TRAMA
In un universo antropomorfo il koala Buster Moon, impresario in rovina, tenta di salvare il proprio teatro dal fallimento con un contest canoro che, a sorpresa, attira l’attenzione di molti aspiranti artisti.
RECENSIONI
Quando a far parlare di sé è il produttore di un film piuttosto che uno dei talenti artistici coinvolti bisogna porsi qualche domanda. A monopolizzare promozione e interviste è stato infatti Chris Meledandri, fondatore della Illumination Entertainment (Cattivissimo Me e derivati, Pets), e ben prima, presidente della 20th Fox Animation dove ha pilotato nel 1998 l'acquisizione dei Blue Sky Studios (la saga de l'Era Glaciale).
Produttore come Buster Moon, ma dalla fortuna decisamente maggiore, in pochi anni ha mietuto enormi successi, avviando ben 3 franchise miliardari, ampiamente sfruttabili nel merchandise (i Minions), e imponendo un nuovo modello produttivo, ovvero l'outsourcing europeo. Mentre Disney e Dreamworks, al bisogno, ricorrevano alla meno costosa manodopera orientale (soprattutto indiana), Meledandri ha guardato meno lontano, alla Francia per l'esattezza, grande bacino artistico anche a causa della decennale tradizione fumettistica che ha portato al proliferare di alcune delle scuole di animazione più rinomate a livello mondiale. Che poi si possano sfruttare anche gli ingenti sgravi fiscali messi a disposizione dallo Stato è di sicuro un surplus.
Ecco quindi nascere la partnership con la parigina McGuff, che ha condotto alla fusione stessa con la Illumination, il tutto sotto il controllo della Universal che, finalmente, dispone anche lei di una divisione “animata”.
Tutta la produzione dei film viene realizzata a Parigi, con un enorme taglio del budget (circa la metà dei giganti Disney-Pixar), così come tutto il materiale promozionale relativo.
Non solo, anche il modus operandi è diverso, quasi televisivo: si parte da un concept intrigante (qui nello specifico, un contest stile X Factor ma a teatro in un mondo antropomorfo), si disegnano i personaggi dal look quanto più interessante e magari multietnici, e poi si cerca di metter su una storia, di solito sempre piuttosto leggera e poco pretenziosa, che possa tenere incollato il tutto ...
Insomma un modello ben diverso da quello disneyano/lassateriano ma soprattutto completamente opposto a quello di Travis Knight e la sua Laika.
Sing non fa eccezione, anzi, probabilmente esaspera questa spasmodica ricerca del blockbuster leggero dalle premesse accattivanti (ma non così geniali come i what if pixariani) con la componente musicale, potendo contare su una track list piuttosto scontata di ben 65 successi pop, che da soli hanno coperto il 15% dell'intero – già modesto – budget del film.
Il risultato è un mix di clichè di personaggi e sotto-trame tipici del genere, o anche dei generi dato che si spazia dal gangster movie, allo heist movie, alla romantic comedy , senza però alcuna volontà di andare oltre l'intrattenimento leggero per famiglie. Se si considera questo obiettivo, il film lo centra perfettamente, soprattuto grazie ad alcune gag particolarmente riuscite (Buster Moon in rovina costretto -in costume da bagno- a improvvisarsi lui stesso spugna per lavare le auto ai semafori) in cui timidamente emerge il genio del regista Gareth Jenkins (Guida Galattica per Autostoppisti, Son of Rambow), qui di gran lunga sotto-utilzzato.
Così come risulta inedita, almeno in un film d'animazione, l'ambientazione teatrale, con i suoi sipari, i dietro le quinte e le audizioni. Ma a bene vedere una simile premessa (organizzare uno show per salvare un teatro dal fallimento) era già stata sfruttata, e con esiti senza dubbio più esilaranti, dai Muppets, nel recente film che ne ha segnato il rilancio.
Quasi obbligato ( e perdente) il confronto col disneyano Zootropolis, dove tutto l'universo creato è funzionale (oltre che incredibilmente dettagliato) alla storia e non un mero divertissement. Non solo, ma la ricerca nei concept dell'appeal Disney (frutto di decenni di sperimentazione) resta tutt'ora imbattuto, come dimostrano i delicati equilibri di curve e angoli che rendono Nick Wilde e Judy Hopps assolutamente preferibili ai loro simili – per razza ovviamente - in Sing.
Insomma come Buster Moon porta la tv in teatro, così Meledandri porta la tv al cinema, per ritmi e stili produttivi. Ormai tutti i film della Illumination sembrano assomigliare sempre più a ipotetici pilot di serie tv ad altissimo budget, sfruttabili all'infinito con l'introduzione di nuovi personaggi, che vanno a ingrassare la macchina del merchandise che a sua volta aumenta l'hype e la richiesta di episodi successivi (già annunciato ovviamente Sing 2).
Per ora sembra abbiano trovato la formula del successo, ma come sempre il tempo ne rivelerà la sua effimera natura , come hanno imparato a loro spese Disney e Dreamworks. La vera formula è il non aver formula, il sorprendere, giocare intelligentemente coi generi dando vita a ibridi sempre nuovi, ma magari non troppo, per non deludere quella – grossa – fetta di pubblico affezionata al brand.