TRAMA
Thomas e Carlo sono fratellastri, uno cresciuto a Roma, l’altro a Milano; uno mago da varietà televisivo attualmente sottoccupato, l’altro aspirante imprenditore frustrato nelle proprie ambizioni da uno suocero ricchissimo e sprezzante. I due sono figli di un padre napoletano, Vittorio, di grande personalità ma anche di grandissimi vizi. Alla morte di Vittorio, Thomas e Carlo, entrambi squattrinati, si recano a Napoli sperando di incassare una cospicua eredità: ma il padre si è mangiato quasi tutto al gioco, e a loro rimane solo la sontuosa casa di famiglia, che però è gravata da una consistente ipoteca. A Napoli scoprono anche l’esistenza di un terzo fratellastro, Ugo, che entra ed esce dagli ospedali psichiatrici. Per pagare l’ipoteca i tre si inventano uno schema che capitalizza sulla “nota” superstizione napoletana, qualificandosi come acchiappafantasmi.
RECENSIONI
Mai titolo fu più efficace ed evocativo: Sono solo fantasmi è una pellicola abitata – a diversi livelli di lettura – da spiriti, entità, ectoplasmi. Christian De Sica, esaurita la sbornia dei cinepanettoni (stagione economicamente ricchissima ma artisticamente ben oltre la miseria), è diventato una “presenza” che vaga all'interno del cinema italiano, che cerca di reinventarsi senza crederci troppo (con Boldi, senza Boldi; con Brizzi, senza Brizzi), che esplicita il suo statuto di mago e buffone proprio come nell'incipit del suo film fa il protagonista Thomas. Un mandrake fallito e spiantato, con un passato televisivo di richiamo e un presente fatto di compleanni per bambini, sagre di paese e prese in giro sulla metropolitana alle quali rispondere con il solito cialtronesco – e amaro – sorriso. Volendolo fare, si può a questo punto restare in superficie, e guardare l'operazione per come effettivamente appare: una confusa commedia “di paura”, che cerca di attingere inadeguatamente da entrambe le fonti. Un po' di qua e un po' di là, con la battuta greve (“Io sono vegano”, “E io sono della Lazio”) alternata alla sequenza di genuino spavento, l'inserto animato e il pezzo rap – per strizzare un po' l'occhio ad un eventuale target giovane – ad introdurre l'effetto speciale artigianale in stile Ghostbusters (di cui si ripercorrono tutti i passaggi fondamentali), la pochade classica che gigioneggia mescolata alla riflessione più o meno verosimile sulla nostra contemporaneità.
Ma fermarsi qui sarebbe oggettivamente una forzatura “al ribasso”. Perché Sono solo fantasmi compie una palese identificazione fra attore e personaggio, e il nostro sopracciglio non può che sollevarsi: De Sica sembra proprio ragionare su se stesso e tirare delle somme, accettando malinconicamente di essere passato di moda e di non poter reggere il confronto con gli assi pigliatutto (alias Zalone) odierni. De Sica figlio è un fantasma, a cui nessuno crede più e anzi di cui nessuno più si accorge. Ma in corso d'opera a fare capolino sarà De Sica padre, deus ex machina che risolve letteralmente l'intreccio dopo essere stato evocato con rito cabarettistico/cabalistico (“Chi sei?”, “'Sto cazzo!”, “È papà!”). Ancora un fantasma, “solo” un fantasma ingombrantissimo di un tempo passato che prima o poi bisogna affrontare, in cui ci si può identificare (il legame di sangue) ma dinnanzi al quale non ci si può che impietosamente arrendere. E Christian, all'eterno confronto con papà Vittorio maestro della commedia (all') italiana amato da tutti e con 4 Oscar all'attivo, c'ha fatto ormai il callo, arrivando qui – in un finale che sa di scaltra autoassoluzione ma anche di deferente omaggio e di agrodolce consapevolezza – a vestire letteralmente i suoi panni. A 68 anni e dopo oltre 100 film, in una gioiosa catarsi propugnata da chi non ha più nulla da dimostrare e vuole solo (provare ancora a) divertirsi. Come da insegnamento paterno.
