TRAMA
Mentre sta curando una transazione d’affari con una multinazionale in Giappone, una donna viene uccisa. Il principale sospettato è il figlio del proprietario della società del Sol Levante: un poliziotto afroamericano e un esperto di usanze locali indagano.
RECENSIONI
In un periodo di fobia degli Stati Uniti nei confronti di capitali giapponesi all’arrembaggio nel loro mercato, il romanzo di Michael Crichton (anche sceneggiatore) propone tre personaggi emblematici, lo statunitense conservatore (Harvey Keitel), il “sempal” (maestro) che agevola la comprensione di un’altra cultura (il sempre carismatico Sean Connery, per la prima volta produttore esecutivo) e il “kohai” (l’allievo) come noi (Wesley Snipes). Morale: non esistono “buoni e cattivi” per razza ma affari sporchi trasversali; il Business è il demonio di cui l’America si fa portavoce con modelli corruttori, mentre il Giappone si pone come esempio di cooperazione e cameratismo. La problematica razzista è affrontata anche sul versante afroamericano, con i ghetti dei neri ironicamente definiti “ultimo baluardo contro gli stranieri” e spot sul sangue misto (Tia Carrere è il simbolico incrocio fra Giappone e Africa). Sulla carta, lo stile europeo di Kaufman era il più adatto allo spirito dello script e al meltin’ pot di/sulle razze, ma Crichton lo ha contestato, a torto, vista la classe (la sequenza iniziale “western” che diventa “proiezione”; tutta la costruzione dell’opera all’insegna del voyeurismo, con sindrome di riproduzione mediatica dei segreti dell’esistente) e l’impegno nell’approfondire le complesse riflessioni sottostanti (fra cui, anche, la relatività della corruzione; il “gioco di concetti” sulle accezioni di bianco e nero; la realtà fasulla rivelata dai media). Il giallo è affascinante nell’inconsueto, lento incedere nelle maglie del mistero, nella tensione che nasce dalla claustrofobia dell’ignoto ma, purtroppo, esplode fra le gambe dal passo troppo lasco per percorrerne in modo esaustivo le complicate trame: nel tentativo di evitare meccanismi stereotipati e colpi di scena spettacolari che l’avrebbero reso intellegibile banalizzandolo, Kaufman rincorre atmosfere “mistiche” da autore e restituisce una materia confusa e irrisolta, in compromesso anche con tocchi umoristici più ammiccanti. Da un lato omaggia Kurosawa (nella scena del karaoke), dall’altro è posseduto dall’erotismo (marchio di fabbrica) fra scene bollenti, perversioni e ansimare off della vittima in amplesso. Un Black Rain con più sostanza e minori doti drammaturgiche.
