita: due parole due sul grande Sam Raimi

Raimi, che dire... senza fronzoli e supponenze, ma con tanta umiltà e il DNA del Regista DOC, continua a non sbagliare un colpo, dagli entusiasma(n)ti esordi “caserecci”, a Capolavori limpidi e cristallini come A Simple Plan, passando per sottovalutati e inattaccabili gioiellini alla For Love Of The Game o The Gift. Fino a Spider-Man, che non sarà forse il Sam Raimi al suo meglio, ma che dimostra come sia possibile lanciarsi in un’operazione rischiosa e fare gli incassi più alti della storia del cinema sacrificando solo qualche impercettibile briciola della propria consolidata personalità/autorialità. Scusate se è poco...

Il (super)potere? Un talento ed una maledizione, una grande responsabilità che porta con sé dubbi e sensi di colpa, ansie di rivalsa ed esaltazione, moti egoistici e spinte altruistiche. La striscia originale ideata da Stan Lee era un appassionante romanzo di formazione, dove il giovane lettore poteva identificarsi in tutto e per tutto con il protagonista timido ed emarginato, segretamente innamorato, sconvolto ed insieme entusiasta dei cambiamenti che il suo corpo, in fase di crescita, stava subendo. Poco importava il "dettaglio" allegorico del superuomo in costume impegnato in lotte titaniche con uomini malvagi: ogni volta che Parker usciva vittorioso era un insieme di valori ad avere la meglio contro le tentazioni del Male. I superpoteri, però, non risolvono la vita di tutti i giorni: Peter porterà per sempre la croce di un rimorso (lo zio ucciso) e il fardello di restare nell'ombra per proteggere le persone che ama, imparando che doni e dolori s'accompagnano sempre. Il merito più grande dello sceneggiatore David Koepp e di Raimi è stato quello di aver rispettato (quasi) alla lettera il "cuore" e il racconto originali, senza farsi sedurre dalla moda che demanda le matrici fantastiche ai totalizzanti effetti speciali. Il loro Uomo Ragno (da dimenticare il precedente, diretto da Swackhamer nel 1977) è, prima di tutto, focalizzato su di un ragazzino qualsiasi del Queens, innamorato e pieno di problemi, immerso in un mondo reale, impacciato nel prendere dimestichezza con le nuove facoltà (divertente!), indeciso su come utilizzarle, impavido di fronte alle perdite e le pene che portano molti a sposare il lato oscuro. La figura di Goblin, in questo senso, gli è speculare e contraria, anche lei vittima di uno sdoppiamento di personalità (l'allegoria del bacio con l'aracnide rovesciato è splendida). Non bisogna permettere ai folletti malvagi (Goblin) di demolire i sogni con miraggi fittizi (i trucchi, peraltro ancora lontani dalla perfezione: le animazioni in digitale conservano un che d'artificioso, vedi il ragnetto che vola appeso ai fili). Come nelle migliori favole, un complesso gioco di specchi vive con umiltà nelle maglie di un racconto semplice, che cede alle facili lusinghe solo in un'occasione (l'orgoglio del popolo di New York contro Goblin/Bin Laden: effetto 11 Settembre), cita i colleghi (Superman e Matrix) e poggia saldamente su di un casting perfetto, Maguire in testa.